caffè
06 Novembre 2019L’economia della conoscenza ha il suo fondamento nell’idea che l’informazione sia fonte di valore e quindi di profitto. Eppure, questo approccio non trova sempre accoglienza nelle organizzazioni, le quali per loro natura al contrario dovrebbero favorire la condivisione dell’informazione. Ho più volte riscontrato negli ambienti di lavoro persino una certa diffidenza a fare circolare la conoscenza. Spesso si tratta della paura di avvantaggiare un collega, una modalità di pensiero che denuncia un nocivo clima di sospetto. Ancor più deprecabile quando questa ritrosia parte dai leader dell’organizzazione stessa.
GLI ESEMPI NEL NOSTRO SETTORE
Il mondo del caffè non è esente da situazioni come quelle appena delineate. Ci sono torrefazioni in cui il tostatore è poco più che un operaio con il compito di caricare caffè verde in tostatrice, tostarlo secondo un profilo memorizzato e scaricare il prodotto al termine della cottura. L’imprenditore che applica questo profilo di segretezza ha infatti il terrore che quel suo collaboratore possa un giorno diventare un concorrente. Con la conseguenza che al minimo problema la produzione si blocca o, peggio, va avanti in difetto. Altro esempio sono quei bar in cui la proprietà non fornisce pressoché alcuna formazione tecnica al proprio staff, il cui compito diventa meccanicamente macinare del caffè da caricare in un portafiltro per poi premere il pulsante della macchina (preventivamente programmata dal titolare del locale). La giustificazione dell’oscurantismo in questo caso è la necessità di proteggere il conto economico del bar dall’imperizia dei propri collaboratori che potrebbero generare perdite fatali se lasciati troppo liberi di agire. La proprietà del bar ritiene infatti in questo caso che sia meglio un espresso estratto in qualche modo piuttosto che dormire sonni agitati immaginando i propri operatori che sperperano preziosa polvere di caffè. Di casi così ve ne sono a tutti i livelli e in pressoché ogni campo del coffee business. Eppure, fornire al proprio staff informazione, applicare quindi l’economia della conoscenza, ha una serie di effetti positivi: rafforza nei collaboratori il senso di appartenenza a una squadra di livello, dà loro una maggiore consapevolezza del business e degli obiettivi che si vogliono perseguire, gli dà autostima facendoli sentire professionisti e non automi. E, soprattutto, migliora il settore stesso, favorendo la creazione di un ecosistema davvero professionale e rendendolo più sicuro per tutti gli operatori. Soprattutto fidelizza il cliente che sa di trovare un servizio sempre all’altezza in quanto la conoscenza non è patrimonio esclusivo di uno o dell’altro interlocutore, ma è condivisa a tutela della qualità della prestazione. In pratica: entrando in un bar non dovrei sperare di trovare il barista “quello bravo”, ma avere la certezza che godrò di un espresso perfetto al di là di chi ci sarà di turno. La forza di un bar è semplicemente nella costanza della qualità.
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