25 Settembre 2018
C’era una volta… – un re! – potranno dire subito i nostri lettori. No, mi spiace, avete sbagliato. C’era una volta un pasticcere, che era anche cuoco e cerimoniere di “sposalizi”. Il suo nome? Don Mario. È così che inizia la bella favola dei Fiasconaro. “Siamo nel 1953 – ci racconta il maestro Nicola Fiasconaro, quello che, dei tre figli di Mario, ha abbracciato l’arte delle pasticceria – quando papà aveva solo 24 anni. E come in ogni favola che si rispetti, c’è pure un castello: quello di Castelbuono, comune medievale del palermitano. Microcosmo siciliano compreso tra le vette innevate delle Madonie e lo smalto blu del Mediterraneo. Tempi ormai remoti, in cui non c’erano frigoriferi e per garantire la catena del freddo ci si approvvigionava ancora nelle neviere delle montagne vicine. Papà il suo laboratorio lo aveva in casa e noi siamo nati lì: avvolti dalle fragranze di burro, brioche, cioccolato, mandorle e cannella. Immersi fin da subito nel suo laboratorio di sapori della tradizione.” Un inizio in sordina, quasi incredibile adesso, a distanza di più di cinquant’anni. E sono i numeri a fare la differenza, raccontandoci – oggi – di un’azienda familiare che pensa in grande: oltre 14 milioni di fatturato nel 2016, per un utile netto che supera il milione di euro, più di 5.000 clienti con una presenza importante sui mercati esteri, che oggi vale il 20% dei volumi. Un vero e proprio sistema aziendale che si rivolge all’alta fascia dell’Horeca. “Ancora una volta, tutta la mia riconoscenza va a papà – prosegue Nicola –. Fu lui, infatti, a incoraggiare la mia passione, dandomi l’opportunità, fin da giovanissimo, di “andare a bottega” presso grandi pasticceri siciliani, esponenti delle diverse tradizioni dolciarie della mia isola. Mi sono fatto le ossa giorno dopo giorno, trasmettendo le mie conoscenze nel laboratorio di Castelbuono.”
La pasticceria Fiasconaro, oggi, è nota per le sue paste lievitate (panettoni e colombe, specialmente), che – a voler essere obiettivi – poco hanno a che vedere con la tradizione siciliana. Come è nata questa passione, presto tradottasi in un successo?
Avevo vent’anni quando feci la grande scoperta, frequentando l’Accademia culinaria di Asti: me ne innamorai all’istante e decisi frequentare un corso sulle paste acide e da ricorrenza. Fu questa “cotta” giovanile che mi portò a scommettere sul futuro e fare la mia piccola- grande rivoluzione. Riuscii a convincere anche papà e in breve i panettoni cominciammo a produrli da noi, quadriplicando in poco tempo le vendite. La vera intuizione fu scommettere sulla destagionalizzazione di questi prodotti.
Come ci è riuscito?
Immagino che sia stato fondamentale lavorare sul sincretismo culturale. Il punto di partenza imprescindibile sono state le tre grandi botteghe di paste lievitate: quella lombarda, quella veneta e quella piemontese. Su questa scuola ho “innestato” le specialità della mia terra: dalle mandorle di Avola, ai pistacchi di Bronte, dal cioccolato di Modica, alla Manna dei Nebrodi, un giacimento di leccornie, rivisitato in chiave attuale. In questo modo il panettone si è trasformato in uno scrigno di sapori mediterranei, “giusto” in ogni momento dell’anno, non solo durante le feste.
Come è strutturato oggi il sistema Fiasconaro?
Il quartier generale rimane sempre a Castelbuono, in piazza Margherita, dove abbiamo il nostro laboratorio, il bar Fiasconaro e il negozio. Ma la nostra ricchezza risiede anche nel resto dell’isola: in 11 laboratori sparsisul territorio, per l’esattezza, dedicati alla produzione di singole specialità: come le confetture a Enna, il Fragolino a Sciacca, i torroncini nel catanese, il cioccolato nella Contea di Modica, il miele d’ape nera sulle Madonie, e così via. Oggi la nostra produzione giornaliera di panettoni è di 8.000 pezzi, realizzati grazie all’impegno di 130 persone, ma – nonostante questi numeri –rimaniamo pasticceri: legati all’artigianalità della produzione. Ad essersi affinati, ovviamente, sono gli standard qualitativi, avallati e supervisionati da Istituti Universitari, a garanzia e tutela di un patrimonio culinario, sterminato, purtroppo spesso a rischio, proprio a causa della sua ampiezza.
Durante la sua gavetta, ha avuto modo di sperimentare le diverse tradizioni dolciari dell’isola. Quale ha condizionato maggiormente il suo stile?
Ogni tradizione ha una sua peculiarità preziosa, tuttavia è la scuola messinese quella che mi ha forgiato più profondamente, forse anche perché ho imparato a conoscerla da ragazzino (avevo circa 14 anni). La caratteristica che ne apprezzo di più è la capacità di osare nei dosaggi. Emblematica, in questo senso, la lavorazione della ricotta di pecora, che nel messinese viene zuccherata ancora calda, con un procedimento, quindi, che – consentendo di ridurre drasticamente la percentuale di zucchero – ne esalta maggiormente il gusto.
[caption id="attachment_146878" align="alignleft" width="300"] Don Mario Fiasconaro con i figli Martino, Nicola, Fausto[/caption]
Ha parlato della Sicilia come di un giacimento di sapori, immagino dunque sia difficile fare una scelta, ma se dovesse farlo, quale ingrediente ritiene emblematico?
Ha ragione, non è facile. Però se proprio devo, non ho dubbi: scelgo lo strutto (o sugna), attore onnipresente, tanto nei dolci quanto nei salati, nella tradizione culinaria siciliana. Parliamo di un ingrediente povero, oggi guardato con sospetto dai salutisti (si scioglie a 32 punti di fusione e quindi risulta “pesantuccio”) e già da tempo sostituito con il burro di panna da pasticceri del calibro del palermitano Caflisch o del catanese Caviezel. Eppure in alcune ricettazioni è impossibile prescinderne: pensi per esempio alle “cozze” dei cannoli, riuscirebbe ad immaginarne uguale sapore, consistenza e croccantezza se non fossero fatte con la sugna? Il burro è il trionfo dei lievitati, ma lo strutto mantiene inalterato nel tempo il suo fascino…
Alcolati in pasticceria: cosa utilizza preferibilmente Nicola Fiasconaro?
La mia scelta ricade essenzialmente su prodotti locali: dal moscato di Noto e Siracusa alla Malvasia delle Lipari; dallo Zibibbo al Marsala superiore. A chi ama gusti più delicati, consiglio i rosoli artigianali a base di gelsi o di cannella. Sapori antichi, che mi riportano indietro ai tempi in cui papà Mario, gran cerimoniere di nozze, produceva in casa il rosolio che avrebbe accompagnato la classica torta nuziale a 5 piani e – molti anni dopo – avrebbe costituito per me un viatico alla bella arte della pasticceria…
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A cura di Matteo Cioffi
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