22 Maggio 2013
Nel profilo produttivo non differisce molto dal rum, è molto “artigianale”, e non esiste effettivamente una ricetta precisa, variando spesso il processo produttivo in base alla scelta delle aziende che la realizzano (più di 5 mila, non contando alambicchi che lavorano in clandestinità).
Cio che rende diversa la cachaça dagli altri spirits è il minor grado di distillazione, che le conferisce un aroma e un sapore molto intensi.
Il percorso della cachaça va dal consumo nelle piantagioni ai salotti degli intellettuali del 18° secolo, dove veniva bevuta questa “agua pra tudo” per brindare all’indipendenza dal Portogallo. Da sempre l’acquavite di bandiera per il Paese, anche grazie al basso costo che permette alla stragrande maggioranza della popolazione di bere alcol senza spendere una fortuna (definita infatti un tempo il brandy dei poveri).
La Storia
Non si hanno dati storici sicuri su chi sia stato il primo produttore di cachaça.
Pare che il periodo vada dal 1530 al 1550 con l’introduzione da parte dei colonizzatori portoghesi, avvenuta nel 1500 da parte di Pedro Alvarez Cabral, della canna da zucchero, nello specifico nel 1532 con la nascita delle prime piantagioni (fazendas) e industrie dello zucchero (‘engenhos de Açúcar’) a Sao Vincente. Dalla canna si otteneva lo zucchero, uno dei beni più importanti per il mercato europeo, e proprio nelle cantine delle engenhos dove si lavorava il succo delle canne spremute per separare i cristalli dal residuo liquido e denso (la melassa) si andava a formare una condensa sul soffitto che lentamente gocciolava a terra. Questo gocciolare (Pingar) coniò il termine con il quale ancora oggi i brasiliani chiamano in gergo il loro prodotto nazionale: Pinga. Dalla pianta non si otteneva solamente zucchero e melassa.
Il succo delle canne, fatto fermentare grazie all’azione dei lieviti, si trasformava in una sorta di mosto chiamato cagaça o cagassa per l’odore nauseabondo che sprigionava, quasi di letame.
Proprio da questa cagassa pare derivi l’etimologia del nome cachaça, anche se qualcuno sostiene che derivi invece dal termine spagnolo cachaza con il quale si chiamava l’acquevite di uva. Furono gli stessi portoghesi ad introdurre la distillazione attraverso alambicchi inizialmente discontinui, avendo già esperienza di distillazione nella produzione in terra madre di acquavite di uva.
Sebbene la data precisa delle prime distillazioni non sia certa, si può dire che nel 1640 al distillato venne dato definitivamente il nome di cachaça grazie al governatore degli stati del Nord del Brasile (Pernambuco). La produzione di questa aguardente de cana iniziò ad aumentare in maniera esponenziale visto l’utilizzo da parte del popolo, tanto da infastidire il mercato dei vini portoghesi e del Bagaceira (acquavite d’uva sempre portoghese). Addirittura i mercanti di schiavi olandesi iniziarono a favorirne la produzione nel nord del Brasile per utilizzarla come moneta di scambio, andando ad arricchire i nemici della Corona Portoghese.
La reazione a tale fenomeno da parte dei portoghesi portò intorno al 1649 al decreto che vietava la vendita di Cachaca,
Sempre più stava diventando il simbolo della ribellione nei confronti del paese colonizzante, tanto che nel 1700 il mercato di cachaca divenne secondo al caffè, e il governo portoghese, non riuscendo nell’intento, decise di tassare nel 1756 il prodotto, abrogando il decreto di non produzione e vendita.
Dopo il 1756 il governo portoghese provò più volte ad arrestarne la produzione, fino al 29 agosto del 1825, anno in cui si firmò il trattato di Indipendenza del Brasile dal Portogallo, a seguito di molte ribellioni da parte del popolo brasiliano che, una volta raggiunta l’indipendenza, decise di vedere in questo spirito il simbolo della loro lotta e vittoria.
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