bevande
20 Aprile 2015Esistono termini, in lingua anglosassone, che tradotti in italiano sembra non meritino neppure un significato ampio e completo, proprio invece della lingua che li ha originati. È il caso di packaging, grossolanamente tradotto con il termine fortemente svilente di imballaggio. Mai traduzione fu così fuorviante, limitante e impropria: il concetto stesso di packaging va ben oltre l’idea di proteggere un oggetto, in questo caso una bevanda. È marketing, grafica, naming, posizionamento del prodotto, target ben specifico di clienti e consumatori, in una semplice frase è una scelta strategica. Sempre più importante e decisiva per il successo di ciò che si commercializza: nulla è lasciato al caso, dietro a ogni etichetta, a ciascun colore, a quel particolare font scelto per scritte e indicazioni varie, a qualsiasi forma di bottiglie o lattine che siano c’è una scelta consapevole, studiata, pensata e lungamente testata. Nel settore beverage, poi, tutto è ancora più complesso: vini e distillati, acque e succhi, soft ed energy drinks, ognuno con caratteristiche e consumatori diversi, con i quali è facile perdersi di vista se non si mettono in atto strategie concrete e ragionate. Per quanto riguarda poi creatività, input e nuove tecnologie packaging ora vuol dire innovazione, funzionalità, sostenibilità, personalizzazione e, ovviamente, design. Dietro a ogni etichetta e a ciascuna bottiglia o lattina che sia, quindi, c’è una storia a sé.
Identità, ricerca possibile
«Negli anni ’90 osammo con l’etichetta dell’acqua Alisea - racconta Veronica Franzini dell’agenzia Rossa - stampata sul retro e leggibile attraverso il vetro; nessuno ci aveva mai pensato prima. Ma il cliente osò con noi e la cosa funzionò al punto da essere copiata in seguito». Da allora molto altro è stato fatto, grazie anche ai plus del vetro: riciclabile, ecologico, può avere mille forme e colori, e parecchie possibilità di personalizzazione. La tendenza di vetro e PET, al di là del minimalismo estetico o, al contrario, dell’estrema ricerca del particolare, rimane ancora quella delle cosiddette “limited edition” per ricorrenze, personaggi famosi italici o meno; le sponsorizzazioni golose certo non mancano, e contribuiscono, anche dal punto di vista grafico, a condizionare la scelta d’acquisto o consumo. Il discorso cambia parecchio se si affrontano succhi e derivati, soprattutto soft drink: «naturalità, storicità, italianità - il grafico Paolo Castello la vede così - sono le parole chiave del packaging di questo prodotto. La differenziazione tra bevande simili avviene però anche attraverso una scelta cromatica fortemente caratterizzante e personale, che permette di consolidare la singola identità aziendale e il suo rapporto verso il cliente». La ricerca di un’estetica personale fuori dal coro si gioca pure sulla grafica: «una scelta che rimanda molto a grafìa e disegno “manuali” - è l’opinione di Luigi Dellacqua di LineaAtc - favorisce e consolida un rapporto di familiarità e intimità tra prodotto e consumatore ». Sembrerebbero per ora restare un passo indietro gli energy drink, creativamente limitati da un target fortemente caratterizzato e apparentemente granitico: molto ancora si gioca su caratteri e colori sgargianti e “aggressivi”.
Vino: forme e colori
Nel vino le nuove frontiere partono invece dalla globalizzazione: «un settore che ne è stato fortemente influenzato - il parere è di Marcello Francescon e di Cristina Collodi (dell’agenzia Francescon & Collodi) - e che ha indotto creativi e case vinicole a consolidare presto e bene il loro marchio. I protagonisti sono il vetro, nelle sue mille forme e colori, e nuove tecniche e materiali di stampa che hanno portato le singole etichette a identità mai viste prima». Identità caratterizzanti, figlie di due tendenze che vanno oggi per la maggiore: «da una parte c’è la ricerca dello stile minimale, con uno o due colori al massimo - dice ancora Veronica Franzini - dall’altra quello vintage rivisitato, con la ripresa di texture e motivi geometrici. Le font più usate sono quelle dall’aspetto pulito ed elegante e quelle che tendono a un look più calligrafico». Per quanto riguarda il naming, soprattutto per quel che concerne i prodotti di nicchia, regge bene la scelta di identificarsi con un numero, che spesso nel caso delle aziende vinicole corrisponde all’anno di fondazione e che ben si adatta ai font più usati. Tendenze che a volte si mescolano tra loro, dando luogo a packaging innovativi ed ecologici, interamente biodegradabili e isotermici, perfetti quindi per vini e bollicine che esigono il fresco. Nel settore della birra c’è poi chi ha trovato il coniglio nel cilindro, facendo diventare il proprio tappo, in materiale sintetico, un originale e colorato portachiavi con il logo della casa, con evidenti benefici in termini di fidelizzazione e identità. La sintesi, rubando la chiosa a uno degli intervistati? Vince il design, pulito e senza inutili effetti di make-up. E non è certo finita qui…
Criticità: arte, tecnologie e budget
Nuovi materiali e tecniche di produzione e stampa permettono a cliente e agenzia possibilità pressoché infinite che, a volte, si scontrano con il budget disponibile: nel caso di vini e distillati, ad esempio, etichette estremamente sottili in ceramica non sono per tutte le tasche, anche in virtù dell’orientamento sostenibile delle aziende che spesso impongono, per le stesse “label”, la certificazione FSC, stampa a basso impatto e senza lavorazioni di secondo passaggio. Altri limiti a volte penalizzanti, dal punto di vista grafico, sono quelli imposti dalle normative di legge, vissute come un vincolo dai creativi perché li costringono a riempire uno spazio che spesso vorrebbero, al contrario, alleggerire e che comunque possono pesantemente condizionare l’intero progetto grafico.
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