06 Gennaio 2020
Esistono una serie di regole economiche, applicazioni di marketing e principi contabili/amministrativi che sono determinanti per progettare un menù di successo. Fondamentale è imparare a contenere i costi, eliminare gli sprechi e adeguare l’offerta alle esigenze del cliente. Solo in questo modo è possibile ottenere un incremento delle vendite e la massimizzazione dei profitti all’interno di un ristorante. Una cosa più facile a dirsi che a farsi. Non è così scontato che un ristoratore o uno chef sappiano esattamente come muoversi per creare un menù ad hoc per il proprio punto vendita. In realtà, capita di frequente che un ristorante abbia un’offerta troppo variegata, sicuramente d’impatto sul cliente, ma il più delle volte difficilmente gestibile o addirittura fattibile. Ma, come fare per non incorrere in questo tipo di problemi? Ne abbiamo parlato con Gian Franco Fadda, grande esperto del settore ristorazione.
Come si fa un’analisi dei costi di un ristorante? Da cosa bisogna partire?
La prima cosa da fare è controllare esattamente le spese, suddividendole in fisse, semi-fisse e variabili. Le prime sono costituite dalle bollette (energia, gas, telefono, ecc), l’affitto e i tovagliati; poi ci sono le spese per l’acquisto delle materie prime e per la manodopera. Infine, bisogna mettere in conto gli imprevisti, che sono molto più frequenti di quanto non si possa pensare (derrate che in un secondo momento risultano non buone o scadute, cotture sbagliate, eccessiva richiesta...). Insomma, volendo essere più tecnici possiamo dire che i principi fondamentali per un efficiente calcolo/misurazione in cucina sono:
– acquisto razionale
– controllo del consumo
– calcolo dei prezzi di vendita
– controllo delle perdite
Quali sono i fattori che concorrono alla determinazione del prezzo di vendita?
Il metodo più usato per determinare il prezzo finale di vendita è quello detto coefficiente moltiplicatore, che è dato dalla somma delle seguenti voci:
– costi dei cibi 30%
– manodopera 40%
– spese generali 10%
– guadagno 20%
– Totale 100
Moltiplicando il costo del cibo per il moltiplicatore si ottiene il prezzo di vendita. Considerando che il moltiplicatore risulta essere 100 se lo dividiamo per la percentuale imputabile ai costi dei cibi, otteniamo: 100 : 30 = 3,33
Se il costo di un piatto da produrre ammonta ad un ipotetico 2,58 euro, il prezzo di vendita sarà : 2,58 x 3,33 = 8,59
Come si fa a stabilire che il costo di un piatto ammonta a 2,58 euro?
Si parte dal costo della materia prima per poi stabilire quante porzioni si riescono ad ottenere da una derrata, considerando l’eventuale scarto. Una volta stabilito il costo della porzione, si moltiplica per quel 3,33 di cui parlavamo prima.
Parliamo della realizzazione del menù...
Per stendere un menù bisogna seguire alcune regole principali. Innanzitutto, fare in modo che non ci siano ripetizioni, ossia piatti troppo simili gli uni agli altri. Tuttavia, è anche importante non cadere nell’errore contrario, ossia proporre una serie di portate con ingredienti troppo diversi. Per intenderci, se a mezzogiorno si decide di offrire ai clienti una serie di insalatone, bisogna fare in modo che abbiano alcuni ingredienti in comune, altrimenti si è costretti ad acquistare troppe materie prime. Altro elemento importante è proporre solo piatti con prodotti di stagione che, ovviamente, avranno un costo diverso se comprati in altri periodi dell’anno.
Come orientarsi per l’approvvigionamento del food?
Inizialmente, è meglio acquistare i prodotti ogni giorno e vedere qual è l’effettivo consumo. Solo in un secondo momento, si può pensare ad acquisti programmati. Naturalmente, il magazzino deve essere provvisto degli ingredienti base: sale, zucchero, olio, pasta. Anche lì, però, è necessario monitorare l’effettivo consumo.
Cosa fare per consumare i prodotti che hanno minore rotazione?
La soluzione migliore è proporre il classico piatto del giorno ad un prezzo invitante utilizzando proprio quegli alimenti che non sono andati o, magari, in giacenza in magazzino evitando di portarli a una condizione di degrado e, quindi, di non utilizzo.
Ci sono piatti “civetta”?
Certo. Sui dolci, ad esempio, il ristoratore può ottenere un buon margine di guadagno. Solitamente vengono venduti a circa 7 euro, ma il loro costo reale è pressapoco di 1 euro. È molto importante verificare però quale tipo di lavorazione va effettuata su quel prodotto, perché qualora la manodopera dovesse avere bisogno di troppo tempo si viene a perdere ogni tipo di vantaggio economico. Comunque, tenendo ferma la qualità di una materia prima, il trucco migliore per avere un buon margine è reperire prodotti che abbiano costi competitivi.
In definitiva, chi deve occuparsi di tutti questi aspetti?
Solitamente è la proprietà che si occupa di tutti questi passaggi. In una struttura un po’ più grande – dove la proprietà non è presente – ci deve essere un responsabile che abbia un controllo, insomma un direttore del locale, altrimenti, sembrerà azzardata la mia affermazione, è facile incorrere in perdite di fatturato considerevoli.
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A cura di Matteo Cioffi
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