birra
12 Luglio 2018Sabato 7 luglio a Pedavena, nell’ambito della Festa dell’Orzo 2018, si è tenuto il primo Simposio della Birra Italiana di Qualità organizzato dalla Fabbrica di Pedavena. Da angolazioni diverse è stata proposta una panoramica sullo stato dell’arte della birra in Italia che negli ultimi vent’anni ha conosciuto una vera e propria rivoluzione, sia dal punto di vista dell’offerta (con l’ingresso sulla scena di diverse centinaia di nuovi piccoli birrifici), sia relativamente alle abitudini di consumo (che hanno guidato la crescita della diversificazione del prodotto).
Una tavola rotonda che ha rappresentato un vero e proprio evento nell’evento e al quale hanno partecipato esperti del settore (Matteo Zanibon di Gfk Italia, Massimo Barboni, direttore commerciale Birra Castello, Agostino Arioli, fondatore e birraio del Birrificio Italiano, Eugenio Signoroni, coordinatore della Guida Birre d’Italia di Slow Food e Anna Managò, esperta di marketing e titolare dell’agenzia ByVolume). Assieme a loro i mastri birrai di Fabbrica di Pedavena (Vittorio Gorza, Giovanni Maccagnan e l’attuale capo della produzione, Dario Martinuzzo).
Fabbrica di Pedavena ha voluto dare inizio e ospitare presso la propria sede questo simposio con l’augurio che possa diventare nel tempo un appuntamento fisso per tutti gli appassionati del settore.
FABBRICA DI PEDAVENA: UN PASSATO IMPORTANTE E UN FUTURO CUI GUARDARE - Maurizio Maestrelli, giornalista di settore, in qualità di moderatore ha dato il via a questa “edizione zero” del Simposio dando la parola a Vittorio Gorza e Giovanni Maccagnan, entrambi storici Mastri Birrai della Fabbrica di Pedavena che dopo un interessante excursus sulla nascita della Fabbrica di Pedavena nel lontano 1897, in un contesto in cui pareva essere il momento giusto per l’inserimento sul mercato di birre a bassa fermentazione, “morbide” e facili da bere, hanno parlato delle peculiarità di questo birrificio. Peculiarità che non sono solo gli ingredienti come l’acqua morbida ed eccellente e le materie prime di alta qualità. Infatti c’è di più: Fabbrica di Pedavena vanta un passato di formazione scolastica e professionale, essendo stata la sede di svolgimento delle lezioni pratiche del triennio del Corso Professionale per Birrai Maltatori della scuola Rizzarda di Feltre, unico in Italia. Nato grazie alla volontà della Famiglia Luciani, il corso ha inaugurato la sua prima edizione ufficiale nell’ottobre del 1951 ed è continuato fino alla fine degli anni Settanta fino a contare ben 271 diplomati, tra i quali si annoverano ancora oggi grandi maestri del mondo birrario e in differenti realtà. Quella stessa scuola birraria, tra i suoi vari meriti, può vantare anche quello di aver contributo a stimolare in modo decisivo l’industria manifatturiera italiana per la fabbricazione di macchinari utili alla produzione della birra e la conversione di vasti appezzamenti di terra alla produzione di orzo distico, che non richiede pesticidi o fertilizzanti chimici e, quindi, con beneficio per l’ambiente oltre che per l’economia del Paese.
BUONO DA MANGIARE, BUONO DA PENSARE. SOCIALE E CONDIVISIBILE, AUTENTICO E GENUINO Matteo Zanibon di GfK Italia attraverso i risultati di ricerche di mercato ha tracciato un percorso evolutivo dello scenario alimentare degli ultimi anni. Il cibo è sempre meno vissuto come “prodotto” ma sempre più come “esperienza”: mangiare non è sempre solo nutrirsi ma è anche e soprattutto relazionarsi, trovare significato ed emozione. Il cibo, e quindi anche la birra nello specifico, non solo devono essere buoni da mangiare ma anche “buoni da pensare”. La competizione tra brand oggi – ha sottolineato Matteo Zanibon – si gioca sulla capacità di raccontare e trasmettere un’esperienza e un sistema di valori. Una forte tendenza è quella della naturalità, un trend altrettanto decisamente in crescita è quello del biologico (nel 2008 segnava un 21% e nel 2017 un 43%). Oggi la piccola realtà locale piace, piacciono i piccoli produttori. Sono sempre più importanti i concetti “sociale” e “condivisibile”, “autentico” e “genuino”, “etico” ed “equo”. Mangiare, soprattutto per gli italiani è una vera e propria passione e sempre più un’esperienza sociale, da condividere non solo con chi è a tavola con noi. La birra è sociale e condivisibile, gratificante e gustosa, autentica e genuina, curiosa e stimolante, vicina e locale, naturale e semplice. Elementi che possono far pensare che il DNA della birra sia perfettamente in linea con l’evoluzione degli stili socioalimentari degli italiani.
UNA BIRRETTA, LA BIRRA, LE BIRRE. GLI ITALIANI STANNO RISCOPRENDO LA COMPLESSITÀ DELLA BIRRA Secondo Massimo Barboni, Direttore Commerciale di Birra Castello, la birra è passata attraverso tre macro fasi storiche: “una birretta”, “la birra” e “le birre”. Oggi la birra è entrata quindi nella terza fase e fa ormai parte degli stili di consumo e della cultura degli italiani. A riprova di questo, nel 2017 la birra ha raggiunto il suo punto più alto in termini di consumi in Italia. Per molti decenni la birra non ha pienamente fatto parte della nostra cultura: non era ancora birra, ma semplicemente “birretta”: qualcosa di esotico e di frivolo, una bevanda simpatica, fresca e dissetante che rappresentava la migliore soluzione per un fugace e passeggero distacco dalla realtà.
Negli anni Ottanta, complici anche i più frequenti viaggi all’estero dei giovani e gli investimenti dei grandi gruppi birrari, la birra è diventata un simbolo di modernità, di aggregazione giovanile, di internazionalità e di progresso. In quella fase prevaleva la valenza simbolica della birra: quello che c’era dentro la bottiglia non era ancora così rilevante. Da qualche anno siamo ormai entrati nella terza fase di sviluppo: l’attenzione si è spostata da quello che c’è fuori dalla bottiglia a quello che c’è dentro. Si parla sempre più di prodotto, di ingredienti, di metodi di produzione, di abbinamenti con il cibo, di modalità di servizio. Inevitabilmente più che di BIRRA si parla sempre più di BIRRE, per sottolinearne la complessità e ricchezza di sfaccettature. Complici e artefici di questa evoluzione sono state – lo ha sottolineato Massimo Barboni – le birre artigianali che negli ultimi vent’anni hanno reso il mondo della birra protagonista di una vera e propria rivoluzione. L’ingresso sul mercato di circa un migliaio di nuovi piccoli birrifici ha contribuito a modificare la percezione di un prodotto che oggi può raggiungere segmenti più ampi di mercato, alcuni dei quali storicamente dominati dal vino. “La crescita delle artigianali non è infatti andata a discapito delle birre industriali -ha sottolineato Barboni– ma queste hanno contribuito ad allargare e ad aumentare l’interesse per l’intero settore”. La birra continua però a rimanere un prodotto “accessibile”, “aggregante” ed “emozionale”. Una birra deve sapere quindi parlare anche al cuore delle persone e non perdere il suo carattere democratico.
LA BIRRA ITALIANA DI QUALITA’ HA PIANTATO UN SEME E L’HA FATTO FIORIRE CON VIGORE Non ha dubbi al riguardo Eugenio Signoroni, Coordinatore della Guida Birre d’Italia di Slow Food Editore. La birra può essere molte cose diverse, tanti profumi, tanti colori, tante sfumature. Il movimento artigianale ha dato energia al mondo della birra nella sua interezza. E la diversificazione ha raggiunto il mondo della birra tutto. Alcuni aspetti che caratterizzavano esclusivamente le artigianali oggi non sono più di loro utilizzo esclusivo. A poche settimane dall’uscita dell’ultima edizione della Guida Birre d’Italia di Slow Food Editore Eugenio Signoroni ha affermato con sicurezza che la qualità diffusa è più alta. Il settore è cresciuto in modo evidente. Come è anche vero che ci sono realtà cresciute molto e velocemente che non hanno saputo gestire la situazione in termini di qualità della birra. Rimane però ancora molto da fare secondo Signoroni; per esempio, l’offerta della birra nei ristoranti non è sempre adeguata alle esigenze dei clienti che richiedono varietà e qualità e non solo la solita lager messa nel frigo e nel menù delle bibite.
BIRRIFICIO ITALIANO, UNO DEI PIONIERI DEL MOVIMENTO ARTIGIANALE ITALIANO Alla domanda di Maurizio Maestrelli se si aspettava di trovarsi in un panorama così delineato come è oggi dopo vent’anni Agostino Arioli, Fondatore e Birraio del Birrificio Italiano ha risposto: “Decisamente no. Pensate che ho chiamato il mio birrificio Birrificio Italiano perché non mi aspettavo che ne sarebbero seguiti tanti altri”. Era il 1996 e nasceva il primo brewpub in Lombardia e i primi due anni sono stati abbastanza difficili “anche perché – ha raccontato Arioli – ho aperto in un paesino improbabile nella remota provincia di Como”. Un inizio da homebrewer e quindi un corso di laurea: “Devo tanto alle persone dell’industria che mi hanno aiutato – ha raccontato Arioli – all’inizio del mio percorso ho preso tanto da quel mondo da un punto di vista scientifico e tecnologico. Soprattutto, ci tengo a ringraziare Gianni Pasa che nella Fabbrica di Pedavena è stato per molti anni il capo della produzione oltre che il direttore del birrificio”.
Il Birrificio Italiano è sempre stato e continua a essere molto aderente e fedele al suo concetto di artigianalità che si potrebbe riassumere nel concetto “nessun trattamento dopo la fermentazione” e vuole continuare a rimanere in quel contesto senza crescere troppo. Produce birre “da bere tutti i giorni” e birre più particolari con il nuovo marchio Klanbarrique. Secondo Agostino Arioli le grandi aziende birrarie stanno andando sempre più verso le specialità, lanciando prodotti speciali e utilizzando anche un linguaggio che prima era utilizzato esclusivamente dagli artigiani. Parallelamente c’è il mercato artigianale che cresce e per crescere ha prodotti sempre meno caratterizzati, buoni da bere tutti i giorni. Ma le artigianali devono essere orgogliose di produrre anche delle ottime pils, che rappresentano certamente un’importante opportunità per allargare il numero dei consumatori interessati.
IL MERCATO DELLA BIRRA OGGI È TALMENTE COMPETITIVO CHE NON È PIÙ SUFFICIENTE FARE UNA BUONA BIRRA. BISOGNA ANCHE PARLARE DI PRODOTTO E DI BRAND Anna Managò, esperta di marketing e di birra, account director di ByVolume, società inglese di consulenza con sede a Londra, ha sottolineato come il fenomeno italiano abbia le stesse dinamiche dei mercati birrari di USA e Regno Unito, seppure con tempi diversi. Se è vero che il marketing delle piccole aziende birrarie è stato spunto per il marketing delle aziende medio-grandi, se è vero che il modo di raccontarsi dei piccoli è sempre più spesso utilizzato anche dai grandi, è anche vero che i birrifici artigianali oggi hanno preso dei codici e dei linguaggi dell’industria: si pensi per esempio a tutti quei birrifici che già da tempo hanno introdotto le bottiglie da 33cl e tutte quelle realtà che stanno introducendo le lattine.
Quello che sta succedendo molto all’estero ma sta iniziando a verificarsi anche in Italia – ha sottolineato Anna Managò – è che c’è una “terra di mezzo” in cui competono artigiani e industrie. C’è un terreno comune sul quale si trovano a competere entrambi gli attori e con grande difficoltà. E con un po’ di confusione nella testa dei consumatori che se in una fase iniziale si sono dimostrati contenti dalla maggiore diversificazione offerta dall’ingresso sul mercato dei birrifici artigianali oggi quella stessa diversificazione gli si sta ritorcendo contro rischiando di diventare addirittura controproducente. Perché troppa rischia di mandare in tilt il processo di scelta portando sempre più a desiderare un’opzione “sicura” e già “testata”. Proprio per questo motivo non è un caso che anche gli artigiani inizino a parlare di “lager” proponendo stili di birra che all’inizio erano ad appannaggio esclusivo dell’industria. E per Anna Managò che ha un occhio vigile sulla realtà birrarie d’oltreoceano e d’oltremanica se l’Italia può avere dei margini di crescita all’estero è però necessario che i birrifici inizino ad avere più audacia nella comunicazione. Si parla tanta di birra ma bisogna anche puntare sul marchio, sul brand. Fare marketing significa valorizzare il prodotto, raccontandone la storia e la personalità e non solo la ricetta.
UN NUOVO BIRRAIO E UNA NUOVA BIRRA E la grande tradizione birraria della Fabbrica di Pedavena è oggi portata avanti da Dario Martinuzzo che, dopo sette anni di formazione presso il birrificio di Weihenstephan, ha recentemente assunto il ruolo di Mastro Birraio della Fabbrica di Pedavena. A chiusura del Simposio Dario Martinuzzo ha presentato la nuova birra creata, come ogni anno, appositamente per festeggiare la festa dell’orzo, una birra dedicata all’evento: Dolomiti, Fiorita. Una Birra Dolomiti quindi, la selezione riserva di Fabbrica di Pedavena.
Il progetto “Birra Dolomiti” è nato nel 2006, anticipando i tempi che hanno portato a valorizzare l’idea di una filiera integrata tra coltivatori e produttori. Birra Dolomiti, il frutto dell’imprescindibile legame con il territorio di origine, viene prodotta nel rispetto dell’ambiente circostante e con l’utilizzo di materie prime locali. La coltivazione dell’orzo, che costituisce appunto uno degli assi portanti del progetto, è svolta dalla locale Cooperativa La Fiorita, alla quale è stata dedicata questa birra con l’omaggio del nome.
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A cura di Matteo Cioffi
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