09 Settembre 2014
Il mondo del fuori casa ha recepito il trend della sostenibilità con diverse velocità e differenti strategie, l'analisi dell'Osservatorio Host.
Da semplice greenwashing a fattore strategico. Anche nella filiera dell’horeca la salvaguardia delle risorse, il risparmi energetico, l’attenzione all’efficienza dei processi per un consumo etico stanno diventando rilevanti. E guidano l’innovazione tecnologica e l’ideazione di nuovi format. Che la sostenibilità sia uno dei trend più promettenti per permettere anche alle economie mature di continuare a crescere, anche se non ai ritmi di quelle emergenti, è noto già da diversi anni. Almeno da quando il presidente Barack Obama, durante il primo mandato, ha lanciato la green economy come una delle principali sfide che gli Stati Uniti dovranno affrontare nel nuovo secolo. E che sia una delle scommesse del futuro anche per il Vecchio Continente lo conferma uno studio commissionato dall’Unione Europea al Fraunhofer Institute, secondo cui nei prossimi 10 anni l’economia ecosostenibile creerà 2,8 milioni di posti di lavoro in Europa e aggiungerà circa un quarto di punto all’aumento del PIL continentale.
Sostenibili al bar e al ristorante
Il mondo del fuori casa ha recepito questo stimolo con diverse velocità, secondo i segmenti e i Paesi. L’Italia, va detto, non è stata uno dei mercati più pronti, scontando una storica indifferenza di alcuni operatori – se non diffidenza – verso i temi “eco”. Nel nostro Paese, paradossalmente, è stata proprio la recessione degli scorsi anni a far comprendere che la sostenibilità, e in particolare il risparmio energetico, non sono solo green washing, cioè un’operazione di rinfresco dell’immagine in salsa ecologica, ma un autentico vantaggio gestionale.
Lo conferma una survey che Host aveva condotto prima di dare avvio al premio Host Smart Label che ha debuttato nel 2013 (e dedicato appunto all’implementazione di soluzioni sostenibili nel fuori casa) su un campione rappresentativo dei propri espositori, tramite un questionario con risposte chiuse a scelta multipla. Ne emerge un’idea già “matura” della sostenibilità: alla domanda su cosa significhi per una azienda essere sostenibile, ricevono i punteggi più alti le due risposte che più si avvicinano al concetto People, Planet, Profit promosso dalle organizzazioni internazionali dedicate, ovvero “essere a impatto zero” (45%) e “fare profitti senza sprecare risorse” (30%).
Ma è soprattutto la tipologia di iniziative messe in campo che dimostra come la sostenibilità cominci a essere vista come fattore strategico: ben il 65% dei rispondenti infatti dichiara di avere adottato iniziative per il taglio degli sprechi, l’ottimizzazione dei processi e la razionalizzazione della logistica. Resta molto importante anche il risparmio energetico (45%). Il 30% rispondenti dichiara di puntare su prodotti e fornitori a impatto zero e solo il 10% non ha adottato nessuna iniziativa.
Un rapporto complesso col “mondo esterno”
Anche nelle motivazioni prevale un approccio strategico: la risposta più scelta evidenzia le esigenze di razionalizzazione e ottimizzazione (55%); tuttavia è ancora molto forte il concetto di “greenwashing” (darsi un’immagine positiva puntando sull’ecologia) se ben il 40% dei rispondenti afferma di adottare iniziative sostenibili per migliorare l’immagine. Minore il peso dei clienti (20%) e ancora meno sentito il vincolo delle normative (10%).
Nel rapporto con i clienti e il mercato si nota una discrepanza tra le due relazioni. Mentre rispetto al mercato, infatti, nessuno considera la sostenibilità una moda passeggera e il 55% ritiene che i mercati siano sempre più attenti a questi aspetti, o che comunque ci si debba adeguare (20%, mentre un altro 20% lo ritiene poco importante), riguardo ai clienti il giudizio è spaccato e si suddivide quasi equamente tra chi vede i clienti attenti soprattutto al risparmio energetico (30%), chi li ritiene sempre più sensibili e che contino di più le performance dei prodotti o, infine, che alla fine i clienti guardino solo il prezzo (tutte e tre le voci al 25%).
Se la chiave è l’innovazione
Cos’è successo nel frattempo? La chiave della sostenibilità si è spostata sul rinnovamento tecnologico. È quanto suggerisce uno studio di Ceced Italia - Associazione Nazionale Produttori di Apparecchi Domestici e Professionali che sottolinea, in particolare, il rischio obsolescenza delle attrezzature che vivono molte realtà italiane del fuori casa.
Le analisi di Ceced Italia valutano che l’età media del parco attrezzature installato sul mercato italiano, stimato tra i 6,6 e gli 8,8 milioni di apparecchi, sia piuttosto alta: oltre 7 anni. A fare la parte del leone sono gli apparecchi di refrigerazione (3,2 milioni di unità) e quelli per la cottura (2,2 milioni). Quelli di refrigerazione, però, sono anche gli impianti più “vecchi”, con un’età media pari a 7,6 anni e una quota di oltre un terzo (34%) che ha più di 10 anni. I forni hanno un’età media di 7,2 anni (il 30% ne ha oltre 10), mentre le lavastoviglie si attestano a 6,9 e le lavabiancheria a 6,1. Gli altri dispositivi di cottura sono mediamente “vecchi” di 5,9 anni.
In questi anni, le logiche produttive sono molto cambiate: se in passato puntavano soprattutto su affidabilità, prestazioni e rapidità di messa a regime, oggi, dati ormai per scontati questi fattori, il focus è sulla sostenibilità economica e ambientale. E, in particolare, sui processi produttivi, i materiali impiegati, la progettazione e l’efficienza di funzionamento, alla quale si ricollega il tema dei bassi livelli di consumo e
di inquinamento. Aspetti che dovrebbero essere particolarmente rilevanti in Italia dove, com’è noto, il costo dell’energia è superiore, spesso anche in modo considerevole, agli altri Paesi europei. Una dinamica che è solo in parte moderata dalla prevalenza del gas rispetto all’elettrico, a differenza di molte altre realtà europee: in Italia il gas incide per l’80% nella cottura orizzontale, per il 65% in quella verticale ma solo per il 3% nel lavaggio biancheria e per nulla negli altri utilizzi.
Prossima sfida: i format
In questo scenario, cresce il peso dell’inserimento di elementi green anche nel layout, vissuti non solo come assunzione di una responsabilità sostenibile, ma anche come strumento di marketing per attrarre nuovi segmenti di clienti in un momento di stasi nei consumi. Nel quale gli utenti “sacrificano” le occasioni di consumo funzionali per cercare di salvaguardare quelle più esperienziali, come un happy hour o un dopocena.
“In un primo periodo, abbiamo osservato i consumatori reagire rinunciando soprattutto alle visite di tipo funzionale, ovvero quelle più facilmente sostituibili con consumi domestici o con altre tipologie di consumo – commenta infatti Matteo Figura, Foodservice Director di The NPD Group Inc., tra i principali analisti al mondo nel settore retail e partner di Host –. Al bar per esempio, il caffè e la colazione, che solo il ‘core’ dei consumi, soffrono perché facilmente sostituibili. Allo stesso tempo, in questi lunghi anni di crisi i consumatori sono divenuti più selettivi nelle occasioni di consumo fuori casa prediligendo occasioni legate alla convivialità”.
L’esperienzialità è anche fortemente influenzata dalla qualità dei prodotti acquistati. La filiera, le caratteristiche intrinseche del prodotto, e anche il crescente peso del consumo “etico”, guidano oggi le scelte degli utenti in materia di cibo e di consumo fuori casa. Secondo le rilevazioni di NPD, il 17% delle visite sono motivate dal prodotto, e questa percentuale è rimasta stabile nel tempo anche in questi anni. La contrazione del 3% nel traffico, rilevata dal panel CREST di NPD nel periodo giugno 2012 - giugno 2013, ha avuto l’effetto positivo di innescare un’accelerazione nel rinnovamento, tanto nei prodotti offerti, quanto nei modi di presentarli e nei concept che li ospitano.
“La rinascita del bar inizia proprio da quella innovazione di prodotto e di servizio che abbiamo avuto modo di vedere a Host 2013 – riprende Figura. – E innovazione vuol dire anche aprirsi a un’offerta alternativa che trova sua ragion d’essere nel fatto che i consumatori accettano sempre più luoghi ibridi e non necessariamente legati a identità di prodotto, come può essere il caffè al bar”.
Innovazione di servizio vuol dire ad esempio, per un bar che finora abbia puntato sulla fascia del mattino e in particolare sulla colazione – quella più colpita dal calo dei consumi, come accennato sopra – creare altre occasioni di consumo per le bevande calde. I dati di Crest confermano che l’offerta di bevande calde aumenta la propensione al consumo dei clienti. Se da un lato questo fattore aumenta sicuramente la concorrenza, dall’altro “esportare” le bevande calde fuori dai tradizionali ambiti aiuta il bar a competere anche su altri consumi, come lo snack o il serale.
“La sfida più grande del bar – conclude Matteo Figura – sarà conciliare le nuove occasioni di consumo con il mantenimento o il consolidamento della colazione, che continua a rappresentare la quota parte maggiore di visite. Nell’ultimo periodo gli italiani hanno riscoperto il valore della colazione anche come momento di incontro e convivialità familiare: il consumo domestico della colazione non è solo una conseguenza di scelte di spesa più oculate ma ha driver diversi. In questa caso, L’opportunità del bar sta nel saper ricreare esperienza e convivialità anche in un’occasione vissuta finora in modo soprattutto funzionale”.
Tendenze emerse in modo chiaro a Host 2013 dove la sostenibilità rivestiva un ruolo centrale in tutti i layout innovativi selezionati dal premio HOSThinking - A Design Award, oltre che nel progetto EXIHS, progettato dall’architetto Dante O. Benini, che riuniva in un unico spazio diverse declinazioni del concetto di ospitalità sostenibile nel futuro.
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A cura di Matteo Cioffi
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