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23 Maggio 2017Un ristorante atipico L’imbuto di Lucca. Atipico perché si trova all’interno del Lucca Center of Contemporary Art, a sua volta ospitato dal cinquecentesco Palazzo Boccella: una matrioska di austera storia toscana, pirotecnica arte contemporanea e sorprendente cucina creativa (come spiega l’elegante sito del locale). Gli ospiti mangiano nell’androne e in varie salette del museo circondati dalle opere in mostra, oppure negli ambienti sotterranei dove tra i tavoli spuntano le fondamenta di una torre, delle mura medievali e un tunnel segreto usato secoli fa dalle donne di piacere per rallegrare le serate delle sentinelle. Oggi a rallegrare le serate c’è lo Chef Cristiano Tomei. Anche lui “atipico”, se consideriamo la sua formazione professionale. Cristiano Tomei nasce marinaio, diplomato al locale Istituto Tecnico Nautico come ufficiale di macchina. Potremmo definirlo “un autodidatta in cucina” cresciuto con l’amore per il buon cibo in una famiglia con la tradizione dell’accoglienza.
Dal Diploma all’Istituto Nautico a una carriera “luminosa” come chef. Quando hai capito di avere talento?
Non si capisce d’aver talento secondo me. Si capisce d’aver passione e predisposizione per una cosa piuttosto che un’altra.
Che differenza c’è tra l’essere cuoco e l’essere chef?
È un percorso della vita. C’è differenza tra chi fa da mangiare e chi cucina. È un punto di crescita nel proprio percorso. Non si può essere chef da soli, senza aiuto di una valida brigata.
Chi sono stati i tuoi maestri?
Essendo un autodidatta e non avendo lavorato in nessun ristorante, più che maestri ho dei punti di riferimento. Uno tra i più importanti è Fulvio Pierangelini, patron del Gambero Rosso di San Vincenzo (LI).
Quando hai capito lo stile che volevi proporre nella tua cucina?
Idealmente fin da subito, praticamente dopo 6/7 anni dall’apertura del ristorante.
Come definiresti la tua cucina oggi?
Una cucina a mio parere non può essere definita. La cucina che viene “definita” è una cucina di moda, di tendenza. La cucina va semplicemente mangiata.
Raccontaci de l’Imbuto di Lucca. Il tuo magico ristorante nel museo. Quando nasce e come ci sei arrivato?
Nasce nell’estate del 2012 dall’incontro con un appassionato di cibo (il direttore del museo Lu.C.C.A Maurizio Vanni) e la famiglia Parpinelli, proprietaria del museo d’arte contemporanea dove oggi ha sede l’Imbuto. L’incontro di persone che hanno voluto rischiare e guardare in avanti. È un luogo magico che ti predispone in modo naturale e spontaneo all’ispirazione e allo scambio di idee.
Che menù proponi ai tuoi clienti?
Una cucina molto mia, nel senso che mi rispecchia molto. Io sono una persona allegra che ama divertirsi. Da qui la scelta di creare piatti in grado di far sorridere gli avventori. Abbiamo eliminato il menù alla carta per indirizzarci verso un’offerta di tre diverse degustazioni da 4, 6 o 9 portate/assaggi. Si tratta di ricette creative che, partendo dalla tradizione locale, arrivano a offrire al cliente piatti particolari. Sono menù degustazione a € 50, € 70 e € 90 a persona a sorpresa in base alle loro eventuali esigenze o preferenze.
Hai affermato in una recente intervista che chi mangia a L’imbuto non troverà mai lo stesso sapore nel piatto perché molto dipende dagli ingredienti che hai disponibili in quel momento. È vero? Quali sono i tuoi ingredienti?
È molto vero. Dipende soprattutto dalla stagionalità la scelta dei miei ingredienti e poi anche dalla varietà che lo stesso ingrediente può avere. Normalmente cerco di usare materie prime che sono intorno a me. In alcuni casi, sono io stesso ad andare a caccia dei prodotti che adopero nei miei piatti, come il camusolo, una pianta aromatica a metà tra il rosmarino e la lavanda, o i pinacci, funghi selvatici molto sapidi. Entrambi, crescono sulle dune vicino al mare e sono ingredienti che una volta si usavano molto nella cucina viareggina.
Il tuo locale è molto ben recensito anche sotto l’aspetto organizzativo e con tempi d’attesa al tavolo davvero modesti. Come riesci a offrire questo servizio?
Il segreto sta nella brigata e nell’organizzazione. Proponendo solo menu degustazione dove una persona se mangia “poco”, mangia 5 cose salate e 3 dessert, i tempi d’attesa devono essere ridotti al minimo e scanditi molto bene. E la sala deve andare a braccetto con la cucina.
Parliamo della stella Michelin. Quanto è importante sul piano professionale e quanto, banalmente, per fare cassetto?
È il riconoscimento professionale più importante sia per il proprio morale che per il cassetto... Per ora è il richiamo più funzionale che c’è.
Sei anche una star del piccolo schermo. È importante oggi avere questo tipo di esperienza nel curriculum?
Il mondo della tv è molto importante perché da tanta visibilità immediata. Anche se è un mondo a se stesso che con la vera cucina ha poco a che fare. Comunque, come tutte le cose nuove, è utile e divertente farne parte per poter imparare qualcosa di nuovo.
Hai recentemente aperto un nuovo punto vendita in un ex fabbrica. Ci racconti di cosa si tratta?
La mia idea è stata quella di co-working: uno spazio che unisce diverse realtà che si intrecciano e si raccontano in continua evoluzione. Ci sono dei piccoli spazi con la vendita dei prodotti del mercato, vino, confetture… ci può essere chi vende tazze e piatti, il gelato, o i libri. Sono piccoli spazi a disposizione di chiunque volesse farne parte.
Sei un amante di location polifunzionali…
Sono semplicemente amante del bello.
Ti piace viaggiare per lavoro/studio? È importante nel tuo mestiere?
Non sono esterofilo. Mi reputo un cittadino del mondo. Viaggiare è fondamentale per qualsiasi mestiere, soprattutto per il mio. Scoprendo e provando le cose degli altri luoghi uno capisce e incomincia ad apprezzare ciò che ha nel proprio territorio.
Come ti vedi tra 20 anni e come cambierà questa professione?
Spero bene, ma anche un po’ più rilassato... Mi auguro ci sia una cucina più intima e che ci siano meno “voli pindarici” e più pensieri pratici.
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