07 Maggio 2018

Il caffè specialty conquista Parigi

di Anna Muzio


Un aroma di caffè ha invaso le strade di Parigi. Si sprigiona dalle brûleries, le micro torrefazioni che aprono ovunque nella capitale e che riforniscono centinaia di caffetterie specializzate.

Eppure fino a pochi anni fa nessuno sapeva cosa fosse un caffè specialty, distingueva arabica da robusta, si chiedeva da dove provenisse il chicco dal quale si ricavava quel liquido un po’ brodoso che servivano serialmente brasseries, bar e ristoranti.

Oggi questi piccoli templi del caffè sono frequentati a tutte le ore del giorno da appassionati che scelgono in eleganti menù il cru più congeniale ai gusti, all’occasione o all’umore e l’estrazione più adatta, chiacchierando spesso con il barista e chiedendo lumi su provenienze e aroma.

Poi, trovata la giusta alchimia, lo acquistano sul posto, quasi sempre in grani come vuole la liturgia del coffee gourmet perché il caffè va consumato fresco, e se ne vanno via contenti, dopo aver sostato un tempo variabile dai minuti alle ore in comodi divanetti o accoglienti banconi, magari con un computer per lavorare o un libro da leggere.

Siamo andati nelle torrefazioni dove tutto è cominciato e abbiamo parlato con i protagonisti. Ecco cosa ci hanno raccontato su un mondo che sta entrando anche in Italia, innestandosi certo su una tradizione ben diversa. Ma la strada del caffè del futuro, qui come altrove, sembra ormai diretta verso la qualità.

LA PIONIERA: CAFÉOTHÈQUE
Il nostro tour parte dalla Caféothèque, fondata dalla guatemalteca Gloria Montenegro nel 2005 in rue de l’Hôtel-de-Ville, varie salette una dietro l’altra in legno scuro con grandi vetrate sul Lungosenna,
calde e accoglienti. È stata la prima caffetteria specialty di Parigi.
“Tredici anni fa c’era solo una stanza dedicata alla vendita, facevano i caffè con la caffettiera a pistone, nessuno conosceva il posto, gli incassi erano di 100 euro al giorno e a un certo punto hanno anche pensato di chiudere” ci racconta Luca Mocci, maestro barista da 17 anni a Parigi che qui tiene i corsi, un aspetto portante della triade di Caféothèque (e di molte brûleries) insieme alla mescita e alla vendita. Luca l’avvento degli specialty l’ha visto nascere sotto i suoi occhi. Com’è andata? “Da cinque anni aprono caffetterie specialty in tutta la città, molte persone hanno lasciato il lavoro in ufficio per riconvertirsi nel mondo del caffè. Tantissimi si sono formati qui, fanno un corso intensivo di una decina di giorni e poi aprono.
Insomma, oltre che i primi siamo stati una vera e propria factory”. I vari caffè, una quindicina di tipologie diverse, sono tostati nella torrefattrice in negozio e venduti e, su richiesta, macinati al momento. Sei o sette vengono dal Guatemala “perché Gloria conosce direttamente i coltivatori, gli altri arrivano via contatti: Etiopia, Burundi, Camerun, Brasile. Tutti monorigine, guai nominare le miscele”.
Poi c’è la caffetteria, nella quale sono proposti tre tipi diversi ogni giorno a rotazione “perché bisogna avere un mulino per ogni caffè”. Tra i metodi di preparazione, quello che va di più è l’espresso.
“Sarebbe un approccio da proporre anche in Italia, un cliente prova diversi metodi e magari scopre che ce n’è uno che lo appassiona”.

COUTUME VIA MELBOURNE E RITORNO
Fondata nel 2010 da Antoine Nétien e Tom Clark, Coutume rifornisce oggi caffetterie, ristoranti e alberghi della capitale, dove ha due caffetterie, e ha aperto anche a Tokyo e Ginevra.
“Non vogliamo essere chiamati brûlerie perché noi il caffè non lo bruciamo. Il lavoro del torrefattore è esaltare ciò che rende quel caffè particolare, il profilo, l’origine” spiega Nétien.
Dove è iniziato questo nuovo approccio? “In Australia, a Melbourne. Ero lì per girare un documentario e ho provato un caffè: è stata una rivelazione. Mi sono fermato cinque anni e ho imparato tutto sul caffè. Nel 2007 ho vinto il Golden Bean. La scena è in mano a piccoli torrefattori artigianali e baristi di origine italiana che conoscevano il mestiere ma, essendo nati lì, erano più aperti all’innovazione: hanno iniziato a lavorare all’esaltazione del caffè. Hanno capito che il caffè a volte era sporco, aveva dei difetti. Noi in Europa siamo così sicuri di conoscere tutto che a volte siamo bloccati, e invece siamo 10-15 anni indietro in quanto a tracciabilità e qualità dei chicchi. Al ristorante ad esempio alla fine di un buon pasto il caffè è spesso imbevibile, sa di portacenere. E a quel punto non resta che aggiungere zucchero”.
Dopo dissapori con il socio australiano, la decisione di tornare in Francia. Com’è andata all’inizio? “Non è stato semplice, mi portavano indietro i caffè dicendo che erano troppo caldi o forti. Devi parlare, capire quali chicchi proporre a seconda del gusto personale, spiegare le differenze. Dopo un mese hanno iniziato a ringraziarmi. Per mostrare alla gente un caffè migliore abbiamo fatto corsi, chiamato chef, oggi lavoriamo molto con i ristoranti”.
Antoine assicura che questo è un momento magico a Parigi per il caffè. “Quando abbiamo iniziato sei anni fa eravamo in quattro, oggi ci sono 170 caffetterie specializzate, e si stanno diffondendo in tutta la Francia. Il caffè specialty sta esplodendo ovunque, dai negozi di abbigliamento a ristoranti, librerie e retail in genere, specialmente nel lusso. Noi vendiamo praticamente a tutti”.
Qual è il prossimo passo? “La sostenibilità, il bio e il fair trade: se compri da un importatore non sai come è stato coltivato il caffè, non hai controllo, la gente vuole provare nuovi cru ma è necessario consolidare il proprio nome ed essere trasparente su ciò che si propone”.

BELLEVILLE SI ALLARGA
Arriviamo alla sede storica di rue Rue Pradier un sabato mattina nel bel mezzo di un corso-degustazione. La brûlerie Belleville è il coté fashion: nata quattro anni fa da David Flynn, laureato in filosofia, Thomas Lehoux, studi di storia e Jeff Marois, musicista, dopo aver diffuso il verbo specialty sta moltiplicando le aperture.
Lo storico bistrò La Fontaine e una piccola caffetteria a Belleville, quartiere di tendenza benché un po’ periferico, e un corner in centro a Parigi, all’interno dei grandi magazzini L’Exception. In primavera partirà il progetto più ambizioso, un grande spazio industriale riadattato dove è già stata spostata la torrefazione e cui sarà annesso bar e bistrò. “La gente è sempre più interessata allo specialty, gli abitanti del quartiere vengono a comprare caffè e si fermano a chiedere, noi siamo qui per rispondere alle loro domande e fargli degustare i vari tipi, siano clienti finali, distributori o baristi” ci dice Mihaela. Un’attenzione speciale è destinata alla mixology a base caffè, con creazioni come il cocktail Espresso Martini, realizzato con vodka Grey Goose.

Insomma, a Parigi tutti gli occhi sono puntati sul caffè. Ma è un’opportunità da sondare anche in Italia. Perché non è una moda passeggera: il gusto sta evolvendo. E, come ci ha detto Antoine, dopo che hai assaggiato un caffè ottimo, non puoi più tornare indietro.

Specialty, le dritte per proporlo

TAG: MIXER 304

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