L’autore è Consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e Amministratore del Centro Studi Assaggiatori www.assaggiatoricaffe.org
caffè
05 Dicembre 2018Potete leggerla come un’inversione di campo: l’Italia della miscela riscopre le monorigini e i nuovi mercati che sono partiti da queste si innamorano della miscela. Oppure potete intenderla come l’ennesima destrutturazione dei nostri tempi: la scomposizione della miscela nelle sue componenti a opera di moderni democriti alla ricerca dell’atomo che compone la materia. In ogni caso è chiaro che l’Italia, madre delle miscele per espresso, di per sé espressione di complessità e ricchezza sensoriale, è pervasa dalla voglia di caffè in purezza. All’inizio nel nostro paese i bar che proponevano monorigini oltre alla tradizionale miscela per espresso erano un numero esiguo e normalmente etichettati come specializzati, gourmet, per intenditori e così via. Oggi è invece sempre più comune vedere baristi di ogni tipo interessarsi al tema. I motivi sono i più diversi. C’è chi lo fa in modo molto genuino, mosso da reale interesse, e chi fondamentalmente invece insegue la tendenza ma senza convinzione. La differenza di atteggiamento si vede in tazza: nel primo caso la cura è totale con prodotti molto ben realizzati, nel secondo la lavorazione è dozzinale con conseguente delusione sensoriale (e in questi casi non aspettatevi granché neppure dalla miscela).
VIVA LA MISCELA, SEMPRE
Alla base del successo delle monorigini in un bar c’è sempre un sano egocentrismo del barista. Il professionista che compra certi tipi di caffè lo fa infatti prima di tutto per suo piacere personale: ostenta la scelta dei chicchi come quasi ideologica e sa già che solo una minoranza dei clienti lo seguirà. Il barista che compra convintamente, propone anche efficacemente, perché sente che quei caffè in purezza sono espressione della propria personalità, un momento di esaltazione del proprio gusto, e che proporli ai clienti è una ricerca di affinità intellettuale. Un barista quindi che si gode appieno il proprio ruolo, rifiutando di essere passivo esattore di un obolo del cliente per una dose di caffeina. Intendiamoci, viva la miscela, sempre: ci rappresenta con la sua finezza e la sua complessità, è il portabandiera di una cultura sofisticata come quella italiana, è la base del successo del nostro espresso nel mondo. Allo stesso modo lunga vita anche alle monorigini al bar, un punto rilevante soprattutto per il barista ancor più che per il cliente: i loro incassi sono generalmente esigui e non tali da giustificare la complessa macchina organizzativa necessaria a gestirle, eppure sono un’eccezionale palestra mentale, sensoriale e relazionale per il professionista dietro il bancone. Una sfida che impone regole d’ingaggio nuove con il cliente, narrazioni diverse, strategie alternative. Tutto poi a favore della miscela stessa: scelta con più cura, realizzata con maggiore competenza e comunicata meglio.
L’autore è Consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e Amministratore del Centro Studi Assaggiatori www.assaggiatoricaffe.org
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A cura di Matteo Cioffi
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