26 Aprile 2017
Da lavapiatti a executive chef per Mr. Maccioni a New York all’interno del 5 stelle lusso di Taj Hotels a Manhattan. Questa è la storia di un uomo con la valigia, che ha lasciato i suoi affetti più cari per cercare fortuna in America. E l’ha trovata. Lui si chiama Massimo Bebber, ha 43 anni (è nato il 5 ottobre 1973) a Roncegno (Tn). Giunto a New York per la prima volta nel 1998 grazie all’amico Denis Franceschini – oggi proprietario del Bar Italia – che lo presenta alla famiglia Cipriani. Proprio con loro consoliderà un decennio di importanti risultati. Nel 2009 Bebber accetta di guidare l’apertura del Caravaggio, presto centro nevralgico nell’esigentissima Upper East Side. Oggi Massimo Bebber ha portato al Ristorante Sirio la più autentica cucina italiana della tradizione, con quel twist ricercato ma sempre genuino che sa rispondere ai gusti di una clientela assolutamente internazionale.
Quando hai capito che volevi fare questo mestiere?
Avevo più o meno 14 anni quando ho deciso che da grande avrei fatto lo chef. Ho sempre vissuto tra padelle e fornelli perché papà,mamma e nonna si sono sempre cimentati nella preparazione a casa di diverse prelibatezze. Ho seguito poi le orme di mio fratello maggiore, Roberto, che lavora in una ditta di ristorazione a Castelnuovo.
Che tipo di percorso hai fatto in termini di studio?
Ho frequentato la scuola alberghiera di Levico Terme per due anni e poi sono subito entrato nel mondo del lavoro frequentando stagionalmente alberghi e ristoranti.
Quali sono stati i tuoi maestri in cucina? E quali le esperienze più significative?
Devo dire che la scuola mi ha insegnato tanto: i miei insegnanti erano i classici professori vecchio stampo dotati di grande professionalità, amore e cultura del mestiere. Ho avuto la fortuna poi di lavorare con degli chef molto bravi, ma anche molto severi, con i quali ho imparato a star zitto e a osservare quello che facevano in modo da poter rubare i trucchi del mestiere.
La prima cosa che hai fatto, quando ti hanno chiamato a condurre il ristorante Sirio dell’Hotel The Pierre di New York?
Quando ho ricevuto la chiamata dalla segretaria personale del Sig. Sirio non ci potevo credere, devo dire che ero molto emozionato. Quando lo incontrai il giorno dopo ricordo ancora che tremavo. Gli diedi il mio Curriculum e lui prontamente mi rispose: “io della carta non me ne fo nulla”. Dopo dieci minuti di colloquio mi disse: “ho bisogno di uno chef come te, domani puoi iniziare”. In quel momento ero probabilmente la persona più felice sulla terra perché ero stato assunto da un ristoratore conosciuto in tutto il mondo.
Infatti, una grande responsabilità considerando la popolarità di Sirio Maccioni tra politici e star. Qual è il tuo rapporto con lui?
Il rapporto con il Sig. Sirio è molto umano, si scherza molto ma c’è soprattutto molta professionalità.
Che tipo di cucina hai deciso di proporre? Come la descriveresti?
La nostra è una cucina italiana rivisitata ma molto classica nei gusti e nell’impiattamento.
Vieni da una terra, il Trentino, dalle forti tradizioni culinarie: c’è un piatto regionale che ami particolarmente preparare?
Mi piace molto cucinare primi piatti, paste fatte in casa, risotti…
Cosa ne pensi della cucina vegetariana o vegana ora che sono diventate di moda?
Esatto, sono di moda e la gente ne va pazza. Io propongo sia l’una che l’altra, ma forse sono meno estremista, quindi mi oriento più su piatti vegetariani.
Cosa può offrire in più (o in meno) una città come New York a uno chef?
New York è una grande città. Ci sono tantissime culture diverse per cui c’è sempre da imparare. Ormai puoi mischiare e amalgamare vari tipi di cibi in una sola cucina. In più, a NY si riesce a trovare qualsiasi prodotto tutto l’anno. Quello che non ti dà è il tempo libero…
Creare una brigata per un ristorante italiano nella Grande Mela. Come ti sei mosso e quali sono state le eventuali difficoltà? Quali sono le indicazioni principali che dai ai tuoi collaboratori?
Cuochi di linea ce ne sono molti, bisogna stare solo attenti a trovare quelli giusti. Ci si appoggia a delle società di ricerca specifiche. Una volta individuati, la parte più difficile è tenerseli stretti. Bisogna lavorarci duro, cercando di trasmettere loro l’amore e la passione per questo lavoro.
Cosa rappresenta la cucina italiana oggi in America?
La cucina italiana in America è tra le più apprezzate, alla gente piace molto.
Cosa ne pensi degli chef in TV? È un fenomeno forte anche in America?
Anche in America sta funzionando molto. Io però ho una visione negativa del fenomeno perché credo stia distruggendo la professionalità dei ragazzi che una volta usciti dalla scuola alberghiera pretendono già di essere famosi chef. La sana buona gavetta è invece ancora fondamentale per emergere.
A quale ristorante nel mondo sei più affezionato?
Il mio ristorante preferito è quello di casa mia quando torno in Italia.
Tornerai in Italia? O almeno, ci torneresti?
In Italia ci tornerei in questo istante, mi manca veramente tanto. La tranquillità, l’aria fresca del mio paese, le montagne, gli amici, il modo di vivere. Tuttavia, avendo una famiglia con tre bambini devo pensare al loro futuro e sicuramente ci sono molte più possibilità in America che in Italia. Senz’altro ci tornerò, in vacanza e anche spesso.
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