13 Gennaio 2014
C’era una volta la farina. Bianca e di frumento. Poi sono arrivati nuovi cereali da Paesi lontani - Teff, Kamut, Quinoa - e sono stati “riscoperti” quelli legati alla tradizione: farro, avena, grano saraceno. La moda forse, ma anche esigenze salutistiche hanno trascinato questo nuovo corso, e tutto fa pensare che il ritorno ai cereali integrali tipici della dieta mediterranea sia un trend destinato a consolidarsi. Un tempo il pizzaiolo, tutto impegnato a roteare dischi di pasta, aveva una gamma di ricette limitata. La pizza era un prodotto da sabato sera, che costava poco e cui si richiedeva un gusto accettabile, scelta più per abitudine e per stare in compagnia che per esigenze gourmand. Tutto tecnica ed esperienza, il pizzaiolo era relegato ai piani bassi dell’Olimpo della ristorazione. Poi sono arrivati i ristoranti etnici, ancora più economici della pizzeria. E la crisi ha fatto da grande spazzino, ridimensionando i consumi. Risultato: oggi la 4 stagioni non basta più per allettare un consumatore evoluto e sfuggente, preoccupato per la salute e il portafogli, che esce meno la sera e quindi sceglie con cura dove mangiare, controllando le recensioni su TripAdvisor. Spazio quindi a una pizza sana e gourmet con meno sale, ingredienti freschi e di stagione, e, soprattutto, farine integrali che sprigionano tutto il gusto del cereale. È infatti questo l’identikit della pizza nuova, sdoganata da uno studio dell’Università di Glasgow che ha dimostrato come sia possibile, variando gli ingredienti, ridurne il carico nutrizionale e ricondurla a un pasto perfettamente bilanciato. «Una risposta ai nutrizionisti che scoraggiano il ricorso a pasta e pizza nella dieta quotidiana», dice Piero Gabrieli, direttore marketing di Molino Quaglia. Che spiega come si stanno affermando sul mercato farine integrali, ricche di minerali e vitamine: «Negli ultimi anni si è creato un gruppo di pizzaioli che si sono messi a studiare le tecniche di lievitazione e le materie prime, creando ricette nuove e trasformando la pizza in un prodotto da gourmet. E il consumatore finale è oggi più aperto a queste novità». C’è poi il ritorno a tecniche antiche e più sane come la lievitazione naturale. «Il lievito madre ha proprietà uniche. Non è una moda ma un fenomeno ormai consolidato. Non è però semplice utilizzarlo a livello professionale, perché richiede una lievitazione più lunga», spiega il manager.
Un’altra tendenza che si sta affermando è quella delle farine senza glutine. La ce-liachia è un’intolleranza grave e sottostimata (i casi diagnosticati sarebbero sette volte inferiori agli effettivi) verso la quale c’è sempre più attenzione. «Abbiamo iniziato ad inserire le farine senza glutine per il mercato dei celiaci - spiega Sabrina Dallagiovanna, responsabile marketing Molino Dallagiovanna -, ma ora la richiesta è aumentata perché mangiare gluten free è anche una moda, lanciata da star come Miley Cyrus e Gwyneth Paltrow. Dal punto di vista tecnico c’è stata una grande evoluzione, per cui oggi le farine senza glutine si usano e si lavorano come quelle tradizionali, e danno gli stessi risultati in termini di gusto e consistenza».
C’è poi la richiesta da parte degli operatori di testare altri cereali, nuovi gusti. «Ad esempio l’avena, o il germe di grano. Esalta il gusto del cereale e si lavora come le farine normali. Dalla pizza, che ha fatto un po’ da apripista, insomma, l’uso di cereali alternativi al frumento si è esteso ad altri settori come quello della pasta fresca». Le stesse farine sono spesso declinate anche per la pasticceria, per lo più restia a sposare le esigenze salutistiche. «Ma siamo in fase di accelerazione - dice
Gabrieli - perché il cliente finale richiede più salute e leggerezza anche nei dolci, e un minor carico calorico. Il tutto senza che venga alterato il gusto “classico”». Ed è proprio questa la sfida.
L’utilizzo delle nuove farine è poi anche un mezzo per differenziare la proposta in un mercato probabilmente sovradimensionato come quello delle pizzerie. Per fare questo però sono richieste competenza tecnica, voglia di cambiare e rimettersi in gioco, e creatività. Le aziende propongono vari corsi avvalendosi di professionisti di calibro, come Dallagiovanna che collabora con Achille Zoia, Walter Zanoni, Gianluca Guagneli e Giancarlo De Rosa e con le scuole Cast Alimenti e Alma.
Diversa è la filosofia di Molino Quaglia: «Il pizzaiolo oggi ha bisogno di qualcosa in più per emergere - dice Gabrieli -. Nel corpo docente dei nostri corsi all’Università della Pizza ci sono tecnici, nutrizionisti, esperti di marketing e cuochi. Noi trasmettiamo le competenze tecniche e stimoliamo la creatività dell’allievo spingendolo a mettere a punto ricette personali, che possano essere apprezzate dal pubblico». Insomma, la pizza, dopo secoli di storia, sembra pronta ad affrontare il nuovo millennio.
La nouvelle vague dell'arte bianca
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