bevande
17 Giugno 2014Classe 1982, ingegnere mancato per amore dell’enogastronomia, lo chef Giuseppe Iannotti è la prima Stella Michelin del Sannio. Il suo Krésios - progetto nato nel 2007 a Castelvenere, dal 2011 in un casale ristrutturato a Telese Terme (Benevento) - è un format polifunzionale: ristorante gourmet, ma anche bistrot, caffè, negozio e cantina. Non solo: offre pure il servizio di ospitalità, con quattro stanze al piano superiore per i clienti che, dopo cena, desiderano rilassarsi in loco. E non ha dubbi: «Vale la pena investire nella creazione di una piccola foresteria: una volta affrontate le spese iniziali, il costo del mantenimento delle camere si riduce per lo più alle pulizie. In compenso, il servizio consente di offrire un’esperienza completa al cliente e di fidelizzarlo. Il legame con gli ospiti si crea, infatti, attraverso l’emozione di un percorso, non basta un’ottima ricetta». Lo abbiamo intervistato per scoprire come avere successo: dalla costruzione del menu e della carta dei vini alla selezione del personale.
La tua cucina è...?
«Mai banale e sempre focalizzata sulla qualità della materia prima, che non acquisto necessariamente a chilometro zero. Mi spiego: il km0 è un’utopia, non una filosofia applicabile, perché ogni territorio ha le proprie vocazioni. Di conseguenza, le possibilità sono due: o si eliminano dal menù diversi piatti oppure si decide di spaziare nell’immenso mondo delle materie prime d’eccellenza. Prendiamo, per esempio, la Campania: non produce gli ingredienti ideali per cucinare un risotto perfetto. E allora io compero burro francese, riso pavese e parmigiano emiliano».
C’è un segreto per creare un piatto vincente?
«Non esiste una regola che vale per tutti: i miei piatti nascono da un’idea, da un ingrediente, a volte anche solo da una foto. Immagino il risultato, compro le materie prime e mi metto all’opera. Poi, correggo il tiro attraverso il feedback diretto con l’ospite. Detto questo, suggerisco di lavorare per sottrazione e di limitare al massimo il numero di ingredienti: sconsiglio di usarne più di quattro in un piatto».
Quali ingredienti non possono mancare in cucina?
«Olio extravergine d’oliva, burro francese, sale, pomo- doro, farina, riso...» .
Come organizzare il menu di un ristorante gourmet?
«Dividetelo per partite: anti- pasti, paste, zuppe, secondi e dessert. Meglio ridurre il numero di piatti in carta, per non confondere il cliente. Bastano 5-6 proposte per partita, ma nel complesso bisogna offrire un po’ di tutto: carne, pesce, ricette vegetariane e vegane, senza dimenticare di inserire tra gli antipasti, i primi e i dessert alcune proposte per i celiaci e per chi soffre di intolleranze alimentari. Più nel dettaglio, tra i primi suggerisco di inserire non solo pasta fresca e secca, ma anche riso. I secondi devono prevedere già il contorno e i dessert devono essere in linea con il menu, quindi mai scollegati dalle portate. E ancora, curate i dettagli: inizio e chiusura di un pasto sono essenziali. È bene servire un aperitivo accompagnato da appetizer e amouse bouche e, insieme al caffè, piccola pasticceria. Oltre al menu alla carta, infine, bisogna organizzare almeno due percorsi degustazione».
E come impostare la carta dei vini?
«Suddividete la carta in quattro parti: la prima dedicatela ai vini al calice, la seconda alle bollicine italiane e francesi, la terza al territorio di appartenenza della struttura e la quarta a Italia e resto del mondo, tra bianchi, rossi e rosati. Infine, chiudete la carta con una sezione di vini da dessert, distillati, tè, infusi e caffè».
Il Krésios vanta una cantina con 1600 referenze...
«Sì, ma non consiglierei di seguire il mio esempio: per garantire un’adeguata scelta bastano 400 referenze. E tenete presente che una bottiglia davvero importante non si beve quasi mai al tavolo, ma seduti al divano».
Qualche idea per un corretto abbinamento tra cibo e vino?
«Impossibile generalizzare: non esiste un abbinamento perfetto, fermo restando che il vino deve essere in linea con le pietanze proposte. Vi invito però ad ascoltare sempre il cliente, per capirne gusti e desiderata in ter- mini di acidità e di aromaticità».
Che cosa consigli a chi desidera diventare chef?
«Prima di tutto, chiedetevi se vi motiva una seria passione: per emergere nel settore bisogna dimenticarsi sabati, domeniche e festivi. Questo lavoro non si improvvisa: occorrono costante studio, serietà e determinazione. E se è vero che la scuola alberghiera, oggi, non sempre forma gli studenti in modo adeguato, chi è motivato può informarsi anche da solo: il web è un potente mezzo di comunicazione e permette a colleghi, giornalisti e appassionati di dialogare e apprendere in modo rapido. Infine, è importante mantenersi umili: oggi troppi chef assumono atteggiamenti da divo, maga- ri sulla scia della popolarità acquisita in televisione».
E chi, invece, deve scegliere il personale?
«Intanto, selezionate i candidati sulla base dei CV: scartate subito quelli con errori ortografici o mancanti di foto. Durante il colloquio, poi, verificate la conoscenza dell’inglese, che seppur basica deve permettere al dipendente di interagire con eventuali ospiti stranieri, nonché la serietà nell’approccio al lavoro».
Su quali obiettivi dovrebbero concentrarsi i ristoratori?
«Dobbiamo pensare a soddisfare i nostri ospiti al meglio. Come? Rendendo le nostre strutture sempre più accoglienti ed efficienti, tenendo ben saldi i piedi per terra e continuando a lavorare con passione».
Oggi chi meglio rappresenta la cucina italiana nel mondo, secondo te?
«La famiglia Alajmo, Enrico Crippa, Niko Romito e Aimo Moroni».
La cucina gourmet del futuro sarà?
«Sempre meno ruffiana: più della forma, conterà la sostanza. È vero che la prima cosa che un ospite osserva è il piatto, ma il bello è soggettivo, mentre la qualità oggettiva. Inoltre, si punterà su preparazioni più snelle, con un ridotto numero di ingredienti per piatto».
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