pubblici esercizi
05 Febbraio 2019In principio erano i cinesi, poi sono arrivati i giapponesi. Ora – a partire dalle grandi città – anche le altre cucine orientali stanno prendendo piede nel nostro Paese mentre i “primi arrivati” stanno cercando di cambiare pelle, per soddisfare un consumatore che cerca autenticità e non si accontenta di spendere poco. E anche gli imprenditori italiani trovano interessante investire in queste nuove forme di ristorazione orientale. «Finalmente anche in Italia l’offerta di cucina orientale si sta avvicinando a quella di Francia, Spagna o Regno unito – afferma Aldo Mario Cursano, vicepresidente vicario di Fipe – e risponde alle nuove aspettative».Cursano ha creduto nelle opportunità offerte dalla cucina orientale fin da tempi non sospetti. «Pur venendo dalla ristorazione tradizionale – racconta – oltre 13 anni fa ho aperto a Firenze Kome, un format che offre un barbecue coreano, due kaiten-sushi in cui i maestri di sushi si esibiscono come in uno spettacolo nella preparazione a vista intorno a un bancone girevole, e un altro livello in cui l’esperienza della cucina giapponese si vive in un modo diverso, conviviale, la Kome Gallery Izakaya. Siamo partiti nel 2004 con una formula che abbinava la cucina brasiliana al crudo giapponese e l’offerta era per il 70% brasiliana e per il 30% nipponica. Nel giro di un mese la percentuale era capovolta, quindi abbiamo deciso di concentrarci sull’orientale. Credo che questo sia dovuto alle componenti di estetica, bellezza, freschezza, ma anche salutismo che vengono associate alle cucine orientali. Poi c’è la curiosità di provare gusti nuovi, più tipica dei giovani e delle donne, che però poi si estende al resto della famiglia».
[caption id="attachment_151740" align="aligncenter" width="300"] Il barbecue coreano[/caption]
L’autenticità di ogni cucina e cultura non si improvvisa. «I veri custodi – sostiene – sono i cuochi e gli chef legati alla storia e cultura dei loro Paesi. La garanzia dell’arte della cucina Giapponese è legata ai sushi man e all’uso di ingredienti basici giapponesi, questo è garantito da pochissimi locali. La stragrande maggioranza, infatti, è cinese che in qualche modo scimmiotta questa cultura per questo è importante distinguere l’autentica cucina giapponese da quella imitata dai cinesi. Nel caso mio, nelle mie attività in cucina ho tutti sushi man ed assistenti giapponesi ed anche in sala ho una adeguata presenza di assistenti giapponesi. Essi soro la vera ed unica garanzia della tradizione e qualità giapponese».
IL RISTORANTE CINESE CAMBIA PELLE
Ma anche la cucina cinese si sta adeguando ai cambiamenti. Lo conferma Marta Valentini, sinologa, sommelier e Direttore esecutivo dell’Istituto Confucio-Università degli Studi di Milano che ha vissuto in diverse aree della Cina, conoscendone le reali tradizioni gastronomiche. «La cucina cinese è molto più vasta di quello che leggendo i menù della maggioranza di ristoranti cinesi in Italia si possa immaginare – afferma – almeno fino a qualche anno fa i menù erano molto poco realistici e presentavano gli stessi piatti (involtino primavera, riso alla cantonese, pollo con le mandorle). Negli ultimi anni il panorama si sta allargando. Parlo per Milano, dove vivo e c’è una grossa comunità cinese». La Cina è come l’Italia, da un punto di vista gastronomico, sebbene molto più in grande, con una cucina dalla forte connotazione regionale, con piatti, ingredienti, spezie, tipici di ogni area. «Per esempio – racconta – nel nord della Cina, si usano molto i prodotti a base di grano: spaghetti, pane cotto al vapore, ravioli; nel sud ci sono le risaie e quindi i piatti a base di riso. A Milano stanno aprendo ristoranti del Sichuan, considerata dai cinesi una delle migliori regioni quanto a gastronomia, dalla cucina molto piccante per l’uso dell’ huajiao, meglio noto come pepe del Sichuan. Nascono anche ristoranti che fanno solo i ravioli o gli spaghetti tirati a mano , che sono tipici di Lanzhou, nord della Cina. Nei piccoli centri, forse la situazione è meno evoluta e lontana dalla ricchezza della cucina cinese». I piatti a noi più familiari esistono, ma con connotazioni diverse: «Gli involtini primavera – spiega la Valentini – sono consumati soprattutto nel sud della Cina nel periodo del Capodanno cinese (Festa di primavera) perché una volta fritti ricordano il colore dei lingotti d’oro e sono considerati benauguranti. Il riso alla cantonese viene mangiato come piatto unico, da consumare quando si ha fretta… un po’ come il nostro panino».
[caption id="attachment_151743" align="aligncenter" width="300"] Piatti della cucina cinese[/caption]
NUOVI MODI DI INTERPRETARE IL SUSHI
Anche la cucina giapponese cerca nuove strade per distinguersi. Lo dimostra la strategia di “This is not a sushi bar”, la catena di sushi delivery che ha portato – per il momento solo a Milano – la consegna a casa o in ufficio della cucina giapponese, gestita in modo centralizzato da un software sviluppato internamente, introdotto prima della comparsa delle delivery app e prima che la consegna a domicilio diventasse un’abitudine. In maggio, la catena ha aperto il quinto shop, sempre nel capoluogo lombardo, in cui è prevista la possibilità di consumare il sushi in loco. “Abbiamo voluto creare– spiega Matteo Pittarello, cofondatore e presidente di This is not – un ambiente più accogliente e funzionale rispetto agli altri quattro ristoranti per favorire il consumo in loco e per farci conoscere e vedere all’opera dai clienti che generalmente interagiscono con noi tramite sito, app o social media.” A caratterizzare il locale è la console ergonomica studiata per i sushi men: un piano di lavoro che si sviluppa attorno ai cuochi e che permette loro di avere ingredienti e strumenti a portata di mano, semplificando la preparazione. L’offerta della catena, gestita da italiani e con in cucina personale in prevalenza filippino, non è per puristi, ma è frutto di sperimentazioni, contaminazioni e ispirazioni che si sono susseguite nel tempo, dove figurano ingredienti come il sesamo placcato in oro alimentare, il riso bagnato nel nero di seppia… Per festeggiare la nascita del quinto shop, per esempio, è nato l’uramaki Raffaello, un roll di riso con alga nori, salmone bagnato nel cognac, scaglie di cioccolato fondente, fragole, avocado, pepite di cioccolato e semi di sesamo dorati. This is not a sushi bar ha chiuso il 2017 con 1,4 milioni di fatturato e prevede una crescita tra il 15 e il 20% per il 2018, anno in cui aprirà un sesto ristorante a Milano e un settimo nell’hinterland milanese. L’obiettivo per il 2019 è l’espansione in altre regioni del Centro-Nord.
[caption id="attachment_151744" align="aligncenter" width="300"] Gli Uramaki Raffaello di This Is Not A Sushi Bar[/caption]
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A cura di Matteo Cioffi
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