pubblici esercizi
25 Agosto 2014Riceviamo da alcuni lettori alcune richieste di informazioni che potremmo raggruppare sotto il seguente caso.
Una coppia sposata lavora nello stesso locale di cui è marito e moglie sono comproprietari in un’impresa familiare. Le cose tra di loro, però non vanno più bene edecidono di separarsi. Hanno un figlio e si apre la questione di chi deve accudirlo. Quali sono gli impatti sull’attività e come devono comportarsi?
Affrontiamo il quesito posto sotto un duplice punto di vista: la separazione tra coniugi e gli effetti di quest’ultima sull’impresa familiare. Poiché i due argomenti sono molto vasti e complessi, affrontiamo prima la separazione e poi parleremo di impresa familiare.
Con la separazione personale dei coniugi (sia essa giudiziale o consensuale) cessano per entrambi i coniugi l’obbligo di convivenza e l’obbligo di assistenza in tutte le forme che presuppongono la convivenza.
Dal momento che il vincolo coniugale non si scioglie, tuttavia, continuano a sussistere alcuni doveri nascenti dal matrimonio.
Il nostro ordinamento, nel caso di una coppia sposata, non contempla la separazione di fatto: i tre anni necessari per la pronuncia di divorzio decorrono dall’udienza in cui i coniugi sono comparsi avanti al giudice e non da quando i coniugi si sono separati di fatto.
Il giudizio si introduce con ricorso e può essere proposto nella forma consensuale, se vi è accordo sulle condizioni per entrambi i coniugi, o giudiziale, qualora non vi sia stato raggiungimento di accordo. A seguito del ricorso, il Presidente fissa, con decreto, il giorno dell’udienza cui dovranno comparire personalmente i coniugi.
Le questioni oggetto di accordo tra i coniugi, in caso di separazione consensuale, o decise dal Tribunale, in caso di separazione giudiziale, riguardano principalmente l’affidamento (condiviso o esclusivo) dei figli minori e il loro mantenimento, l’assegnazione della casa familiare, il mantenimento del coniuge economicamente più debole.
I provvedimenti relativi ai figli
Per quanto riguarda i provvedimenti relativi ai figli, occorre rilevare che i coniugi continuano ad avere il ruolo di genitori, con tutti gli obblighi che ne conseguono, anche se il loro rapporto è giunto al termine.
Con il d.lgs. 154/2013 è stato previsto un corpo normativo unico: i nuovi articoli da 337 bis a 337-octies diventano le norme di riferimento relative all’esercizio della responsabilità genitoriale per tutti i tipi di controversie in tema di separazione e divorzio e in caso di interruzione della convivenza tra genitori non sposati.
I figli, in caso di separazione, hanno, infatti, il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere le cure necessarie, l’educazione, l’istruzione e l’assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti (i nonni) e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Il legislatore prevede che di regola l’affido sia quello condiviso: l’affido esclusivo ad un solo genitore sopravvive nel nostro ordinamento ma solo come ipotesi residuale. Il Giudice, nel prevedere l’affido esclusivo ad un solo genitore, non solo dovrà motivarlo ma dovrà prevederlo solo in casi dove l’affido condiviso possa arrecare un pregiudizio al minore. Sul punto, occorre rilevare che il nostro legislatore, per non imbrigliare il giudicante in una casistica rigida di ipotesi, ha preferito mantenere la fattispecie aperta lasciando, di volta in volta, la valutazione al giudice. La Giurisprudenza, di merito e quella di cassazione, hanno fatto chiarezza individuando una serie di casi, meramente esplicativi, che però non sono vincolanti, dal momento che nel nostro ordinamento non vige la regola del precedente.
Per quanto concerne il diritto di frequentazione del genitore non collocatario, occorre rilevare come il tribunale e, in caso di separazione consensuale, i coniugi, prevedano una regolamentazione “minima” per garantire alla prole un significativo e costante rapporto con entrambi i genitori e i rispettivi nuclei familiari. Nulla osta al fatto che i coniugi possano, se d’accordo, ampliare detta regolamentazione in risposta, sempre, alle esigenze dei figli.
L’assegnazione della casa familiare
Essa viene fatta nell’esclusivo interesse della prole, pertanto esula dal titolo di proprietà della stessa. La norma risponde all’esigenza primaria dei figli di continuare a crescere nella stesso habitat familiare indipendentemente dalle vicende separative dei genitori. L’interesse quindi di crescere in quel luogo, in quel quartiere, nella città dove fin da piccoli hanno iniziato a tessere le loro relazioni sociali (scuola, amici, sport …).
Il mantenimento del coniugi economicamente più debole. Nel caso in cui vi sia un coniuge economicamente debole, il dovere di assistenza materiale si trasforma nel suo diritto a ricevere un contributo al mantenimento, solitamente sottoforma di assegno mensile.
I diritti successori
Anche i diritti di successione di un coniuge nei confronti dell’altro rimangono invariati, sino all’eventuale divorzio, a meno che non sia intervenuta separazione con addebito: il coniuge a carico del quale è stato posto l’addebito perde i diritti successori nei confronti del coniuge defunto.
Malgrado la separazione, il coniuge superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, al trattamento di fine rapporto (TFR) ed alla indennità di mancato preavviso.
Con la pronuncia della separazione si scioglie la comunione legale, se è stata scelta come regime patrimoniale della famiglia e, di conseguenza, dopo la separazione, ogni acquisto rimarrà ricompreso esclusivamente nel patrimonio del coniuge che lo ha effettuato, senza giovare all’altro.
Nel prossimo numero affronteremo la questione degli impatti della separazione sull’impresa familiare.
Come si diceva, la separazione dei coniugi produce effetti anche sui rapporti economici in essere tra gli stessi, in modo particolare, la domanda dei lettori pone l’attenzione sull’impresa familiare.
L’impresa familiare viene disciplinata dall’art. 230 bis c.c. e ha nell’affectio familiare il suo elemento fondamentale, dal momento che ha uno scopo più ampio di quello economico: l’assistenza morale, spirituale e materiale.
Dunque, gli elementi costitutivi sono l’esistenza di una impresa e che vi sia un rapporto di coniugio, parentela o affinità con il singolo titolare dell’impresa (se individuale) o con ciascuno dei titolari della stessa (se collettiva).
Da ultimo, occorre rilevare che ulteriore elemento tipico della fattispecie è la prestazione di attività lavorativa di collaborazione in via continuata ovvero, con i caratteri della costanza, della regolarità.
L’impresa rimane riconducibile all’impresa individuale ed il familiare, che ivi presta in modo continuativo la propria opera, ha diritto al mantenimento in relazione alla condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa, ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda.
Il partecipante ha diritto al mantenimento, cioè a ricevere la somministrazione di tutto l’occorrente a soddisfare le esigenze di vita nei limiti delle condizioni patrimoniali dell’imprenditore.
L’art. 230 bis c.c. riconosce al lavoratore familiare un compenso sotto forma di partecipazione agli utili.
L’impresa familiare può cessare per diversi motivi: morte dell’imprenditore, l’esclusione, il recesso del partecipante, ma quello di cui qui occorre occuparci è dato dagli effetti della separazione sull’impresa familiare.
Dottrina e la Giurisprudenza hanno prospettato molteplici e contrastanti soluzioni, dal momento che il legislatore nulla dice in proposito.
La dottrina maggioritaria sostiene che la separazione personale non produce di per sé la cessazione del rapporto di impresa familiare ove alla stessa non si accompagni il venir meno dell’attività lavorativa: dal momento che la separazione personale non determina il venir meno dello status di coniuge (come abbiamo visto nell’articolo pubblicato nel numero scorso) anche se, nella prassi, spesso la separazione provoca il recesso del coniuge separato.
D’altra parte, non si può escludere che, nel caso in cui non si verifichi un particolare deterioramento dei rapporti tra i coniugi e la rottura del rapporto coniugale non costituisca una minaccia alla serenità di gruppo, il coniuge separato possa continuare a prestare la propria opera all’interno dell’impresa.
Non si potrà quindi escludere che il coniuge, anche se separato, continui a prestare la propria attività di lavoro nell’impresa familiare anche se, nella prassi, il caso più frequente è quello del recesso conseguente alla separazione.
Vi è chi ritiene, al contrario, che la separazione, pur non incidendo sullo status di coniuge, inciderebbe sulla famiglia che viene privata di quella comunione di vita e lavoro, che caratterizza l’impresa familiare. Per questo motivo, si è sostenuto che l’impresa familiare verrebbe meno con il provvedimento del Presidente del Tribunale emesso ex art. 708 c.p.c. in ossequio a quel principio, non codificato, ma di buon senso, per il quale è opportuno evitare la permanenza dei rapporti patrimoniali tra coniugi quando la comunione spirituale e materiale di vita e di affetti viene meno.
Da ultimo, occorre rilevare come nel caso in cui il coniuge, a seguito di separazione, decida di recedere dall’impresa familiare questi, ai sensi e per gli effetti del 4° comma dell’art. 230 bis c.c., ha diritto di essere liquidato. Infatti, la citata norma prescrive, infatti, che “il diritto si partecipazione può essere liquidato in denaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro”. La formula facoltativa (“può”) consentirebbe che la quota non venga liquidata affatto, ma ormai si ritiene che il diritto non sia sopprimibile e che la relativa valutazione della quota debba essere effettuata con riferimento al momento in cui si verifica l’estinzione del rapporto.
L’avvocato Cinzia Calabrese si mette a disposizione per rispondere alle domande inoltrate alla mail cinzia.calabrese@cinlex.it, che verranno pubblicate sui prossimi numeri del mensile. Chi volesse inviare le domande autorizza la rivista Mixer a pubblicare i suoi riferimenti, quali nome, cognome e indirizzo di posta elettronica.
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