17 Giugno 2014
Da millenni è bevuto in oriente quotidianamente, sia dai ricchi che dai poveri, in Europa invece, il tè, fino agli anni ‘50, si sorseggia solo nei salotti esclusivi e nei circoli culturali. Oggi, grazie alla globalizzazione le cose sono cambiate: anche qui, nel vecchio mondo, lo bevono tutti. Sono diversi i fattori che influiscono sulla diffusione della pianta del tè. Edoardo Barbero, titolare di Biotea di Santa Vittoria d’Alba, azienda importatrice, in provincia di Cuneo, ne sottolinea quattro: la curiosità che desta la bevanda, sulla quale c’è ancora tanto da scoprire; i benefici sulla salute dell’uomo; gli spostamenti sempre più frequenti della gente da un continente all’altro e soprattutto la diffusione del web che unisce virtualmente tutto il globo. L’incremento delle importazioni della pianta nel nostro Paese confermano il trend. Biotea che importa tè soprattutto dalla Cina, lo scorso anno - afferma entusiasta l’imprenditore cuneese - ha triplicato le vendite. In testa alla classifica si posiziona il tè nero, circa il 60%. La parte residua riguarda le altre tipologie: pu’er, tè verde, oolong e tè al gelsomino, il fiore all’occhiello dell’azienda piemontese. Anche i tè verdi conquistano il palato di una buona fetta degli italiani. Quelli cinesi e giapponesi sono i più richiesti. Elena Piaggi infatti, titolare del “Ca Fujiyama”, sala da te, nascosta tra le calli nel cuore di Venezia, registra un incremento del consumo dei tè verdi asiatici, pari al 35%. Anche l’oolong, sempre di provenienza asiatica - sottolinea la signora Piaggi - sta riscuotendo un notevole successo, soprattutto tra le donne per le sue proprietà antiossidanti, antiobesità ed ipocolesterolemiche. Novità, moda e benessere favoriscono dunque, il proliferare delle sale da tè nel nostro Paese, un fenomeno che ci riconduce a qualche decennio fa, quando improvvisamente nelle nostre città apparirono le prime enoteche. Il tè e il vino hanno molte caratteristiche in comune. Entrambe le bevande tendono alla condivisione del relax, del piacere e del cibo ed entrambe, molto spesso, hanno in comune gusti, aromi e profumi, testati nelle frequenti degustazioni che si organizzano nei luoghi sacri alle due bevande. Già da tre anni Edoardo Barbero organizza una degustazione incrociata tra vino e tè nelle cantine del Barbaresco “Martinenga”, nel cuneese, dove due maestri, un sommelier e un tea taster, assaggiano 5 tipi di barbaresco e 5 tipi di tè e ne appurano le loro similitudini. Un evento destinato a ripetersi nel tempo e a lanciare la moda della degustazione del tè in molti locali.
[caption id="attachment_27616" align="alignleft" width="300"] Gabriella Lombardi[/caption]
Gabriella Lombardi, ex pubblicitaria che, da quattro anni, gestisce la sala da tè “Chà Tea Atelier” a Milano, per diffondere la filosofia e la tradizione del tè, mette a disposizione dei clienti la sua esperienza ventennale nel magico mondo degli infusi orientali, organizzando, spesso, corsi di degustazione a tema: tra i tè verdi giapponesi e cinesi, tra gli oolong e i tè neri, tra i tè neri e i tè bianchi etc. Dal quadro appena prospettato, è evidente che le figure che ruotano intorno alla pianta del tè e alla sua bevanda, hanno tre vincoli imprescindibili: esperienza, competenza e professionalità. Quest’ultima riconosciuta lo scorso anno, a livello nazionale dalla Legge 4/13, alle varie figure (Tea Trader, Tea Sommelier, Tea Barman, Tea Chef, Tea Taster etc.) che lavorano nel settore tè/infusi. Titoli che si acquisiscono comunque con l’esperienza, dopo aver viaggiato tanto e dopo aver bevuto altrettante varietà di tè, provenienti da tutte le parti del mondo. Il gestore di una sala da tè - afferma Gabriella Lombardi - oggi non può barare, perché la maggior parte della gente conosce bene la bevanda. Non a caso lei, prima di scegliere i tè da inserire nella carta del suo locale, ne assaggia tantissimi, almeno 40. A questo punto, effettuata la scelta, non le resta che scoprire “vita, morte e miracoli” delle nuove varietà di tè che accoglie nel suo Atelier milanese.
[caption id="attachment_27617" align="alignleft" width="300"] La sala da tè Ca Fujiyama[/caption]
Un po’ di storia: la bevanda che arriva dalla Cina
Romantica, dal sapore un po’ arabeggiante o provenzale, un po’ shabbyechic oppure hi teach, moderna o minimalista, sono gli stili che caratterizzano le oasi metropolitane del tè che stanno spuntando come i funghi in tutta Italia. Stili ricercati, come altrettanto ricercato è il prodotto che servono: il tè, la bevanda, dopo l’acqua, più bevuta al mondo. Il tè è così prezioso che, nei secoli, scatena guerre tra uomini e imperi. Nell’800 Kakuzo Okakura, scrittore giapponese, nella sua opera il “Libro del tè”, quando parla della rivolta delle tribù mongole del 1700, si rammarica più della distruzione dell’arte del tè, il più prezioso tra i frutti della cultura Song, che della morte e dell’afflizione provocate dalla guerra. I primi riferimenti testuali sul consumo della bevanda risalgono al III° secolo in Cina. I monaci buddhisti la adottano come bevanda rituale e tonico. Dopo qualche secolo approda in Giappone e nel 1500, la sua preparazione si trasforma in un vero e proprio rito, conosciuto come “cerimonia del tè”. Cinquanta anni dopo i portoghesi introducono l’infuso orientale in Europa e presto diventa popolare in Francia e nei Paesi Bassi. I medici di questa parte del mondo, diversamente da quelli orientali, sono in disaccordo sulle qualità benefiche del tè. Nel 1657, finalmente, la caffetteria londinese di Thomas Garwey sdogana la bevanda e su un manifesto riconosce i suoi benefici terapeutici.
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