15 Luglio 2013
Nelle "cene galeotte" i detenuti diventano camerieri. Un’iniziativa che mette in pratica l’articolo 27 della costituzione che prevede la rieducazione dei condannati al carcere.
Enzo sta progettando di aprire un Bed & Breakfast nella campagna marchigiana, ha già pensato a tutto. Ha una moglie e una figlia, e il sogno nel cassetto di diventare un attore professionista – è bravo, ha la faccia giusta (assomiglia a Beppe Fiorello), ce la può fare. Enzo è anche uno dei 67mila detenuti rinchiusi nelle carceri italiane; vive nel gigantesco complesso del carcere di Bollate, nella periferia milanese. Tanti, una volta usciti, tornano a delinquere. Molti di più, però, riescono a rifarsi una vita: sono quelli che non perdono la speranza, che riescono da dietro le sbarre a ricostruirsi la libertà, giorno dopo giorno, senza rassegnarsi al di aprire un Bed & Breakfast nella campagna marchigiana, ha già pensato a tutto. Ha una moglie e una figlia, e il sogno nel cassetto di diventare un attore professionista – è bravo, ha la faccia giusta (assomiglia a Beppe Fiorello), ce la può fare. Enzo è anche uno dei 67mila detenuti rinchiusi nelle carceri italiane; vive nel gigantesco complesso del carcere di Bollate, nella periferia milanese. Tanti, una volta usciti, tornano a delinquere. Molti di più, però, riescono a rifarsi una vita: sono quelli che non perdono la speranza, che riescono da dietro le sbarre a ricostruirsi la libertà, giorno dopo giorno, senza rassegnarsi al marchio di “carcerato” che per sempre si porteranno addosso. A questo serve il lavoro in carcere: a ritrovare la libertà riempiendo giornate altrimenti interminabili, a rivivere attimi di vita onesta e vera, seppur ricavati tra mura di cemento armato. Di questo si occupano cooperative e associazioni in tutte le strutture detentive d’Italia, e in particolare in quell’”isola felice” che è il carcere di Bollate, esempio virtuoso di applicazione letterale dell’articolo 27 della Costituzione – per il quale le pene servono alla rieducazione del condannato, non al suo annientamento psicologico e sociale. La Cooperativa sociale Onlus E.s.t.i.a. è una di queste, e mercoledì 29 Maggio ha organizzato un evento che ci ha particolarmente incuriosito: una “cena galeotta”, servita e intrattenuta dai detenuti nei panni di camerieri-ballerini. Ecco il nostro racconto dell’iniziativa, intitolata “Camerieri della Vita”.
La “cena galeotta” nel carcere
Entrando per la prima volta nella Casa di Reclusione di Milano-Bollate insieme agli altri clienti accorsi per la cena ci sentiamo in un luogo ibrido, a metà tra un aeroporto e un enorme ospedale. Dopo i controlli all’ingresso, le guardie ci accompagnano lungo un corridoio interminabile – il “miglio grigio”, lo chiamano. Niente distese inumane di gabbie, né grida o altri stereotipi da film americano: alle 20.30 c’è un gran silenzio, qualche faccia innocua si aggira liberamente, si sentono solo i nostri passi e le risate tranquille della guardia che ci scorta. «Bollate non è come gli altri carceri», ripetono tutti; più precisamente, si tratta di un “Istituto a custodia attenuata per detenuti comuni”: penitenziario sì, ma dove in cella stanno in pochi. La maggioranza partecipa a diversi progetti, che vanno dalle attività culturali e sportive fino al lavoro vero e proprio, in certi casi svolto addirittura all’esterno della struttura.
«Bisogna intendere il carcere come l’ospedale civile della società», è il commento di uno dei partecipanti alla cena. Che, affermano, non sono lì tanto per mangiare, quanto per prendere parte a un insolito viaggio, là dove nessuno vuole andare. Finalmente arriviamo alla fine del corridoio, al Teatro In Stabile, cuore pulsante delle attività di E.S.T.I.A. – nata come compagnia teatrale di attori detenuti nel 2003, arrivata a comprendere oggi una “Falegnameria Etica” (hanno costruito gli spalti in legno del teatro!) e uno “Studio Video”. Ad accoglierci ci sono una decina di ragazzi giovani e meno giovani, atteggiati in pose “da mimo” nei loro costumi bianchi in stile rinascimentale. Nella sala, grandi tavoli rotondi (decorati dalle donne recluse a Bollate) e una novantina di ospiti paganti.
I detenuti inaugurano la serata con uno spettacolo di danza, per poi diventare camerieri alla prima portata, servendo i clienti tra inchini e pirolette, in un sottofondo di musica jazz. L’atmosfera è allegra, lo si vede nei volti degli avventori e – soprattutto – dei ragazzi della cooperativa: la prigione che li circonda, almeno per qualche ora, non esiste più. La cena è ottima: il catering l’ha fornito a prezzi stracciati la “Cattaneo Catering”. Da dietro il bancone del buffet, Daniele commenta: «stando a contatto coi detenuti, è diverso. Ti chiedi, ma come è possibile che sono finiti qui dentro questi ragazzi?”. In effetti, a guardarli sorridere mentre consegnano i piatti con grazia, ce lo chiediamo anche noi. «Siete dei professionisti a servire ai tavoli!» – bisbiglio a uno di loro; “mica ci hanno messo dentro per niente”, risponde scherzando lui. Scherzi a parte, sono bravi davvero.
La Cooperativa E.s.t.i.a.
Da dove nasce l’idea delle “cene galeotte”? «Dalla volontà che la gente si mischi, si liberi. Il messaggio dietro al nome ‘camerieri della vita’ è questo: e se i detenuti, anziché sentirsi dei servi, imparassero a servire la vita stessa a chi sta fuori?». Michelina Capato Sartore è la presidentessa di E.s.t.i.a., nonché regista di questa e numerose altre iniziative teatrali della Cooperativa – i cui lavori sono animati da uno scopo su tutti: costruire un percorso di reinserimento socio-professionale dei carcerati. Il teatro è funzionale al raggiungimento di questo obiettivo: «nel carcere, fatto di rituali e schemi ben definiti, consente di ritagliare piccoli momenti di follia, capaci di far riscoprire la libertà. Una libertà che, anche fuori, è molto rara». Per info su attività e iniziative, www.cooperativaestia.org.
Le foto di questa pagina sono di Paola Russo
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