ristorante
29 Maggio 2024Ci sono due giovani chef dietro Uma Roma, nuovo ristorante che ha aperto i battenti nella Capitale, nel quartiere Garbatella (via Gerolamo Benzoni 34), con l'obiettivo di diffondere il concetto di ‘fine dining informale’. Un menù dunque che parla romano, contaminandosi però di volta in volta pur senza perdere di vista l'attenzione per i prodotti made in Italy, ogni portata è realizzata per "sottrazione".
I DUE FONDATORI
Matteo Taccini e Luigi Senese, entrambi classe ’92: sono loro i fondatori di Uma Roma. Hanno maturato tante esperienze importanti, Matteo principalmente all’estero con Pollen Street Social (Londra), Tickets (Barcellona), Il Pagliaccio (Roma), Noma (Copenaghen), Enigma (Barcellona), Contamina all’Hotel Laurin (Bolzano). Luigi invece resta nella sua città, prima da Casa Coppelle e poi al ristorante Imago dell’Hotel Hassler. Proprio qui i due si riuniscono e pian piano cominciano a sognare un progetto tutto loro. Col tempo l’idea prende forma e il sogno diventa realtà.
«La nostra è una cucina visivamente semplice, ma il livello tecnico è molto alto, così come lo studio e l’approfondimento che mettiamo nella costruzione di ogni portata del menu. Questo perché ci piace coniugare il fare artigiano con la modernità, la sfida che del resto vogliamo portare avanti» commentano Taccini e Senese nel descrivere le matrici del loro ristorante, chiarendo come il minimalismo sia alla base della selezione degli ingredienti di ogni ricetta. «Sono sempre semplici, pochissimi, a volte anche solo uno, ma per fare questo utilizziamo tante tecniche diverse per lavorare la materia prima in maniera originale, così da riuscire a dare diverse strutture e consistenze al piatto» aggiunge la coppia di chef.
Sottrazione come mantra dunque, operazione che ha finito col permeare pure il nome del locale visto che inizialmente doveva chiamarsi Luma, acronimo di Luigi Matteo ma alla fine, per snellire, è stata rimossa la L iniziale. A completare la squadra ci sono in cucina Emanuele Giunta (braccio destro) ed Edoardo De Luca; in sala Jennifer Barba (sommelier con tante esperienze internazionali) e Thais Torres (esperta di accoglienza).
LE PROPOSTE DI UMA
Un menu romano-internazionale, una carta che cambia spesso e tanta attenzione alla parte vegetale. L'intera proposta ruota intorno al concetto di ‘unico’, ed è proprio l’unicità del singolo ingrediente a farla da padrone, che da Uma Roma spesso viene utilizzato da solo per la costruzione di un intero piatto. È il caso del carciofo (ovviamente solo quando è di stagione), con una cottura alla brace che lascia il vegetale estremamente tenero, aperto a fiore in maniera scenografica e adagiato sul piatto, sopra un’emulsione cremosa di carciofo e una riduzione, sempre di carciofo. Un carciofo in purezza, elevato alla terza, in grado di esprimere tutti i gusti e i profumi del vegetale che normalmente non è possibile sentire data l’aggiunta di altri elementi.
«L’unico ingrediente nel piatto nasce come una sfida, un po’ perché questa filosofia ci rispecchia tanto anche nella vita, un po’ perché vogliamo andare controcorrente rispetto al ‘fumo’ dei troppi ingredienti. Ci divertiamo molto a eliminare il superfluo, ma non è solo un virtuosismo che prevede tanta tecnica ma un vero e proprio stile», spiegano Taccini e Senese.
Poi ci sono piatti che esprimono il concetto alla Magritte del ‘sembra ma non è’ come la “Cacio e Pepe”, virgolettata intenzionalmente per far presagire qualcosa. Si tratta infatti di una pasta cacio e pepe senza il cacio, rievocato però dalla presenza del koji, uno dei pilastri della cucina di Uma, ossia il fungo responsabile delle fermentazioni di soia, cereali e patate.
Gli chef inseriscono il koji nella ricotta di pecora e la lasciano fermentare per alcuni mesi creando così una sorta di ‘miso di ricotta’ che nel gusto e nei profumi ricorda moltissimo il pecorino romano utilizzato nella cacio e pepe. Il bello è che non si entra nel dettaglio durante la presentazione del piatto ma soltanto alla fine, lasciando così all’ospite il compito di capire cosa ci sia di nuovo.
Brace e fermentazioni sono due grandi protagonisti da Uma. Nessuna cottura sottovuoto, solo cotture dirette, sul fuoco. Anche la fermentazione richiama l’origine, una tecnica molto antica che però oggi si utilizza con grande conoscenza e che da Uma può contare su un laboratorio dedicato nella parte sottostante alla sala del ristorante. Moltissime le suggestioni orientali, in primis provenienti dal Giappone, ma gli ingredienti sono per la maggior parte italiani, come il miso fatto con la pasta e non coi fagioli di soia.
Un solo ingrediente anche per i dessert, come un pre-dessert di sola pera (miele di pera, granita di pera, kombucha di pera) e per la piccola pasticceria, come nella tartelletta di panna bruciata realizzata con panna, dentro e fuori; o il dolce di solo cacao (spugna, gelato e gruè). Tra i dolci colpisce anche la “Carbonara”, sempre fra virgolette, un piatto completato al tavolo davanti al cliente, con spaghetti di cioccolato 80%, spuma di zabaione (che fa la parte dell'uovo), ‘guanciale’ realizzato con la frolla bicolore al cacao, ‘pecorino’ fatto col macambo (cacao albino) e gruè di cacao a richiamare il pepe.
L'ACCESSIBILITA' DEI PREZZI
Oltre che per le ardite costruzioni, il menu colpisce anche per la grande accessibilità dei prezzi: 50 euro per un menu degustazione composto da 8 passi (bevande escluse) e prezzi alla carta inaspettati. Una scelta ben precisa che evidenzia la voglia di esprimere il concetto di unico ma accessibile, e che allo stesso tempo vuole rivolgersi e invogliare gli abitanti del quartiere Garbatella, ancora abituati a un’offerta gastronomica diversa.
I fornitori sono tutti segnati nel menu, perché da Uma c’è voglia di creare sinergie e fare rete. In realtà ‘fornitori’ non è il termine appropriato, più che altro si tratta di amici e compagni di mangiate e bevute come L’Orto di Macaone per le verdure e Rinelli per il vino.. Quasi un team allargato quindi che contribuisce indirettamente alla creazione del menu stesso.
LE BEVANDE
Una carta con vini solo italiani, anche per le bolle, con un’alternanza di referenze naturali e convenzionali. Tutte piccole cantine dalle altrettanto piccole produzioni scovate con cura. Ci sono anche pairing diversi, come col gin tonic o la kombucha.
LA LOCATION
Moderna, calda e accogliente, la sala è curata nel dettaglio, dai colori bianco, del legno e bordeaux. Un sapore di casa ma allo stesso tempo internazionale. Un grande bancone in legno con cucina a vista crea una continuità tra i clienti e il team. I piatti si finiscono tutti al grande bancone-pass.
C’è grande trasparenza, inclusività e tanta voglia di far vedere come si lavora. Nessun interior designer: tutto è scelto dalla squadra di Uma. E il focus, come in cucina, è il ‘fare artigiano’: i piatti sono realizzati a mano da una ceramista del Pigneto così come i vassoi, in legno naturale, e i libretti del menu fatti a mano da una restauratrice di libri.
A disposizione ci sono 250 mq totali, divisi tra sopra e sotto (dove c’è parte della cucina e il laboratorio di fermentazione), per circa 30 coperti, tra cui un tavolo da due super riservato posizionato su un piccolo soppalco. L’idea è aggiungere a breve uno chef table al pass.
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A cura di Matteo Cioffi
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