13 Ottobre 2014
Lorenzo Cogo è appena rientrato a Marano Vicentino da New York, dove ha presentato un piatto a quattro mani con Massimo Bottura in occasione di Identità Golose NY, tre giorni tra lezioni e cene in cui si sono confrontati sette grandi chef americani (tra cui Lidia Bastianich, Mario Batali e Daniel Humm) e sette stelle italiane, tra cui Carlo Cracco e Davide Scabin.
Enfant prodige della cucina made in Italy, consacrato dal suo ristorante El Coq di Marano Vicentino, è il più giovane chef italiano insignito di una stella Michelin. E ha le idee chiare sulle strategie per avere successo.
La clientela di un ristorante d'autore che cosa si aspetta?
Oggi, cerca soprattutto contatto umano. Per essere vincenti, però, occorre anche trasmettere una forte identità a livello di luogo e di cucina. Tenete presente che la clientela di un ristorante d’autore non vuole “solo” mangiare bene: desidera un’esperienza appagante a tutto tondo, che giustifichi l’investimento di tempo e di denaro. Il mio consiglio? Non abbiate paura di essere voi stessi e di seguire l’istinto, ma ricordatevi sempre che la parola chiave è equilibrio.
Merito delle tue numerose esperienze all’estero se sei diventato il più giovane chef stellato d’Italia ad appena 25 anni?
Non solo. Sicuramente, però, hanno contribuito ad aprirmi gli orizzonti. Oggi, per chi vuole affermarsi in questo mestiere, è quasi un obbligo andare all’estero. Una decina d’anni fa, invece, erano pochi gli chef che prendevano in mano la valigia per girare il mondo. Personalmente, sono stato in Australia, Inghilterra, Giappone, Spagna, a Singapore e in Danimarca prima di aprire El Coq, il mio ristorante a Marano Vicentino. Detto ciò, senza l’impegno mio e dei miei ragazzi, la costanza e un pizzico di fortuna non avremmo raggiunto i traguardi ottenuti fino ad ora.
In quali Paesi consigli di maturare esperienza?
In Giappone e Spagna. Il Giappone è il Paese migliore per apprendere il rispetto per la materia prima, nonché una serie di tecniche utilissime anche in contesti diversi. Quanto alla Spagna, rispetto all’Italia è più avanti in termini di stile, di tecnica e di coesione del sistema chef.
Secondo te, quindi, tra gli chef italiani manca la coesione?
Sì, purtroppo. È uno dei nostri principali limiti. Bisognerebbe essere più uniti e lavorare insieme al fine di creare un sistema che ci rafforzi e ci renda più riconosciuti a livello internazionale.
L’Expo 2015 sarà un’occasione per creare coesione tra gli chef?
Temo di no, è tardi: in Italia oggi i giovani non sono incentivati a credere nel proprio Paese e di conseguenza emigrano. Risultato? Tra le nuove leve, i talenti scarseggiano. Inoltre “la vecchia guardia” non è di grande sostegno: potrebbe supportare maggiormente le nuove generazioni, ma non lo fa...
I tuoi suggerimenti per incrementare il business in tempi di crisi?
Personalmente, ritengo che la strategia migliore sia puntare sul territorio, cercando evidentemente di cogliere le richieste del momento e del luogo. In questa logica, è utile creare una rete di produttori e allevatori impegnati a sostenere l’economia interna, per aumentare la qualità e abbassare i costi. Infine, per poter continuare a investire in ricerca e in materia prima, considerato che negli ultimi anni abbiamo registrato una generale flessione delle presenze, è importante ridurre i coperti e, in relazione, il personale.
Igles Corelli ritiene che oggi per sostenere le spese di gestione di un ristorante di alta cucina sia essenziale fare “food crossing”, ovvero dedicarsi anche ad attività collaterali come corsi, seminari e redazione di libri. Sei d’accordo?
Sicuramente oggi è indispensabile dedicarsi ad attività collaterali per poter investire nel proprio locale. Con questa premessa, però, ritengo che l’obiettivo debba essere sempre trascorrere quanto più tempo possibile nel proprio locale, soprattutto per un giovane chef. Le nuove leve non dovrebbero disperdere troppe energie in svariate attività: per maturare e trovare la propria chiave occorrono costanza, impegno e presenza in loco.
Dove porteresti a cena in Italia un amico straniero?
A Milano andrei al Pont De Ferr per un po’ di divertimento, oltre a una cucina contemporanea di qualità e da Aimo e Nadia con chi vuole assaporare una grande cucina di prodotto. Con chi vuole assaporare stree food, invece, visiterei il Mangiari di strada street food.
In Sardegna, imperdibile è il Ristorante S'Apposentu di Casa Puddu, regno dello chef Roberto Petza, a Siddi (VS): già il nome rende l’idea dell’atmosfera. Per chi non lo sapesse, s’ apposentu è una parola sarda che indica il salotto buono di casa, quello dove accogliere gli ospiti. Non a caso, si respira un’ aria di grande relax, in un ambiente caldo ed accogliente. A Roma ho un bel ricordo del Metamorfosi Restaurant, un ristorante moderno inaugurato alla fine del 2010 e già ai vertici della ristorazione romana.
A Firenze, infine, ho un debole per il Ristorante L'Imbuto dello chef Cristiano Tomei (futuro giudice con Chef Rubio de "Il re della griglia" nuovo show culinario incentrato sull'antica e nobile arte del barbecue in onda in autunno su DMax, ndr.).
Ecco le puntate precedenti di Dalla parte dello chef, una rubrica mensile per far dialogare gli addetti ai lavori sui temi del giorno, tra spunti di riflessione e nuove idee. Ma anche per suggerire ai buongustai i migliori ristoranti in tutta Italia.
Giornalista freelance, Nicole Cavazzuti scrive di food e spettacolo su numerose testate, fra cui Il Messaggero, Gioia e Telesette. Realizza video interviste per Oggi.it e raccoglie le confessioni dei Vip su Ok Salute.
Igles Corelli: «È tempo di cucina circolare. E di food crossing».
Lo chef Marco Sacco: «Il successo è questione di professionalità»
Sebastiano Rovida: «Il locale non è una casa! Non fate troppi sconti»
Antonino Cannavacciuolo «Snellite il menù e pubblicizzate il locale»
Il Luogo di Aimo e Nadia. «Il Km0 è una trovata mediatica»
Daniela Cicioni: «Cucina vegana: che business! Ecco i segreti»
Lo chef Andrea Virgilio: «Stimolate la clientela con serate a tema»
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