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13 Febbraio 2019L’Artemisia Absinthium, (l’Assenzio) è l’erba aromatica usata nella produzione del Vermouth, la bevanda antica ma dal gusto attuale, classificata come Vino Aromatizzato. Ecco da dove ha origine la lunga storia del Vermouth, da una piantina già conosciuta dai romani: ne parlano anche Cicerone e Plinio il Vecchio proprio in riferimento ai vini aromatizzati dalle miracolose proprietà per chi aveva problemi di salute e stomaco. Ufficialmente la nascita del Vermouth risale al 1786 a Torino, una città ricca di spunti culturali, una specie di salotto cittadino nel quale si ritrovavano intellettuali, politici e gente della borghesia, soprattutto nel tardo pomeriggio, il momento più adatto per gustare la nuova bevanda creata, per puro caso, da un garzone, Antonio Benedetto Carpano, il primo ad avere avuto l’intuizione di mescolare erbe e spezie a un vino bianco prodotto con uve di Moscato. Il successo durò circa due secoli, anni nei quali il Vermouth si ritagliò una posizione di prestigioso nel pubblico degli appassionati e degli intenditori per diventare, verso gli anni ’60 del 1900, una bevanda oramai obsoleta.
LA NUOVA VITA DEL VERMOUTH
Per fortuna i tempi sono cambiati e il Vermouth è tornato a vivere una nuova identità, anche territoriale. Oggi, entrando in un locale, chiedendo di bere il ‘vino aromatico’ si scopre una realtà differente, fatta di un buon numero di etichette e di un rinato interesse, non solo da parte di chi ne aveva ricordo ma, passo dopo passo, si riscontra una curiosità crescente anche da parte del pubblico più giovane, attratto dal mondo della mixology. “Le caratteristiche che rendono il Vermouth un prodotto perfetto anche per i cocktail, oltre che per essere bevuto liscio, sono tante – racconta Roberto Bava, presidente del neonato Istituto di Tutela –, primo fra tutti il ventaglio dei suoi aromi e profumi dato dalle erbe e dalle spezie che lo compongono. Non va dimenticato che il 75% del Vermouth è fatto da vino, un alcolico che, da sempre, si presta per la miscelazione”. Ne nascono due argomenti sui quali puntare l’attenzione: il primo è la voglia di sperimentare cocktail dal minor contenuto alcolico, dove il Vermouth va a colmare per gusto e profumo, l’uso degli spiritz; l’altro, invece, è la scoperta di come i drink con il Vermouth possano essere bevuti non solo per aperitivi e dopo-cena, ma siano perfetti anche per un tutto pasto, secondo le linee guida dell’attuale foodpairing, giocando su piatti della tradizione sino ad accostamenti un poco più azzardati, anche con ricette delle cucine straniere.
NEL RISPETTO DELLA CONSERVAZIONE
“Si tratta di un vino aromatizzato che, come ogni prodotto di qualità, deve avere una corretta conservazione, anche nei locali che lo usano per la mixology – continua Bava –. Una volta aperta, la bottiglia va conservata sempre in frigo, e per non più di un mese. Tutto ciò va strettamente collegato anche a un discorso di qualità nettamente superiore rispetto a quella dei decenni passati, motivo in più per garantire tutte le proprietà che compongono il Vermouth, anche quando si usa per la miscelazione: la freschezza e la giusta conservazione daranno un cocktail eccellente, a prescindere dal fatto che si tratti di rivisitazione di un grande classico come Negroni o il Boulevardier o della creazione di un aperitivo moderno. Una tendenza ‘nuova’ che sta prendendo la scena sui banconi dei locali famosi, forte anche della comunicazione e dell’attività che sta svolgendo l’Istituto di Tutela, costituito all’incirca un anno e mezzo fa, ma attivo per la promozione e la difesa del prodotto in Europa e non solo.
Quanti sono i Vermouth?
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A cura di Matteo Cioffi
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