07 Aprile 2023
Chi può negare che una scelta, come quella dell’Irlanda di introdurre un'health warning label sulle bottiglie di vino (senza distinzione alcuna tra consumo moderato e abuso) non possa essere a sua volta adottata anche da altri Paesi? Uno scenario da incubo per tutti i principali Paesi produttori del nettare di Bacco. Che non a caso, da mesi, ha sollevato un enorme polverone tra le principali associazioni di produttori vinicoli, italiani in prima fila.
Le reazioni delle associazioni
L'alzata di scudi è cominciata con l'intervento del Ceev (Comitè Européen des Entreprises Vins), l'associazione che raggruppa i principali enti di rappresentanza della filiera enologica dei Paesi membri dell’Ue (più Svizzera e Uk), che ha evocato l’utilità vitale di un’intesa tra i Paesi produttori di vino a livello mondiale. Obiettivo: cercare di sensibilizzare (invano) il governo di Dublino, opzionando quindi l’ipotesi di indirizzare la protesta alla Corte di Giustizia europea per difendere quello che si ritiene essere il diritto dell’Ue e la salvaguardia dei principi del mercato unico europeo.
In Italia gli umori di chi lavora nel settore vitivinicolo sono a loro volta incandescenti. Espressioni di un comparto, quello vitivinicolo, che si compone di oltre 310 mila imprese, conta 1,2 milioni di addetti, genera un fatturato annuale di circa 15 miliardi di euro e determina il 75% del valore delle esportazioni di bevande alcoliche. Risultato: le associazioni di categoria tricolori rimangono sul piede di guerra, pronte a lottare per impedire che un provvedimento di un singolo Paese membro di Eurolandia possa costituire, di fatto, un’ingiusta barriera commerciale.
“Il silenzio assenso di Bruxelles a Dublino relativo alle avvertenze sanitarie in etichetta per gli alcolici rappresenta una pericolosa fuga in avanti da parte di un paese che appartiene all’Ue – dice Lamberto Frescobaldi, Presidente Uiv (Unione Italiana Vini). Riteniamo che il mancato intervento dell’esecutivo europeo metta a repentaglio il principio di libera circolazione delle merci in ambito comunitario e segni un precedente estremamente pericoloso in tema di etichettatura di messaggi allarmistici sul consumo di vino. Temiamo poi che la Direzione generale per la Salute voglia adottare nei prossimi mesi questo approccio a livello europeo lasciando, nel frattempo, libera iniziativa ai singoli stati membri, al fine di sdoganare sistemi adottati senza previo dibattito pubblico a livello europeo”.
Il possibile danno che s'intravede all’orizzonte viene considerato per di più fondato su un approccio alla questione sbagliato. “La misura di questo genere di etichettatura sia sproporzionata rispetto al reale problema che si vuole affrontare”, fa notare Federvini per voce della sua Presidente Micaela Pallini. “I fenomeni di abuso o di salute derivanti da consumi eccessivi non si risolvono in questa maniera. L’Irlanda di per sé non è un mercato essenziale per il nostro vino o le nostre bevande alcoliche, ma ci preoccupa che passi il messaggio che anche un bicchiere possa essere collegato all’insorgenza di alcune malattie, senza alcuna correlazione con la quantità di alcol assunto o altre problematiche di contorno. In questo modo, si penalizza un settore che da millenni è parte integrante delle nostre tradizioni e della dieta mediterranea, dal 2010 considerata patrimonio dell’umanità dall’Unesco”.
Che fare?
Lo pensano in tanti: per fare chiarezza sulla vicenda serve accelerare sotto l’aspetto della comunicazione e della corretta informazione, promuovendo iniziative che abbiano soprattutto i giovani come portavoce di un bere responsabile. Federvini, a questo proposito, ha lavorato con l’Università La Sapienza, laurea magistrale di Organizzazione e Marketing, a un progetto chiamato ‘No Binge, comunicare il consumo responsabile’.
“Un’iniziativa con la quale abbiamo coinvolto gli studenti a sviluppare messaggi sulla prevenzione dell’abuso di alcol tra i giovani. Le idee migliori sono state premiate con una borsa di studio. Solo attraverso l’educazione al consumo possiamo veramente lottare contro abitudini sbagliate che possono magari nuocere alla salute”, racconta la rappresentante dell'associazione che fa capo a Confindustria.
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A cura di Matteo Cioffi
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