pubblici esercizi
20 Gennaio 2015Fipe-Confcommercio Imprese per l’Italia ha impugnato di fronte al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio la gara Buoni Pasto 7 indetta da Consip S.P.A. per la fornitura annuale dei servizi sostitutivi di mensa ai pubblici dipendenti.
L’impugnativa è stata resa necessaria dall’atteggiamento di Consip che ha indetto una gara identica alla precedente, nonostante gli incontri con la federazione nei quali era stata fatta rilevare la insopportabilità per decine di migliaia di imprese di ristorazione delle condizioni imposte a bar e ristoranti da coloro che si erano aggiudicati la gara passata a causa degli sconti riconosciuti alla Pubblica Amministrazione arrivati a superare il 20% del valore del buono.
«Non è ammissibile - dichiara il Presidente di Fipe - Confcommercio, Lino Enrico Stoppani - che Consip pretenda di far pagare ai pubblici esercizi i risparmi che con gare appositamente costruite vuol far fare alle Pubbliche Amministrazioni sui pasti dei dipendenti. Siamo, di fatto, in presenza di una ulteriore tassa che lo Stato impone agli esercenti che, loro malgrado, sono costretti ad accettare convenzioni capestro dove a fianco di una commissione normale vengono aggiunti “servizi aggiuntivi”, solo formalmente facoltativi, che servono a ripianare le perdite degli emettitori bilanciando così le loro offerte in perdita evidente. E’ questo un sistema che si è avvitato su se stesso, dove la pretesa del datore di lavoro Stato di risparmiare a tutti i costi va contro gli interessi dei propri dipendenti e degli operatori commerciali che non possono certamente fornire prestazioni alle quali corrispondono corrispettivi pagati in ritardo ed in modo parziale».
Proprio perché Fipe crede nella utilità del buono pasto per sostenere e sviluppare i consumi interni e mettere i lavoratori in grado di consumare un pasto equilibrato in un ambiente confortevole, ha ritenuto indispensabile agire per cancellare alcune storture del sistema riportandolo alla sua valenza originaria anziché fare populistici proclami su una sua monetizzazione che avrebbe l’unica conseguenza di intaccare le condizioni di vita e la salute stessa dei lavoratori.
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A cura di Rossella De Stefano
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