bevande
24 Agosto 2018Ai crostacei o alle arachidi, alle uova o ai latticini… L’elenco di chi soffre (o pensa di soffrire) di una di queste e altre allergie alimentari è sempre più lungo. Per tutelare queste persone, anche quando mangiano fuori casa, il regolamento 1169/2011 relativo alla fornitura di informazione ai consumatori ha introdotto, anche per chi somministra gli alimenti, l’obbligo di comunicare quali allergeni sono contenuti nei piatti nel menù. E così il tema degli allergeni è venuto alla ribalta, anche se la gestione di questo problema deve rientrare a tutti gli effetti nei protocolli HACCP, in quanto rappresenta un rischio per la sicurezza del consumatore. Ma come fare? È sufficiente
“cavarsela” scrivendo nel menù di chiedere ai camerieri, o forse è meglio affrontare diversamente la questione?
«Secondo me un ristoratore deve anzitutto chiedersi come intende affrontare la questione – sostiene Marco Valerio Sarti, tecnologo alimentare e consulente a Milano. – Se gli basta adempiere unicamente agli obblighi di leggere (e quindi inserire la gestione degli allergeni nel piano HACCP e mantenere un livello minimo di informazione) o se preferisce fare della gestione degli allergeni un punto di forza, trasformandola in un elemento di differenziazione dalla concorrenza. Mediamente ogni persona allergica che sceglie un ristorante, ne porta con sé altre sei. In una compagnia di amici, se c’è un allergico si va incontro alle sue esigenze. Quindi se un locale fa una comunicazione spinta sottolineando che presta particolare attenzione alle esigenze degli allergici, si predispone ad accogliere una nicchia di mercato in crescita e molto attenta. Per questo deve essere sicuro di padroneggiare bene il problema».
PRIMO PASSO: LA PIANIFICAZIONE La gestione degli allergeni non inizia con quello che si scrive sul menù. «Il mondo delle allergie – rimarca Sarti - parla la stessa lingua di quello delle contaminazioni microbiche. Non a caso la gestione degli allergeni va fatta rientrare nel protocollo Haccp. Pianificare e organizzare il servizio è il primo passo per allestire una proposta seria per i soggetti allergici. Non è indispensabile avere degli ambienti separati, però serve una gestione accurata di utensili e attrezzature. L’ideale sarebbe poter disporre di un armadio (con tutta la sua attrezzatura) dedicato a ciascun tipo di allergia, o almeno a quelle più importanti, ma diventerebbe troppo oneroso. Usare un codice colore particolare per taglieri, coltelli, pentole…. da utilizzare solo per i soggetti allergici, può aiutare a gestire il servizio con una ragionevole sicurezza».
Sanificare correttamente attrezzature e superfici, seguendo le procedure indicate nel piano di autocontrollo, è importante per prevenire le contaminazioni incrociate. Periodicamente il processo di sanificazione va controllato, per verificare che sia eseguito correttamente. Certo, in un ristorante non è il caso di arrivare a effettuare (come avviene nelle industrie alimentari) test di validazione ricercando le proteine allergizzanti, però anche un pubblico esercizio si può dotare di tamponi o kit per individuare residui di sporco, che hanno costi sostenibili. È molto importante anche la conservazione, sia degli ingredienti e dei semilavorati che si impiegano nella preparazione delle ricette, sia dei piatti cucinati e non serviti al momento. «In entrambi i casi – prosegue – i prodotti vanno mantenuti ben chiusi nelle loro confezioni ed etichettati, se possibile tenendo separati quelli di classi differenti. Di ogni prodotto deve essere indicato l’elenco degli ingredienti, anche se si tratta di piatti preparati in cucina. Ci tengo a precisare che il flusso di informazioni tra materie prime e prodotti finiti è un approccio introdotto con la Circolare del Ministero della Salute datata 6 febbraio 2015. È quindi un obbligo di legge. Se non si garantisce questa tracciabilità interna, c’è il rischio di incorrere in sanzioni fino a 3.500 euro, anche se per ora non ho visto comminare nessuna multa per questo motivo».
DALLA TRACCIABILITÀ ALLA COMUNICAZIONE Se un ristoratore sa alla perfezione cosa contiene ogni suo piatto, comunicarlo agli avventori non è difficile. «Il mio suggerimento – spiega Valerio Sarti – è di preparare un quadro allergeni, una tabella in cui indicare, con semplici crocette, le corrispondenze ricette/allergeni. La tabella va aggiornata ogni volta che si cambia il menù o si sostituisce qualche ingrediente, ma permette di creare un archivio allergeni personalizzato semplice da utilizzare. La comunicazione al cliente è l’atto finale di questo processo e può essere spinta - se sei convinto del tuo operato e vuoi proporti come locale di riferimento per gli allergici che vogliono mangiare fuori – o ridotta al minimo. In base alla mia esperienza, per ora le autorità di controllo si accontentano di trovare il libro unico degli allergeni e l’indicazione “per ulteriori informazioni rivolgiti al personale di servizio”. Credo che non stiano insistendo troppo su questi aspetti per dare tempo alle aziende di adeguarsi, ma che sia solo questione di tempo e quindi è bene che le società di ristorazione inizino a strutturarsi per garantire agli allergici la massima tutela possibile. A mio avviso, come a inizio degli anni 2000 è stato chiesto ai ristoratori di investire sulla sicurezza puntando sugli aspetti microbiologici, questa epoca dovrebbe essere quella dell’ampliamento di questo approccio agli allergeni, che sono molto più delicati e complicati da gestire».
Visto dallo chef/ Eros Picco racconta come vengono gestiti gli allergeni nel suo ristorante - Ma come vengono gestiti, in concreto, gli allergeni e cosa comporta tutto ciò per uno chef? Lo racconta Eros Picco, chef e titolare del ristorante Innocenti evasioni di Milano. «In fase di prenotazione ci informiamo su eventuali allergie e lo mettiamo in nota prenotazione, così all’ordinazione possiamo suggerire i piatti che gli allergici possono ordinare o che è meglio evitare. Alcuni ingredienti, poi, vengono aggiunti solo nella fase finale della preparazione piatto e, nel caso, evitiamo di farlo. Se necessario creiamo piatti ad hoc, cercando di non far pesare il problema e di accontentare il cliente sotto ogni aspetto. In cucina seguiamo il metodo del codice colore per distinguere gli utensili utilizzati per le diverse classi di ingredienti. Per i celiaci abbiamo prodotti senza glutine, che acquistiamo da fornitori esterni per garantire il più possibile l’assenza di contaminazione». Il personale – sia quello di sala che quello di cucina - è formato sull’argomento e i camerieri nella maggioranza dei casi sono già in grado di rispondere sulle allergie più diffuse. È disponibile il libro degli ingredienti e ci sono dei “menù parlanti” con evidenziati tutti gli allergeni per chi ne fa richiesta. «La gestione degli allergeni – spiega Picco – è inserita nel piano di autocontrollo. Tenere dietro a tutti gli adempimenti richiederebbe una persona che si dedichi solo a questo». Ma con che frequenza si presentano allergici nel ristorante? «Quasi ogni sera ci viene segnalata un’allergia alimentare – stima Eros Picco - circa il 5% della clientela ne soffre e ce lo segnala. Io faccio il cuoco da 35 anni e questo tema è sentito da 5 anni a questa parte. Viaggiando molto all’estero, però, ho notato che l’attenzione a questi aspetti è forte soprattutto in Italia».
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