16 Agosto 2019
Uno studio del Professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing dello IULM di Milano, Vincenzo Russo, direttore scientifico del Master in Food and Wine Communication organizzato con Gambero Rosso, ha fatto luce su cosa ancora si può fare in merito alla comunicazione legata all’enogastronomia e la valorizzazione delle eccellenze del territorio. Capire i comportamenti che inducono il consumatore a scegliere un determinato prodotto e le applicazioni di mercato, oggi è fondamentale. Il Neuromarketing si offre come disciplina capace di proporre alle società di ricerca sui consumatori strategie e metodi utili ed efficaci per misurare l’emozione che caratterizza qualsiasi atto di consumo e ogni forma di fascinazione per spot pubblicitari, siti web, packaging di prodotti o immagini di brand. Per il Neuromarketing, il giusto ambiente sonoro può migliorare notevolmente l’esperienza della vendita: numerose imprese investono sempre di più nella musica ‘in store’. Quella che troppo spesso si sottovaluta è, invece, l’importanza del sound branding, ossia la possibilità di associare al proprio prodotto e alla propria identità visiva, gustativa e olfattiva anche un elemento sonoro che sia facilmente riconoscibile, di immediata memorizzazione e in grado di rimandare direttamente e quasi implicitamente al brand/prodotto. In un mercato, quello dell’attenzione verso potenziali clienti e stakeholder, sempre più affollato e competitivo, per arrivare ai propri destinatari un’azienda ha bisogno di mettere in atto strategie diverse, ad alto impatto.
Qualche volta questo significa, appunto, trovare un marchio sonoro che la rappresenti al meglio. Si può andare comunque oltre il binomio perfetto musica e cibo. Come? Evidenziando i suoni, che hanno il potere di intervenire sul gusto. A decretare questo è una ricerca realizzata da studiosi statunitensi dell’Arkansas University, che ha messo in evidenza il fondamentale legame tra ciò che ascoltiamo e il sapore che percepiamo, arrivando a scoprire che i suoni hanno il potere di alterare la percezione del gusto. Nessuno avrebbe immaginato che i suoni acuti vanno ad aumentare l’acidità percepita degli alimenti; che per esaltare il gusto dolce occorre invece mettere un sottofondo musicale rotondo; che un gusto troppo amaro è comportato dall’ascolto di un tono basso. Suoni diversi inviano segnali differenti destinati al cervello che indicano quali papille gustative “attivare” maggiormente. Il legame tra musica e cibo potrebbe avere ripercussioni anche a livello commerciale, spingendo i produttori di alimenti a provare novità in fatto di confezionamento al momento fuori da ogni immaginazione. Oggi si potrebbe includere nel packaging anche la musica da abbinare al cibo, magari sotto forma di suggerimento o vero e proprio suono: basterebbe un QR code. Curare l’atmosfera sonora è d’obbligo.
Tra i generi musicali spicca il jazz, non un preciso genere bensì un contenitore di suoni che accoglie i più grandi talenti della musica moderna da tutto il mondo. Senza contare la geolocalizzazione del cibo, che molte volte su un territorio incontra una realtà culturale spesso radicata e precisa come il folk: infatti, i piatti tipici di un paese hanno più gusto se accompagnati dalla musica del posto. Lo ha scoperto un illustre professore di psicologia sperimentale, Charles Spence, che ha una cattedra all’Università di Oxford. Spence chiama tutto questo “condimento sonoro”. Grazie a nuove tecnologie, come l’audio Multi-Room di Sony, i ristoratori, e non solo, hanno gli strumenti utili per trasformare un pasto in una esperienza multisensoriale: in qualunque stanza ci troviamo, possiamo abbinare il pranzo o la cena alla musica giusta per esaltare la percezione dei sapori. Spence aggiunge: “i gusti si percepiscono con i sensi, non con la bocca. È il cervello che prepara la bocca all’esperienza del sapore. L’ambiente che ci circonda ha un effetto significativo sull’esperienza culinaria, ma la musica è in grado di preparare il palato a nuovi gusti, influenzare e modificare la percezione dei sapori, e rendere più intensa l’esperienza gustativa. Quindi anche piccoli cambiamenti ambientali possono realmente accrescere il piacere del cibo”.
Le sensazioni che proviamo con gli alimenti. Il croccante, il fragrante o il cremoso: tutto ha un suono. I soft drink, soprattutto, generano suoni assoluti, identificativi, precisi e associativi. La probabilità che esista una melodia assoluta da ascoltare durante i pasti non sembra esistere, si tratta più probabilmente di una componente soggettiva legata a ogni persona, questo è più che certo. Prendiamo la birra, la musica che ascoltiamo può influenzare il suo sapore e renderla più buona. Un’altra ricerca, pubblicata sulla rivista Frontiers in Psychology, condotta da un team di studiosi belgi, olandesi e britannici capitanati da Felipe Reinoso Carvalho, dell’Università Vrije di Amsterdam afferma che “lo studio era nato per valutare l’influenza sull’acquisto di una nuova birra belga non solo attraverso il packaging ma anche tramite la musica della campagna pubblicitaria. All’esperimento hanno preso parte 231 volontari, che hanno assaggiato la stessa birra in tre modi diversi. La prima volta i volontari hanno dovuto bere la bionda da una bottiglia senza etichetta, la seconda volta l’hanno assaggiata sorseggiando una bottiglia con l’etichetta, infine hanno bevuto la birra con l’etichetta e con in sottofondo una canzone”.
Risultati oggettivi hanno mostrato che la bevanda era apparsa più buona quando le persone l’avevano bevuta ascoltando la musica, ma soprattutto quando conoscevano la band autrice del brano. Ciò significa che la birra sembra molto più buona quando la sorseggiamo ascoltando la musica che ci piace di più. “Intendiamo proseguire con le nostre ricerche per capire come i suoni modulino la percezione dei sapori di alimenti e bibite – ha spiegato Carvalho, convinto che su questo tema ci sia ancora molto da scoprire – vogliamo anche individuare come i suoni possano influire sui nostri processi decisionali, per vedere ad esempio se diversi suoni spingano le persone a consumare alimenti più salutari”. Non solo birra: la musica influenza anche i formaggi. La Pausini, i Led Zeppelin e anche Fedez, quindi pop, rock o hip-hop, possono influenzare la stagionatura del formaggio Emmental. L’esperimento è stato condotto da alcuni ricercatori e studenti dell’Alta scuola d’arte di Berna (HKB), in collaborazione con il veterinario di Burgdorf (BE) e il produttore di formaggi Beat Wampfler.
4 punti da seguire
Chef e ristoratori capaci di contestualizzare l’offerta con un mood musicale e sonoro studiato ad hoc, cura degli allestimenti per ogni singolo evento: ecco ciò che serve. Abbiamo intervistato Damiano Nicolodi dell’Hexen Klub Canazei e Presidente dei Giovani Albergatori Val Di Fassa, Roberto Buffagni, del Matis Bologna, Peter Pan Riccione, Villa Delle Rose Misano Adriatico, Riccardo Checchin, di Storia Padova, King’s Jesolo e Aperyshow, e Gabon di Marecrudo. E sono emersi questi punti.
PUNTARE ALL’ESPERIENZA E AL LATO EMOZIONALE
L’importante, anche per giustificare il conto, è l’esperienza, il ricordo che si lascia a fine pasto. Per massimizzare questi aspetti fondamentale è l’impiego dei cinque sensi: vista, gusto, olfatto, tatto e ovviamente… udito.
VALORIZZARE IL MENÙ SELEZIONANDO I SUONI
Dal gorgoglìo della caffettiera allo scricchiolio delle patatine o del bacon fritto, passando dallo “stoc” dell’apertura del coperchio del barattolo di sugo pronto al “sobbollio” di un brodo o un ragù. Tutti questi sono suoni ‘emozionali’ capaci di fidelizzare il cliente.
L’IMPIEGO DI ESPERTI ANALIZZANDO COSTI E BENEFICI
Il suono a supporto della ristorazione e non una ristorazione a supporto del suono. Per ottenere questo risultato è bene rivolgersi a esperti, magari provenienti da università, o profondi conoscitori di musica e cibo. Non è una spesa a sé: è un investimento.
QUALCHE ESEMPIO PRATICO
Il jazz migliora il gusto del cioccolato. La drum & bass peggiora il gusto del caramello. I suoni acuti esaltano l’acidità, i suoni più arrotondati la dolcezza, i toni profondi l’amaro.
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A cura di Matteo Cioffi
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