19 Febbraio 2019
L’Alto Adige è un territorio unico, per diversi aspetti, uno tra i più singolari è quello che fa riferimento alla forte presenza in quest’area di numerose cantine cooperative. Realtà in grado di coniugare quantità e qualità.
Nel calcio o il collettivo o il fuoriclasse. Se di mestiere fai l’allenatore, alle volte è meglio non avere scelta, perché se hai una squadra da paura, con tanto di Roberto Baggio in rosa e alla fine perdi un mondiale, hai voglia a trovare scuse. Alcuni, passo subito al vino, decidono di fare diversamente. Prendono tutto, non lasciando niente. Niente d’intentato ad esempio come chi, in Alto Adige, pianta viti in cima alle montagne. Non per faticare, magari risparmiando i soldi della palestra, ma per fare un vino, nella peggiore delle ipotesi, unico. Già, perché se di terroir, per chi ancora non lo sapesse con questo termine s’intendono quell’insieme di condizioni climatiche e geologiche che rendono unico un luogo di coltivazione, ce ne sono tanti, di alti, in quest’area fino a 1000 metri slm, non se ne trovano così facilmente. A questo si aggiunge una ricchezza geologica spalmata su un territorio in definitiva piuttosto piccolo. Quanto? Meno dell’1% della superficie vitata nazionale. Su questa piccola porzione di vigneto la produzione è spostata decisamente, circa il 60%, sulle bacche bianche, anche se è una varietà autoctona rossa, la Schiava, ad essere l’uva più piantata in questa zona. Piccole dimensioni relative all’area di coltivazione, sommate a una polverizzazione varietale piuttosto ampia –grappoli internazionali inclusi- farebbero pensare a cantine generalmente di piccole dimensioni. Palo, utilizzando nuovamente una terminologia calcistica. Lo testimonia il fatto che i due terzi della produzione enologica regionale hanno natura collettiva. L’unione fa la forza si dice spesso, in questa regione il detto è più vivo e attuale che mai, visto che, qui, alla quantità si accompagna in molti casi –per non dire in tutti- la qualità.
Un livello alto, molto alto, in cui i singoli ci sono, ma sono contestualizzati in un sistema più grande. Uno che permette a ciascun socio di raggiungere quei livelli qualitativi che, in solitario, raramente, avrebbe potuto toccare. Esistono comunque in Alto Adige anche i singoli fuoriclasse, ma quelle che potrei definire come le cooperative del goal, ovvero quei collettivi in cui ognuno porta il proprio contributo alla causa, sono davvero numerose. I nomi? Tanti, specie se pensiamo che ognuna di queste realtà cooperative risulta a sua volta dotata di specifici elementi di unicità. Penso a Terlano e alle sue rarità a base di vini bianchi che riposano per lunghissimi periodi in cantina oppure a Tramin. Una realtà cooperativa formata da ben 300 soci, che oltre a una gamma eccellente di etichette ha deciso di puntare in alto. Molto in alto, visto che una delle caratteristiche distintive del suo Gewürztraminer Spätlese chiamato Epokale, è quella di essere affinato, una volta messo in bottiglia, nelle gallerie di una miniera a 2000 metri slm. Condizione che in qualche maniera ha rallentato i processi evolutivi del vino, restituendoci un’etichetta, nella prima release targata 2009, che sin da subito ha mostrato ineguagliabili doti di freschezza ed eleganza. Non posso infine non citare altre realtà come Cantina Bolzano produttrice dello speziato Lagrein Taber, l’affollata Cantina di Caldaro che conta ben 800 soci e Nals Margreid. Nata dall’unione delle cantine di Nalles e Magré basa la propria produzione sull’apporto fornito da 140 soci, anche se il vero punto di forza ha uno zero in meno. Sono infatti 14 le zone, o se preferite cru, tra loro differenti per geologia, altitudine ed esposizione, dai cui l’azienda ricava le uve per la propria gamma di etichette. In una squadra tanto dotata, non manca tuttavia il fuoriclasse. Tra i vini di Nals Margreid uno dei top player è sicuramente Lo Chardonnay Riserva della linea chiamata Baron Salvadori. Più che descriverlo v’invito a berlo, scoprendo così un vino da scudetto.
Romagnolo verace, Luca Gardini inizia giovanissimo la sua carriera, divenendo Sommelier Professionista nel 2003 a soli 22 anni, per poi essere incoronato, già l’anno successivo, miglior Sommelier d’Italia e – nel 2010 – Miglior Sommelier del mondo.
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A cura di Matteo Cioffi
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