21 Gennaio 2014
[caption id="attachment_18113" align="alignright" width="300"] Bruno Pilzer[/caption]
Lo scorso ottobre ha segnato una data importante per la distilleria Pilzer: ha sancito infatti la nascita di Portegnac 9 - il Brandy, un prezioso distillato frutto di un lungo e complesso processo, iniziato nel lontano 1987 quando il giovane Bruno Pilzer raggiunse un illustre professore di Viticoltura e di Enologia, di nome Attilio Scienza, in Francia, nelle zone di Cognac e Armagnac, con il preciso compito di imparare la distillazione del vino e i segreti dell’invecchiamento del distillato. Naturalmente il tutto era da farsi in pochi giorni. Potrebbe sembrare oggi una favola, o una pazzia, ma è proprio così che Pilzer imparò l’arte della distillazione del vino; anzi, imparò anche qualche piccolo segreto in più sulla preparazione del vino base, ricevendo in aggiunta preziose informazioni sull’invecchiamento. La “missione” non ebbe però seguito fino a quando la vecchia distilleria Pilzer, non si traferì nella località trentina di Portegnago - che in dialetto locale, da sempre, è pronunciata come “Portegnac”. Nel momento stesso della costruzione della nuova distilleria è infatti nata la voglia di realizzare quel desiderio concepito in Armagnac, e di fare così un grande distillato di vino invecchiato a Portegnac, nel bel mezzo delle Alpi italiane. Sembrava un sogno pensare al Cognac e all’Armagnac stando a Portegnac, in Valle di Cembra, in mezzo a una natura bellissima, ma completamente fuori del mondo. Un sogno, una follia, quasi un affronto alla Grappa, regina incontrastata della storia della verdissima valle trentina. Ma l’assonanza era troppo forte, e le recenti esperienze nel mondo della distillazione del vino troppo vive per lasciare andare tutto quanto. Così, dopo aver fatto un nuovo corso di aggiornamento all’Università francese di Segonzac, Bruno Pilzer - il cosiddetto “orso Bruno” - era pronto.
Nell’autunno del 2003, spronati dal papà, Bruno e il fratello Ivano si sono messi all’opera selezionando i grappoli di Lagarino, uva bianca particolarmente acida, e hanno optato per una fermentazione molto delicata e molto lunga. Poi, via con la distillazione, seguendo i dettami della migliore scuola d’Oltralpe in merito anche al periodo ottimale - il gennaio successivo a quello della vinificazione. All’epoca non sono mancati anche altri contributi importanti, come quello di Guido Fini di Villa Zarri, che ha incoraggiato i due fratelli nell’impresa e ha condiviso con loro i frutti della sua esperienza di settore. La distillazione è stata fatta con l’alambicco discontinuo a bagnomaria, e molti sono stati gli accorgimenti tecnico - empirici adottati per l’occasione.
Poi toccò alla fase dell’invecchiamento, curata da Ivano: questi, ancora fresco di studi, ha deciso di riprendere una sua ricerca fatta sulle componenti aromatiche, che ha poi incrociato col parere di un autorevole ricercatore dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (diventato poi uno dei migliori esperti nell’ uso del legno), il dottor Mattivi. L’invecchiamento ha così avuto finalmente inizio il 14 maggio 2004.
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A cura di Matteo Cioffi
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