14 Novembre 2014
Testo di Nicole Cavazzuti, foto di Paolo Picciotto
Ceresio 7 Pools & Restaurant di Milano, i numeri parlano da soli. Una media di 150 coperti a sera, di cucina espressa, con picchi di 200. “Commissionato” da Dean e Dan Caten, i fratelli fashion designer proprietari del marchio Dsquared2, il locale ha appena festeggiato il primo anno di vita. «Siamo molto soddisfatti. Numeri a parte, abbiamo abituato la gente a salire in alto e a osservare Milano da una prospettiva inedita, quella dei tetti», commenta lo chef Elio Sironi.
Qual è il segreto del successo di Ceresio 7 Pools & Restaurant?
ll concept, inedito: offriamo il servizio di ristorazione tipico di un albergo di lusso e una cucina aperta no stop dalle 12 alle 2 di notte. È come un dolce perfetto: bellissimo e buonissimo. Penso alla vista panoramica, alle piscine, all’arredamento di design e al cocktail bar di qualità. In questo senso, la cucina rappresenta solo la ciliegina sulla torta. Semplice e autentica appaga al contempo vista e palato.
A proposito, quanto conta la semplicità in cucina?
Per me? È essenziale. Sono contrario alle sperimentazioni estreme, virtuosismi che lasciano il tempo che trovano. E poi, diciamolo: puntare sulla semplicità è la sfida più difficile per uno chef, perché l’avventore ha dei parametri di riferimento.
Come si affrontano con successo 150 coperti di cucina espressa a sera?
Con serenità, esperienza, costanza, motivazione e consapevolezza delle proprie capacità. In cucina occorrono nervi saldi, mente lucida e tranquillità d’animo.
Da dove trai ispirazione per i tuoi piatti?
Dalla vita di tutti i giorni, dai piccoli gesti quotidiani, dall’osservazione degli altri. Attento ai dettagli, mi basta guardarmi in giro per immaginarmi nuovi accostamenti.
Parliamo di tecniche di cottura...
Il forno a legna è indispensabile componente per la finitura dei piatti, per il pane e per i dolci; l’utilizzo della griglia a carbone vegetale è un fondamentale sussidio per trasmettere i sapori decisi e antichi.
Per emergere nel settore occorrono...?
Profonde motivazioni e seria determinazione. È essenziale, poi, mettersi in discussione e rinnovarsi ogni giorno, in sintonia con le esigenze dei nostri clienti.
[caption id="attachment_33635" align="alignright" width="278"] Ravioli, melanzane e stracciata di bufala[/caption]
E la clientela di un ristorante d’autore che cosa si aspetta?
Dopo anni di interesse verso sperimentazioni a volte anche azzardate, oggi il cliente chiede semplicità, verità e consistenza nel piatto. Insomma, aspira a una cucina concreta e tradizionale. Questo non significa rinunciare a una sana dose di edonismo, come può essere per esempio la grattata di limone sui miei spaghetti al pomodoro, ma non bisogna perdere di vista l’obiettivo finale: offrire piatti autentici.
La mission del cuoco è offrire piatti autentici?
Sicuramente, ma non solo. Nostro scopo deve diventare la soddisfazione dei clienti a tutto tondo. Il che significa offrire un’esperienza sensoriale
[caption id="attachment_33636" align="alignleft" width="190"] Guanciale di vitellina all'olio di oliva, acciughe e peperoni di Carmagnola[/caption]
capace di coinvolgere tutti e cinque i sensi. Tenete presente che anche l’estetica è importante: non basta una bella location, servono pure materiali e complementi d’arredo di qualità, un accorto studio delle luci e personale di bell’aspetto e sorridente.
Gli errori da evitare?
Primo, scegliere questo mestiere senza una reale passione. Secondo, adagiarsi sui risultati ottenuti. Terzo, non avere una visione imprenditoriale. Non si può gestire un ristorante pensando di aprirlo solo a cena, ci vogliono orari più flessibili.
Alle spalle hai anni di formazione all’estero: in Spagna, Inghilterra, Germania, Svizzera, Giappone... Ai giovani dove suggerisci di fare esperienza?
La verità? Credo che il luogo sia abbastanza irrilevante. Piuttosto, è essenziale maturare esperienza in tutte le differenti sfere della professione. Diciamolo: per emergere non è più sufficiente sapere cucinare, occorre anche conoscere costi e materie prime, nonché possedere una certa capacità empatica nei confronti del cliente. Del resto, il ristorante è un’impresa e come tale non può prescindere dal profitto. Ai giovani aspiranti cuochi, quindi, consiglio di imparare a fare un po’ di tutto, compresa sala e cassa.
Parliamo di pasticceria.
È un argomento spinoso: non è facile trovare personale valido perché la maggioranza dei pasticceri ormai si apre un laboratorio o si dedica alle consulenze.
[caption id="attachment_33637" align="alignright" width="248"] Pavlova, gelato di zibibbo e fondente di lamponi[/caption]
Tenete presente, però, che il dessert è essenziale: quindi attenzione a mantenere sempre alta la qualità. Inoltre, il dolce deve seguire la filosofia della cucina. Ecco perché tra chef e capo pasticcere occorrono sintonia d’intenti e di obiettivi.
E veniamo al tema vino. I tuoi consigli?
Odio la leziosità: trovo esasperanti quei ristoranti che propongono un vino diverso a ogni pietanza. Credo che sia importante, piuttosto, formare il cliente in modo che possa decidere in modo autonomo cosa consumare, sulla base di pochi e chiari suggerimenti.
Infine, un commento su Expo 2015. In che misura rappresenta un’occasione di business per i ristoratori?
La manifestazione può essere utile per condividere con i colleghi esperienze e conoscenze legate al mondo del cibo. L’importante, però, è fare sistema. Informatevi in Provincia o Regione per conoscere il calendario degli appuntamenti organizzati. Personalmente, vi anticipo che sto lavorando con un team di celebri cuochi per organizzare corsi di formazione per chi desidera reinserirsi nel settore in un’età critica come i 45-50 anni.
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