arredamento

04 Settembre 2019

Riscoprire il territorio nel Design come nel food


Riscoprire il territorio nel Design come nel food

Dove guarda il design del fuoricasa oggi? Fuori dagli schemi, alla ricerca della personalizzazione e dell’accoglienza nella sua accezione più pura e della creatività. Il suo guru è Leonardo da Vinci, il più eclettico dei geni, di cui si festeggia il 500° dalla scomparsa. Gli arredi chiamano la sostenibilità nei materiali e nei processi, guardano al vintage che si sposta verso gli anni ‘70, nelle forme e nei colori, e alla tradizione locale. Nell’hotellerie come nel fuoricasa la tendenza – al di là di forme, colori e stili – è quella di creare spazi inclusivi in cui tutto, dalla materia prima in cucina al tovagliolo, dalla seduta all’illuminazione, abbia coerenza strettissima. Chiamiamolo food design, se vogliamo, ovvero il food diventa parte centrale dell’esperienza e la filosofia che sta dietro alla sua preparazione permea tutto lo spazio. Nel segno dell’autenticità e della personalizzazione. Per questo le aziende propongono progetti “chiavi in mano” – pratica già consolidata da tempo in Nord America – all’insegna di format ideati al completo, dalla seduta al tovagliolo. Anche se poi magari, per mancanza di creatività o perché chi apre deve essere comunque à la page, il gusto globale dilaga. Ecco dunque le macrotendenze per arredo e tavola di questo 2019.

COME A CASA, TUTTO IL GIORNO
Il locale vuole vivere tutto il giorno, con arredi che si spostano e modellano spazi nuovi nei vari momenti della giornata. C’è il ritorno in grande spolvero della colazione, i lavoratori flessibili in cerca di spazi dove lavorare, il pasto che si sgancia dagli orari canonici spalmandosi lungo tutta la giornata. Il cliente cerca uno spazio accogliente e inclusivo, familiare: dominano i materiali caldi ed avvolgenti. Obiettivo: far sentire l’ospite a casa propria. E anche l’hotellerie predispone spazi che ospiti ed esterni possano vivere tutto il giorno. Un esempio? Bursa il boutique hotel di Kiev diventato microdestinazione. Oltre alla caffetteria per la colazione e il pomeriggio, contiene una galleria d’arte dove si tengono regolarmente mostre mentre la sera si chiude nel bar sul rooftop con vista sulla città.

[caption id="attachment_161887" align="aligncenter" width="826"] Dalla galleria d'arte al rooftop bar con vista sulla città, il boutique hotel Bursa di Kieva ha molto da offrire[/caption]

SOSTENIBILITÀ “VERA”
L’attenzione è naturalmente sulla sostenibilità, che non vuol dire solo materiali e colori legati al mondo naturale, certificati e riciclabili, piante, serre interne e pareti vegetali ma anche sostenibilità nei processi, chilometro zero, risparmio energetico e attenzione allo spreco e alla salute – anche in cucina – e della salubrità dell’ambiente per i lavoratori. Ma sostenibilità vuol dire anche elementi multifunzionali dell’arredo da spostare e trasformare a seconda della situazione. Un esempio? Patom Organic Living, a Bangkok, un cubo leggerissimo di vetro e legno recuperato da barche, alberi caduti spontaneamente e arredi provenienti da upcycling, la creazione di oggetti nuovi da vecchi arredi.

[caption id="attachment_161886" align="aligncenter" width="465"] Il Patom Organic Living a Bangkok[/caption]

RITORNO AL PASSATO GUARDANDO AI ’70
Il treno del vintage avanza e arriva agli anni ’70 il che significa colori caldi, ma addolciti e arricchiti, come l’arancione brunito e il marrone scuro, magari abbinato a crema e verde intenso per far risaltare i colori più audaci. Le linee tendono al morbida e allo "spaziali". Un esempio? The Vinyl a New York, locale arredato seguendo influenze non solo dall’interior design anni ’70 ma dalla moda, dall’arte, dalla musica e dall’atteggiamento anni ’70. Uno spazio che sembra residenziale, pur essendo commerciale. Ogni mobile è stato progettato su misura e oltre che bar e ristorante c’è un’etichetta e un negozio di dischi tanti eventi e concerti.

[caption id="attachment_161885" align="aligncenter" width="465"] Atmosfera '70 al The Vinyl a New York[/caption]

LUCE LUCE LUCE
App, telecomandi e luci a led che assumono tutti i colori (e creano ambienti altamente instagrammabili) consentono di creare aree diverse e adattare lo spazio ai vari momenti della giornata. Ma c’è anche tanta luce naturale, grazie a enormi vetrate, abbaini o lucernari. Si creano ambienti luminosi dove assaporare cibi e bevande in modalità slow. Un esempio? La pasticceria Le Temps di Fuzhou, Fujian, Cina. In un ex edificio industriale lo spazio è stato reinventato con la luce e le pareti bianche che creano un ambiente luminoso e rilassante, in contrasto con l’esterno. Un’oasi di pace e dolci delizie.

[caption id="attachment_161884" align="aligncenter" width="465"] La pasticceria Le Temps di Fuzhou, Fujian, Cina[/caption]

CAOTICO DIVERTENTE “CALDO”
Qualcuno l’ha già ribattezzata Joyfilled Ambience la tendenza a fare teatro, creare ambienti con prevalenza di colori accesi e allegri, a prima vista incongruenti ma in realtà ben calibrati. Anche a Londra le nuove aperture sono eccessive, colorate, divertenti e vintage allo stesso tempo, ma di un vintage rivisitato. Un esempio? Gloria, ristorante italiano dell’East End dove c’è un po’ di tutto: pezzi anni ’70, richiami alla tradizione di Capri e del Sud, tocchi di rosa (il rosé anche quest’anno continua a spopolare, meglio se abbinato a trasparenze e cromature). Al bancone bar – sempre più presente nei nuovi ristoranti, in ottica food pairing o per aprire al rito dell’aperitivo – selezione di vermouth dalle oscure etichette.

[caption id="attachment_161883" align="aligncenter" width="465"] Gloria, ristorante italiano a Londra[/caption]

MISE EN PLACE GASTROFISICA
Nella mise en place anche se il bianco continua a prevalere, arriva il colore anche in ottica di gastrofisica, la scienza che studia come colori e forma di piatti e posate influenzino la percezione delle pietanze. Ideata da Charles Spence, professore di psicologia sperimentale che ha lavorato con lo chef Heston Blimenthal al Fat Duck – spiega come la nostra relazione con il cibo sia influenzata non solo dal gusto ma da tutti i sensi, dall’ambiente e anche dalle posate: pare che il cibo consumato con posate pesanti e dall’aspetto lussuoso sia percepito come più buono...

LOCALIZZATI OD OMOLOGATI?
La provocazione è partita tempo fa, lanciata da Kyle Chayka, un giornalista americano che si occupa di design. L’estetica hipster, riconducibile alle caffetterie specialty di Brooklyn, ha invaso il mondo. Mattoni a vista, lavagnette scritte a mano, lampadine “nude” e piante appese qua e là la fanno da padrone in questi locali simili nelle città di tutto il mondo. Il tutto secondo Chayka originerebbe dall’estetica Starbucks e sarebbe stato “affinato” dai locali hipster di NY e diffuso dai social media, Instagram in primis. E dunque dalle caffetterie a bar e ristoranti shabby chic, barocchi o patchwork il passo è breve, ma la sostanza la stessa: simili ovunque. “È vero – commenta Marco Ceccato di Infiniti – io viaggio molto e vedo come, a San Paolo o a Seoul, ormai tutti i locali si assomiglino. Oggi la tendenza magari dettata dalla rivista di riferimento viaggia velocemente, viene ripresa e cavalcata dalle aziende e poi dai social creando un circolo vizioso. Però c’è anche un altro motivo: il cliente globalizzato e abituato a viaggiare si sente “a casa”, trova rassicurante stare nello stesso ambiente a Londra come a Shangai o a Milano”. Un modo di recuperare la propria identità però forse c’è. Partendo da una strada che già si percorre per le materie prime e la proposta in menu: recuperare la tradizione locale. Anche con una citazione della vecchia sedia da osteria. La tradizione italiana c’è, va solo riscoperta, valorizzata, resa attuale.

Dal Salone ad Host 2019: tutte le novità di design per il Fuoricasa 

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