08 Agosto 2018
Dice che nessuno ha più il coraggio di criticare e che i cuochi troppo fantasiosi gli fanno perdere le staffe. Edoardo Raspelli, critico gastronomico e conduttore di Mela Verde su Canale5, odia i commenti su Tripadvisor e fatica a sopportare gli chef italiani bravi ma permalosi e irriconoscenti. Diligente, attento, pronto a tutto, Raspelli spiega subito di come, quando e quanto si sia spostata l’asticella (verso l’alto, ovviamente) in fatto di food nel nostro Paese. E inizialmente la prende un po’ alla larga. “Nel 1975, Cesare Lanza, mio direttore di allora al Corriere d’Informazione, mi obbligò a criticare i ristoranti e mi portò a inventare la critica gastronomica. In un box c’era davvero il peggio. Ai tempi, il consumo di vino pro capite era di 120 litri, in Italia: c’erano il Lambrusco, il Chianti. Stop. Perché in quel periodo si mangiava senza una particolare attenzione alla qualità o alle proprietà nutritive di un piatto. Il piacere di mangiare è nato nel 1977, con Gualtiero Marchesi, l’Enoteca Pinchiorri e un altro pugno di ristoranti che diedero la svolta. Da lì si registrò il ‘risveglio’ del ristoratore. La Coldiretti successivamente ha puntato sui produttori e sul chilometro zero. Fui testimone della nascita di Slow Food con Petrini. Fondammo poi la Guida dell’Espresso, con cui dare un giudizio (anche negativo) dei ristoranti. Sul Manifesto curavo la pagina di Gambero Rosso. Ottanta e Novanta erano gli anni del nuovo benessere italiano. Infine, storia recente, la tivù e i talent hanno sdoganato definitivamente i cuochi stellati”.
Come si relaziona oggi il mercato nei confronti dell’alta qualità?
Nel migliore dei modi, perché sempre più attento. In Italia non abbiamo tutti la mentalità di spendere tanto per mangiare. Ma le cose stanno cambiando e il consumatore è migliorato. Ha tante altre priorità, l’occupazione in primis, ma tra queste ha iniziato a riservare risorse destinate alla propria alimentazione.
Alta qualità è sinonimo di inaccessibilità e alti costi?
No. O comunque non sempre. Girando per l’Italia è possibile scoprire posti in cui si mangia in modo eccelso e a prezzi più che ragionevoli. Se stiamo parlando di impresa, in Italia possiamo fare grandi cose. In un grande ristorante in Francia - dove non ci sono primi piatti in menù - lo scontrino medio va da un minimo di 80 fino ai 300 euro. Il mio suggerimento quindi è di rivedere i menù della propria attività.
Come giudica la filiera italiana, oggi?
Nella 593esima puntata di Mela Verde, trasmissione nata nel 1998, abbiamo festeggiato vent’anni: anni di racconti, di regione in regione, di paese in paese, per cercare appunto di raccontare la filiera nazionale. E ci sono tantissime cose ancora da scoprire e riscoprire sul territorio.
Come possono i ristoratori fare un salto di qualità mantenendo i costi moderati e quindi accessibili a una clientela media?
Prima cosa: limitare lo stoccaggio. Poi, ridurre la carta dei vini, più che specializzarsi, e fare attenzione ai dettagli, a poche cose ma mirate. Prendiamo la Terrazza Gallia a Milano che, grazie alla catena Marriott, ha alzato la qualità in modo davvero attento evidenziando così le sue peculiarità.
Come dovrebbero, catene e ristoratori, gestire gli approvvigionamenti? C’è ancora tanto da scoprire sul territorio italiano?
Se l’Italia diminuisse l’industria pesante, si potrebbe valorizzare maggiormente il territorio. Le carte dei vini sono un esempio ma, più in generale, tutta la cucina dovrebbe imparare a valorizzare i prodotti del luogo. Ricordiamoci sempre che il nostro è un Paese a forte vocazione turistica.
La gestione dei costi della materia prima, che non è infinita, è sempre una questione delicata: come la risolverebbe? Come trovare il giusto equilibrio?
Si riduca sulle primizie, sui prodotti che vengono da lontano, ma anche su certi orpelli. Le fragole spagnole, frutta e verdura fuori stagione: perché? Parliamo di nocciole: quelle IGP del Piemonte sono la fine del mondo.
Presìdi, coltivazioni, associazioni, eccellenza vecchia e nuova: quanto e cosa si può ancora fare?
Noi italiani, a differenza di tanti altri, siamo ancora provinciali: da valle a valle, da campanile a campanile, la storia si ripete. Capisco le diversità. Intanto, manca la socialità.
Dall’ultimo rapporto Italfruit risulta che l’ortofrutta certificata rispetto ad altri prodotti come formaggi è usata da pochissimi ristoranti. Come spiega questo dato?
Quando si mangia al ristorante si passa dal secondo piatto al caffè: spesso la frutta non è proprio contemplata. Del resto, il ricarico sul dolce è più facile. Come si può farlo su un’arancia o una pesca?
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