05 Marzo 2019
"La mia carriera professionale parte più o meno da quando sono venuto al mondo: nato e cresciuto in un famiglia di ristoratori. Nelle mie foto d’infanzia sono per lo più seduto sul bancone del bar, o dietro, adolescente, mentre giocavo a creare cocktail analcolici con i succhi di frutta. Difficile dire chi ha scelto chi, nel mestiere mi ci sono ritrovato giocoforza, ma allo stesso tempo la scelta di lavorare in locali notturni è stata personale e consapevole: un po’ perché ero affascinato da quel mondo alternativo e ribelle; un po’ perché la passione per la miscelazione è sempre stata più forte di quella per la caffetteria, al contrario di quel che è stato per i miei genitori”.
Dal bancone di famiglia alla vita da bartender cosmopolita: quali sono state le tappe fondamentali nel tuo percorso professionale che ti hanno portato in giro per l’Europa?
La mia formazione è iniziata sul campo con le prime stagioni estive e invernali durante le vacanze scolastiche: discoteche, lidi balneari, località sciistiche. Con il mio primo lavoro stabile a Milano mi resi subito conto che per far bene questo mestiere era necessario studiare e così, dopo il mio primo corso di bartending, mi trasferii a Londra. L’esperienza londinese è stata quella della svolta, in cui ho realizzato che questo mestiere avrebbe potuto portarmi lontano. Londra è stata il punto di partenza per tante esperienze lavorative con diversi locali e società del settore, ma soprattutto è stata l’occasione che mi ha portato alla collaborazione con Planet One. Grazie a loro sono riuscito a raggiungere una crescita professionale di alto livello, mi hanno dato la consapevolezza di quanto dinamico sia il mondo del bartending e dell’importanza di formarsi e mantenersi aggiornati su prodotti, tendenze e tecniche.
Hai avuto moltissime esperienze internazionali. La sperimentazione sul campo ha certamente il suo peso, ma da sola può bastare se si vuole davvero emergere in questa professione? Quali sono le caratteristiche di un “vero” bartender?
Per diventare un professionista, in qualsiasi settore, la formazione è essenziale. Fortunatamente per un bartender la formazione ha una connotazione prevalentemente pratica: dai corsi in Ateneo alle diverse esperienze lavorative, tutto accresce il bagaglio professionale. Fondamentali in questo mestiere, oltre l’esperienza e la preparazione, a mio avviso, sono l’umiltà e la dinamicità: sapersi adeguare al tipo di locale in cui si opera, capire il tipo di clientela e i suoi gusti, cercare di istruire il cliente suggerendo, non imponendo. Tutto questo perché il cliente entra nel locale per svagarsi o vivere un’esperienza appagante: il ruolo del bartender è quello di realizzare quell’esperienza e renderla memorabile. Saper stare dietro un bancone non si riduce solo nel saper fare un cocktail, versare del vino o spillare una birra, ma si traduce nel modo in cui ti proponi e proponi l’esperienza del bere al cliente.
Dopo anni in Italia, ma soprattutto in Europa, sei approdato in Australia. Quali opportunità professionali può offrire questo Paese per chi fa il tuo mestiere?
Dopo tante esperienze nella vecchia Europa ho sentito la necessità di confrontarmi con qualcosa di nuovo e ho deciso di trasferirmi in Australia. Ho impiegato il primo anno a cercare di capire come funzionava il mercato del beverege e quale potesse essere, per me, il giusto posizionamento professionale in questa nuova realtà; ho cambiato diversi lavori finché non ho trovato il ‘mio posto’ presso il Restaurant Bar Daniel San a Manly (Sidney). In poco più di tre anni sono riuscito a ottenere ottimi risultati e professionalmente non mi pento della scelta fatta. Ho iniziato come bartender, ma nell’ultimo anno, grazie a mio impegno e alla forte passione per questo mestiere, sono riuscito a ottenere la posizione di barmanager e di operations e training manager. L’Australia offre valide opportunità per fare carriera, se si hanno competenza, passione e determinazione, raggiungere dei traguardi professionali è di certo possibile.
Australia vs Europa: quali le differenze (se ce ne sono) tra i locali europei e quelli australiani?
In Australia l’avviamento e la gestione di un locale, che sia un coffee shop, un pub o un ristorante, ha sempre alla base una visione imprenditoriale che presuppone un ampliamento dell’attività: si apre un locale pensando già di aprirne poi altri. Questo concetto corporate è, a mio parere, molto lontano da quello europeo ma soprattutto italiano: nel nostro Paese la conduzione familiare delle attività è prevalente, l’ottica lavorativa si limita quasi sempre al sostentamento della famiglia. L’unico Paese in Europa che ha delle similitudini in termini di organizzazione e caratteristiche lavorative simili a quelle australiane è la Gran Bretagna.
In termini di domanda da parte della clientela, quali le preferenze al bancone del popolo australiano? Quali le abitudini di consumo?
In termini di domanda, la birra è di sicuro il prodotto più richiesto dagli avventori australiani, immancabile in tutti i locali e per tutta la settimana, tranne nei week-end dove la richiesta cambia radicalmente favorendo i cocktail. Questo perché lo stile di vita è molto semplice sia in città che nei piccoli centri: dopo il lavoro ci si ritrova quasi sempre al pub con amici o colleghi mentre il venerdì e il sabato sono dedicati a una nightlife più vicina alle nostre abitudini. La popolazione australiana è molto attiva, must del mattino prima di andare a lavoro sono il surf e lo jogging, quindi la giornata inizia di buon mattino e termina subito dopo cena, tranne che per il week-end: i locali, quindi, sono organizzati in base alle esigenze di consumo e alle tempistiche della gran parte della popolazione.
Gli australiani preferiscono la birra ma non disdegnano i cocktail, quale l’ingrediente più apprezzato in miscelazione?
Protagonista indiscusso nella miscelazione di cocktail in Australia è il caffè: l’Espresso Martini è uno dei drink più popolari tanto che a Sydney organizzano un Festival dedicato, dove tutti i locali della città presentano le loro varianti. C’è da dire che gli australiani sono dei veri e propri fanatici del caffè e non c’è da stupirsi se i cocktail a base caffè sono i più apprezzati. Infatti, la cultura del caffè è molto lontana da quella presente in Italia: il caffè qui è visto come una qualsiasi bevanda e molto spesso si beve durante i pasti come fosse un succo di frutta.
L’Australia e i trend del settore beverage: quali sono le tendenze del momento?
L’Australia non è proprio un Paese che crea tendenze al momento. Sembra però che il mercato si stia dividendo in due specifiche categorie: locali che offrono un’esperienza improntata sulla degustazione e sulla ricerca di sapori e tecniche di alto livello (stile speakeasy, ma meno nascosti), e locali improntati sull’intrattenimento dove si offrono prodotti di qualità, ma molto più comprensibili ai palati medi e con tecniche meno complesse in modo da poter dedicare più tempo all’intrattenimento della clientela (senza dover lanciare bottiglie in aria).
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