29 Maggio 2017
Il ristorante che cresce di più? È a casa. Mangiare in tutta tranquillità senza toccare una padella e dimenticandosi della spesa tra le mura domestiche è diventata un’esperienza frequente, non più solo un piano di emergenza per le serate di pioggia o di imprevisti. L’offerta ha creato una domanda e viceversa: fatto sta che in pochi anni sono nate una serie di start up che accontentano il desiderio crescente di ricevere la cena a casa (ma anche pranzo o colazione) in un tempo relativamente breve: Just Eat, Foodora, Deliveroo, Foodinho, nomi parimenti evocativi per “business model” differenti. Poi ci sono i giganti che mettono piede nel mondo food, come Amazon che consegna la spesa, e Uber con lo spin off Uber Eats, da poco sbarcato a Milano. Per tacere dei piatti pronti in vendita nei supermercati. Insomma, sembra scattata la gara a tenere i clienti lontani dai ristoranti. In Italia secondo l’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano il food delivery nella ristorazione è cresciuto nel 2016 del 29% raggiungendo i 90 milioni di euro. Una cifra minima rispetto ai 76 miliardi di euro dei consumi fuoricasa, certo, ma destinata a crescere rapidamente, visto l’arrivo di tanti nuovi attori sul mercato. Solo un anno fa debuttavano a Milano la tedesca Foodora e la britannica Deliveroo; oggi sono due realtà familiari nelle grandi città. Start up che si sono imposte grazie alla gratificazione immediata, alla velocità nel servizio, alla semplicità di utilizzo, alle confezioni eleganti e pratiche.
CLIENTI ONLINE PIÙ “RICCHI” E FREQUENTI
Lo scorso giugno il primo Osservatorio nazionale sul takeaway commissionato da Just Eat a Gfk Eurisko raccontava che nei sei mesi precedenti il 51%degli italiani aveva ordinato cibo da asporto recandosi di persona al ristorante e il 38% lo aveva fatto via telefono. Solo il 2% lo aveva fatto attraverso il pc o lo smartphone, ma questa percentuale è destinata a crescere, visto che almeno 7 milioni di italiani (il 19%del campione) manifestavano una “intention to buy”, ovvero la volontà di ricorrere al servizio. Peraltro, chi fa ordinazioni online tende a farlo 4-5 volte al mese, contro le 1-2 di chi usa metodi “analogici”, e spende molto di più: 97 euro al mese contro 32-37 dei camminatori e dei ‘telefonatori’. Tutto ciò senza considerare le consegne in ufficio, sempre più frequenti (un’opportunità da esplorare, specie se siete in una zona in cui ce ne sono tanti).
ESSERCI O NON ESSERCI
Un problema o un’opportunità per i ristoranti tradizionali? Probabilmente entrambe le cose. Da un lato c’è il rischio di perdere clienti, dall’altro la chance di guadagnarne. Da un lato è un modo per esserci e per farsi conoscere, dall’altro modifica il modo di lavorare. Da un lato necessita uno scatto mentale non da poco, dall’altro permette di aumentare i coperti virtuali, evitando i costi del servizio nel ristorante. Quel che è certo è che, non essendoci in Italia ancora compagnie “fully integrated”, che cioè hanno una cucina propria, gli aggregatori, almeno per ora, devono servirsi dell’opera dei ristoranti tradizionali. I quali hanno quindi l’opportunità di raggiungere a casa la propria clientela semplicemente pagando una commissione alla app, in genere il 10-15% in caso di “order only”, fino al 30% per gli “order and delivery”. Cifra in genere pagata dal cliente con un supplemento sul conto o dal ristoratore che rinuncia a parte del suo guadagno.
ATTENZIONE AI TEMPI
Certo, i ristoranti che giocano la partita del delivery si trovano davanti nuove sfide come quella della tempistica. Negli Stati Uniti qualcuno è arrivato a investire su una seconda cucina dedicata all’”export”, e alle consegne nel caso in cui debbano occuparsene. Di certo non è una competizione alla portata di tutti. “Per Deliveroo - dice Matteo Sarzana, general manager dell’azienda britannica - la selezione dei ristoranti viene fatta scegliendo di collaborare con quelli di fascia medio-alta che si sposano con il nostro posizionamento. Detto questo, l’unica vera caratteristica che deve avere il ristorante è preparare dell’ottimo cibo; a ottimizzare il menù per il food delivery, a tarare i tempi di preparazione per non disattendere la promessa che viene fatta al cliente finale in termini di orari di consegna pensiamo noi”. Ecco, i tempi. Come essere certi che il pasto arrivi caldo a casa del cliente? “Noi diamo al ristorante - spiega Sarzana - un campione del packaging che raccomandiamo, e sarà poi il ristoratore stesso a scegliere quello che più si presta alla sua tipologia di cibo. Tutti i rider Deliveroo sono dotati di borse termiche e zaini pensati appositamente per il trasporto del cibo e per offrire al cliente finale lo stesso gusto che avrebbe mangiando direttamente al ristorante”.
DALLA PIZZA ALLO STELLATO
Insomma c’è spazio per tutti, perché se un tempo la consegna riguardava soprattutto pizze, sushi e cibo cinese, oggi il panorama si è allargato. “Abbiamo ristoranti che spaziano dall’etnico al classico italiano, dai nuovi trend in fatto di cucina alla pizza e all’hamburger - conferma Sarzana -. Vige, tuttavia, una regola non scritta per gli italiani: si tende a ordinare di più quello che si sa cucinare di meno. Detto questo, abbiamo notato nel corso dei mesi un’impennata di ordini anche per cibi come la pasta. Evidentemente il consumatore finale, una volta capito che si può fidare della qualità, inizia a provare anche cose che in una prima fase non pensava possibile”. “Penso che dopo la fase più tradizionale del fast-food, l’ingresso di ristoranti gourmet, se ben gestito, stimolerà la domanda” ragiona Ester Gazzano, Marketing Lead di Uber.
LE DRITTE PER RIUSCIRE: MENU SEMPLICE E CHIARO
I ristoranti possono adottare qualche trucco per avere successo nella delivery: un menu breve e con piatti giusti, cambiato spesso per tener conto delle stagioni. Attenzione agli item più richiesti e al packaging. È necessaria “una maggiore attenzione all’elenco degli ingredienti contenuti all’interno del piatto, al fine di poter rispondere a esigenze specifiche come diete, intolleranze e allergie, ma va anche garantita la consegna dell’ordine in tempi brevi per soddisfare l’urgenza del cliente” raccomanda Samuele Fraternali, ricercatore senior dell’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano. Soprattutto, il food delivery non va considerato come una parte secondaria e trascurabile del proprio lavoro. Piuttosto, è come “avere un tavolo del proprio ristorante direttamente nella casa dei clienti”, come ama dire Sarzana. Insomma, Internet si siede a tavola con noi. E pare proprio che ci sia da mangiare abbastanza per tutti.
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A cura di Matteo Cioffi
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