15 Agosto 2019

Il cibo del futuro, ovvero quale futuro per il cibo

di Mauro Garofalo


Il cibo del futuro, ovvero quale futuro per il cibo

Mentre tutti ci preoccupiamo per i cambiamenti climatici - piogge intense, alberi abbattuti, olio e vino in pericolo per il troppo caldo - gli esperti ci dicono che il futuro è un’opportunità, anche quello del food. Cosa e come mangeremo? Hamburger vegetali e la “birra che fa bene” a base di Kernza, pianta coltivata per il foraggio, ritorno della filosofia dei nostri nonni, che non buttavano via niente. Prima però dovremo imparare alcune parole-chiave, e scegliere meglio: ambiente, chilometro zero, riduzione degli sprechi, qualità, no alla plastica, farmer market, food design. Impatto ambientale, spreco, efficienza. Anche se la vera svolta, al solito, è che saremo sempre di più, noi.

AGRICOLTURA DI PRECISIONE E QUALITÀ
Per Nicola Lacetera, direttore del dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali Università degli Studi de La Tuscia di Viterbo, «la sfida del futuro sarà fornire alimenti a una popolazione in crescita, con la necessità di aumentare la produzione, cercando al contempo di evitare gli sprechi. Avremo problematiche di rilievo per carne, latte e uova, derrate nei confronti delle quali è in aumento la fascia di popolazione mondiale con maggiore possibilità di accesso a fonti di origine animale, considerate “nobili” per le qualità della proteina». Un discorso di quantità cui si lega una disponibilità non illimitata di alimenti, terra e acqua: «ma si possono ottenere produzioni maggiori, o uguali, con la zootecnia e l’agricoltura di precisione», un’area legata alla tecnica e alla ricerca che consente, per esempio, di erogare acqua o sostanze di natura chimica per il processo produttivo, fertilizzanti e diserbanti e antiparassitari in quantità minime, sistemi che consentano di comprendere i fabbisogni delle piante. «L’utilizzo di questi sistemi consentirà di ridurre l’uso di sostanze chimiche, ma anche di acqua: con sistemi tecnologici che rilevano il grado di idrometria, in base al tasso di umidità del terreno, e decidono quanto irrigare». Poi aggiunge Lacetera: «Penso al miglioramento genetico delle piante e degli animali allevati, alla capacità di convertire le risorse utilizzate in parti della pianta o dell’animale». Questo per quanto attiene gli aspetti quantitativi. Poi, continua l’esperto: «Da anni si parla di qualità dei prodotti alimentari. Fino al dopoguerra, 40-50 anni fa, era “buono” ciò che non faceva male, si dava risalto al requisito minimo igienico-sanitario immediato». In sintesi si pensava a riempire lo stomaco. «Con il miglioramento economico - dice il docente di zootecnia - il concetto si è allargato, esiste una qualità organolettica dei cibi, l’area dei sensi. Poi una qualità chimica, l’interesse per la composizione degli alimenti (cosa c’è dentro quello che mangio), la qualità nutrizionale e la necessità di sapere se un alimento sia più o meno idoneo per categoria di consumatori: sostanze intolleranti, allergologiche, prodotti per la terza età, l’infanzia». Un ultimo aspetto è la qualità tecnologica che sarà sempre più importante per gli alimenti di domani: «un latte destinato a diventare formaggio dovrà avere qualità specifiche. Le carni dovranno diventare conservate. Le uova industriali, gli ovo-prodotti utilizzati nell’industria dolciaria, o nella produzione di pasta all’uovo, richiederanno alcuni connotati tecnologici, come la pigmentazione del tuorlo». L’ultima frontiera del food starà tutta in 3 parametri legati alla percezione del prodotto da parte del consumatore, per Lacetera: «sempre più si sceglieranno prodotti con 1) valore ambientale: quale il costo ambientale nel produrre un asparago, una mela, il latte, un salame? Se quel processo produttivo è stato attento al consumo delle risorse, o se ha immesso sostanze inquinanti, pericolose, nel terreno. La fascia di popolazione attenta alla tematica ambientale è in crescita, ed è disposta a riconoscere un prezzo maggiore; 2) benessere animale ovvero come l’animale che ha reso disponibile il prodotto è stato trattato. Ad esempio, la netta preferenza delle uova di galline allevate a terra a fronte di caratteristiche intrinseche uguali; 3) consumatori che riconoscono valore aggiunto a un prodotto se il processo ha utilizzato lavoro di categorie svantaggiate (detenuti, migranti) l’agricoltura sociale». Infine, «un ruolo importante l’avranno la comunicazione e le certificazioni (il bio)».

CHILOMETRO ZERO, FARMER MARKET: SIAMO TUTTI AGRICOLTORI!
Per Rolando Manfredini, Capo Area Sicurezza Alimentare e Produttiva Coldiretti, «la questione va inquadrata dal punto di vista generale: l’Europa è il primo produttore mondiale di cibo ma anche il primo importatore mondiale. Questo la dice lunga sulla nostra epoca di cibo globalizzato: in tutto il mondo il cibo viene scambiato, mediamente per arrivare sulle nostre tavole percorre 2.000 km, anche l’Italia è soggetta a un sistema di importazione forte». Ma stiamo parlando di che tipo di cibo? «Quando copre lunghe distanze è per l’80% trasformato, manipolato; solo il 20% è cibo fresco: queste dinamiche hanno condizionato gli ultimi 20 anni, e in paesi con una sicurezza alimentare molto diversa dalla nostra. Le regole dell’Europa e dell’Italia sono di salvaguardia della sicurezza alimentare. Lo stesso non si può dire di prodotti agricoli provenienti dal resto del mondo. Qui da noi il sistema è controllato, il cibo non è solo merce, ci permette la vita, rappresenta la nostra storia, è tradizione: pensiamo solo al parmigiano, che ha 1.000 anni!».

SOLUZIONI PER IL FUTURO
Per Manfredini sono, letteralmente, a portata di mano: «Gli operatori si dovrebbero rivolgere a un prodotto che fa poco viaggio, il km zero è un modo di dire, il viaggio del cibo deve essere il più corto possibile, ciò è garanzia di freschezza, di qualità ma questo implica anche meno rifiuti, meno distanze da percorrere dunque meno smog e meno traffico, poi non vengono utilizzati additivi di conservazione, è un cibo naturale. Il nostro è un modello di agricoltura che si rifà alla filiera corta, a produzione locale, al sistema di ottenimento che garantisce sicurezza e qualità» Cambiamenti climatici: «L’Agricoltura è un comparto esposto, siamo all’aria aperta, negli ultimi anni sono cambiate molte cose – c’è stato un periodo di siccità nel 2017, quest’anno abbiamo avuto eventi estremi e trombe d’aria, abbassamenti e innalzamenti repentini di temperature – ma l’agricoltura è abituata ai mutamenti, si sta spostando in areali più vocati: prima il pomodoro si poteva coltivare solo al Sud adesso anche in Emilia; l’ulivo ora c’è anche sulle pendici delle Alpi; l’aumento di circa un grado del tenore alcolico dei vini significa aumento della parte zuccherina ma si può lavorare sulla qualità: il punto è avere produzioni tipiche, della zona». Dobbiamo diventare, tutti, un po’ più agricoltori: «Siamo la prima nazione al mondo per farmer market, in Italia ci sono circa 1.000 mercati, alcuni anche coperti. Grazie alla nostra Campagna Amica si rivolgono a noi circa 600 ristoranti, abbiamo 2.500 agriturismi che forniscono alloggio e vitto con il sistema AgriChef». Una serie di accorgimenti che per Coldiretti significano «immediata tracciabilità». Aggiunge Manfredini, «a oggi 1/3 del cibo sul mercato è irrintracciabile, mentre l’agricoltore lo vedi, è lì». I vantaggi per Coldiretti saranno evidenti: «l’utilizzo di un prodotto agricolo non trasformato significa fare un tipo di cucina immediata, sfruttando una fonte inesauribile: il sole – fotosintesi per le piante, zootecnia, energia – l’ecosistema agricolo è in equilibrio, nonostante si usino trattori e concimi, il settore primario è un agro-ecosistema, in cui le risorse sono riproducibili, le colture agrarie fissano la CO2 fanno parte del ciclo vitale». Stesso discorso per gli allevamenti, «che sono intensivi negli Usa» mentre nell’UE parliamo di produzione sostenibile: «i bovini su una superficie possono essere un certo numero al massimo».

SOSTENIBILITÀ E NUOVE FRONTIERE DEL FOOD
Racconta Vincent Spaccapeli, giornalista storyteller, CEO di HotelVolver, co-ideatore con Spazi Inclusi dell’EATour, format sulla sostenibilità del comparto turistico-alberghiero: «C’è una doppia tendenza da tenere in considerazione per chi si occupa di ristorazione: la prima sono i trend sociali, le abitudini dei viaggiatori, la moda e il design, l’esperenzialità del cibo come leva di marketing, le nuove frontiere del turismo veg». Inoltre l’accessibilità: «in Europa abbiamo 127 milioni di disabili, non solo fisici (carrozzella, ipovedenti, non udenti) ma disabili alimentari con allergie – viviamo per il 95% in luoghi chiusi, negli ultimi 30 anni abbiamo subìto il junk food: – occorre pensare a menù adatti, aree e cucine separate per garantire “cibi personalizzati”. Il marketing si sta orientando verso il one-to-one: il piacere di avere un viaggio e soggiorno basati sulle esigenze precise della persona». La seconda tendenza per l’EATour thinker «sono gli aspetti legati alle risorse e la loro gestione: penso alla proibizione delle plastiche in hotel, alle opportunità dell’economia circolare, valori che il comparto turistico deve comunicare». I nuovi modelli di business, per Spaccapeli «dovranno riunire agricoltura ed estetica, soluzioni nuove: il cibo sarà la prima barriera sanitaria con cui dovremo affrontare l’aumento demografico. In economia possiamo fare tante previsioni credibili ma i 9 miliardi e mezzo che raggiungeremo nel 2050 si dovranno lavare e nutrire; oggi in India 44 persone al minuto escono dalla povertà: è un bene, ma sono persone che avranno diritto all’accesso all’acqua, al nutrimento e al viaggio, i luoghi di tutto il mondo dovranno prepararsi ad accogliere questi nuovi clienti con cibo a sufficienza». Come fare? Un esempio, le farm verticali: «La Cina ha a disposizione torri di 6-8 metri, della superficie di un acro, che generano fino a 350 volte la produzione di un campo, consumando l’1% di acqua». La sfida col futuro la vincerà «chi sarà in grado di adottare la lotta allo spreco: siamo soffocati da 2 mila miliardi di tonnellate l’anno, è 1/3 del cibo mondiale. Dovremo adottare nuove tecnologie che minimizzino l’uso delle risorse e massimizzino il consumo migliore. In Italia abbiamo alcuni esempi virtuosi: «Il Banco Alimentare, Raffaello Panariello di Marriott Hotel. A Dubai, una farm produce ortaggi freschi che vengono distribuiti a bordo degli aerei della Qatar Airlines».

TAG: CIBO,FUTURO,QUALITALY 108

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