04 Maggio 2015
Ci siamo dati l’obiettivo di provare a rispondere al quesito che serpeggia sotterraneo dietro i preparativi di Expo 2015: l’ospitalità italiana saprà davvero cogliere questa occasione unica per ridefinire il proprio modello di business? Saprà continuare a proporsi come eccellenza nel mondo, lavorando sulle aree di miglioramento e facendo proprie metodologie più manageriali e, in definitiva, più efficaci per i mercati globalizzati?
Buone premesse e voglia di Italia
Nella prima parte, pubblicata nello scorso numero di Mixer, abbiamo delineato lo scenario nel quale si muovono – e si muoveranno ancora di più in futuro – i player del settore. Intanto un’Esposizione Universale che, si presenta al taglio del nastro con le carte in regola: dai numeri da record (145 Paesi in rappresentanza del 94% della popolazione mondiale, 20 milioni di visitatori attesi di cui un terzo stranieri) al concept molto innovativo, che vede presenti per la prima volta anche 13 organizzazioni della società civile. E che, soprattutto, introduce i cluster, padiglioni collettivi che riuniscono diversi Paesi non presenti con un edificio proprio secondo una logica di filiera, dalla materia prima al prodotto finito, anziché di vicinanza geografica. Quanto questo approccio innovativo possa essere strategico per il sistema Italia lo si può vedere dall’esempio del caffè, al quale è dedicato uno dei 9 cluster, e alle sinergie che potrà creare con Host2015, che si tiene nell’adiacente quartiere fieramilano dal 23 al 27 ottobre – proprio verso il gran finale di Expo – le cui aree Caffè-Thè e Bar-Macchine Caffè-Vending sono il punto di riferimento mondiale per il comparto con il SIC – Salone Internazionale del Caffè. La ragione di questa grande aspettativa nei confronti dell’evento è che esiste nel mondo una grande voglia di lifestyle italiano. In questa seconda parte ci focalizzeremo su come le aziende stanno rispondendo a questa sfida e quali strategie stanno sviluppando.
Più servizio e più tecnologia
[caption id="attachment_75796" align="alignleft" width="215"] Anema & Cozze[/caption]
Sulla competenza di prodotto il fuori casa italiano è un’eccellenza riconosciuta: secondo molti operatori un’area di miglioramento è rappresentata dal servizio. Questa per esempio l’opinione di Franco Manna, Direttore generale del Gruppo Sebeto (Rossopomodoro, Anema & Cozze, Pizza e Contorni, Rossosapore, Ham Holy Burger): “In Italia la tipologia di ristorazione non è a catena, ma ha un’impronta familiare. Nel nostro Paese si è puntato in particolare sulla competenza e sulla conoscenza molto forte del prodotto. Inoltre, un ruolo fondamentale è giocato dalla cucina regionale, che ha permesso alla ristorazione di essere variegata. Mentre all’estero viene privilegiato il servizio. In particolare i ristoranti sono più performanti a livello di servizio, che sul prodotto”. “Questo accade perché in Italia il cliente stesso è più attento al prodotto, meno al servizio. Noi, che siamo presenti negli Stati Uniti, in UK, in Arabia Saudita, in Turchia, vediamo queste differenze – prosegue Manna –. Nel Regno Unito ad esempio, se serviamo prima un piatto di pasta a un commensale e l’altro, invece, attende la pizza (perché in cucina sono due diverse linee di produzione), riceviamo immediatamente una lamentela. Per un cliente italiano una situazione del genere è normale, per un cliente estero no. Ma anche in Italia la tendenza del futuro è lavorare sul servizio. Quando avremo raggiunto il punto di eccellenza, migliorando il servizio, avremo vinto la scommessa. E, per migliorare il servizio, è necessario avviare anche un investimento tecnologico, perché in cucina sono coinvolte diverse zone di produzione”. Un caso studio di come all’estero la tecnologia si integri con i format in franchising, per offrire una qualità uniforme, viene da Wodschow & Co A/S, multinazionale danese specializzata nella produzione di miscelatori professionali, in particolare modelli planetari, commercializzati con il brand Bear Varimixer. “Noi siamo un’azienda danese: il nostro mercato domestico è molto ridotto e per crescere abbiamo puntato sull’esportazione – spiega il Sales Director Peter M. Frederiksen –. Esportiamo l’84% della nostra produzione e questa crescita si deve soprattutto al fatto che molti dei più noti marchi internazionali in franchising, da McDonalds a Starbucks, utilizzano i nostri miscelatori. Oggi queste catene stanno vivendo un vero e proprio boom sui mercati emergenti, soprattutto Far East e Sudest asiatico, dove i marchi occidentali sono molto apprezzati. Con i nostri prodotti, noi aiutiamo a garantire gli standard di qualità che il consumatore locale ha imparato a conoscere nei suoi viaggi in Occidente e che vuole ritrovare anche nel proprio Paese. L’Italia invece non è un mercato molto rilevante per noi, proprio perché l’incidenza delle catene è minore e questa esigenza di uniformità nei metodi produttivi è meno sentita”.
Verso una “terza via” all’italiana?
L’obiezione che sorge più naturale davanti a questo trend è che il fuori casa italiano è unico al mondo proprio perché è variegato, diversificato, “non standardizzato”. Ed è quello che si aspettano gli avventori, soprattutto gli stranieri che vogliono assaporare il saper vivere italiano. D’altro canto, la crescita esponenziale nei numeri – l’Organizzazione Mondiale del Turismo ha stimato che l’anno scorso i viaggiatori internazionali siano stati oltre 1 miliardo e 100 milioni – qualche forma di organizzazione industriale la impone. Premesso che assisteremo probabilmente a una divaricazione del mercato tra un alto di gamma molto personalizzato e un’offerta basica di catene a basso costo rivolta ai clienti “on budget”, tra i due si estende un’enorme “terra di mezzo” tutta da conquistare, trovando una quadra fra unicità italiana ed esigenze di qualità costante e ripetibile.
[caption id="attachment_75794" align="alignleft" width="300"] Un pdv Eataly negli Usa[/caption]
Come uscire da questa impasse? È possibile una terza via all’italiana? Una delle success story più eclatanti a dimostrazione che questa terza via è possibile, è probabilmente Eataly, il format che riproduce con un’allure contemporanea tutto il fascino dell’antica piazza del mercato italiana, dove vengono venduti e consumati prodotti di qualità di piccole realtà selezionate. In questo senso, la filosofia che adotta Eataly, per il cui Manifesto Farinetti ha voluto non a caso un poeta e scrittore americano, Wendell Berry – è triplice: mangiare, comprare e imparare. Da un lato si trova l’offerta dei prodotti, sia sotto forma di distribuzione sia sotto forma di opportunità di ristorazione, mentre dall’altro si trova l’offerta relativa alla didattica. La grande attenzione al layout è l’elemento unificatore. Ne è un esempio il punto vendita realizzato a Milano ristrutturando l’ex Teatro Smeraldo: uno spazio di oltre 5.000 metri quadrati caratterizzato da un grande palco, che domina i tre piani, per onorare la il genius loci con un ricco calendario di concerti di grandi artisti italiani, a disposizione anche di giovani emergenti per esibirsi a titolo gratuito di fronte al pubblico di Eataly. “Eataly nasce con l’intento di smentire l’assunto secondo cui i prodotti di qualità sono a disposizione solo di una ristretta cerchia di privilegiati, poiché spesso cari o difficilmente reperibili – spiega il fondatore Oscar Farinetti –. Eataly propone il meglio delle produzioni artigianali a prezzi sostenibili, creando un rapporto diretto tra il produttore e il distributore finale che riduce al minimo gli anelli intermedi della catena. L’obiettivo è incrementare la percentuale di chi si alimenta con consapevolezza, scegliendo prodotti di prima qualità e dedicando una particolare attenzione alla provenienza e alla lavorazione delle materie prime”. “Questi ultimi aspetti – conclude – riassumono la vera originalità di Eataly e costituiscono il punto di partenza per suscitare nel consumatore una corretta percezione della qualità, nella convinzione che ‘mangiare bene aiuta a vivere meglio’”. Intervenendo al 2° Forum Food e Made in Italy organizzato da Il Sole 24 Ore, l’Amministratore Delegato e co-fondatore Nicola Farinetti ha precisato che “…la necessità di superare il concetto di ‘nicchia’ data l’ampiezza dei mercati internazionali, che consentono grandi numeri anche per le produzioni di eccellenza. Le piccole aziende che collaborano con Eataly hanno sperimentato un’espansione e internazionalizzazione anche di mentalità e nei metodi produttivi e organizzativi, grazie alle aperture in mercati come USA e Germania”. Collabora da tempo con Eataly alla progettazione e realizzazione dei format Costa Group, tra i leader italiani nel settore. Commenta dal canto suo il Presidente, Franco Costa: “Oggi la tendenza è rappresentata dalla verità nel mondo della ristorazione. Anche nel food si cerca la verità e l’autenticità. Anche nei format degli arredi, si evidenzia la ricerca del vero, del legno, del buono, dell’autentico. Anche il caso di Eataly corrisponde a questa esigenza di autenticità e di qualità. Oltre a Eataly ci sono altre realtà italiane che vanno in questa direzione, come le nuove aperture di Parmacotto a New York”.
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A cura di Matteo Cioffi
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