29 Gennaio 2020
Sì, è vero: del tema vi abbiamo già parlato qualche mese fa in un’inchiesta con protagonisti alcuni chef e imprenditori prestigiosi. Ma qui lo affrontiamo di nuovo mettendo al centro del dibattito i barman di alcune importanti realtà: Gaetano Pardo del Senses di Palazzo Montemartini Roma, A Radisson Collection Hotel, Giovanni Badolato del Metropolita di Roma, Giuseppe Russo di Otivm Milano, Fabio Morelli titolare con Luca Hu di Agua Sancta a Milano, Egidio Fidanza del Blind Pig di Roma, Max Frezza titolare di Cavò lieviti e distillati a Senigallia e il bartender consulente Oscar Quagliarini.
PUNTI CHIAVE PER AVERE SUCCESSO:
• Collaborazione tra cucina e bar per evitare gli sprechi e scegliere insieme le materie prime
• Semplicità: il motto è less is more
• Prediligere signature drink low alcol e piatti light
• Studiare una carta food pensata per la condivisione
SUGGERIMENTI DI PAIRING
Partiamo dagli abbinamenti più richiesti. Il mix più apprezzato è pizza e cocktail. Le ragioni? Più di una. Primo, la pizza servita tagliata a fette è un piatto facilmente condivisibile e quindi di richiamo sia pre che after dinner. E poi la pizza richiama un pubblico variegato, che include i turisti. Anche in questo caso, che il concept funzionasse ve lo avevamo già segnalato pochi mesi fa in un articolo dedicato esclusivamente al format, ma vale la pena ribadirlo. Perché una carta drink aiuta il business delle pizzerie di città e di provincia, a patto che sia di qualità e commisurata alle proprie potenzialità. E non è così complesso introdurla. Un esempio virtuoso su tutti viene da Senigallia: “Da noi circa il 30% degli avventori a cena ordina un cocktail. Intendiamoci, sono soprattutto i drink pre e after dinner a trainare il guadagno, ma i clienti che pasteggiano con i cocktail sono in netto aumento. Anche perché molti, quando vedono un drink al tavolo di fianco, si lasciano sedurre dall’abbinamento!” racconta Max Frezza, titolare con la compagna di Cavò lieviti e distillati. Il suo best seller? L’Americano in Cina a base di kombucha di caffè (bevanda fermentata nata in Cina circa duemila anni fa. La sua tradizione si è tramandata ed è stata sdoganata circa vent’anni fa negli Stati Uniti e poi in Europa e in Italia). Pizza a parte, piacciono i piatti serviti per essere condivisi, come l’hot dog toscano di vitellone razza Chianina del Metropolita di Roma che è richiesto spesso con il Gin Sour. “Ovviamente la qualità è essenziale per fidelizzare i clienti” osserva Giovanni Badolato, bar manager del Metropolita di Roma. Che mette in risalto anche un altro aspetto: il valore dell’arredo. “Un locale impostato in stile classico ristorante italiano non stimola il food pairing con i drink. Per invogliare la clientela a ordinare un cocktail a cena sono funzionali divanetti, poltrone e tavoli bassi. Insomma, un ambiente informale che strizzi l’occhio ai locali statunitensi”. Non è tutto: molto richiesti sono anche il mix drink e hamburger, di moda da Vigevano a Roma e drink e il pairing cocktail con tartare.
L’ABC
Un errore è proporre un connubio troppo verticale in un contesto non preparato al connubio di drink and food. Emblematico è il caso del Blind Pig di Roma: “Noi siamo nati come focacceria gourmet e cocktail bar. Nonostante la proposta di alta qualità abbiamo avuto difficoltà ad avvicinare i clienti al concetto di pairing tanto che dopo qualche mese abbiamo deciso di allargare l’offerta anche ad hamburger e altre sfiziosità. E non ci siamo pentiti, anzi”, raccontano i titolari. Fatta questa premessa, non c’è una formula vincente uguale per tutti. “Per attrarre e fidelizzare i clienti occorre infatti personalizzare la proposta in linea con la filosofia e il target del proprio locale, non rinunciando mai alla qualità per il guadagno a breve distanza. E creando una cocktail list di signature a bassa gradazione alcolica, sia che si tratti di un restaurant cocktail bar puro, sia nel caso di un locale ibrido”, sottolinea Oscar Quagliarini.
COLLABORAZIONE TRA CUCINA E BAR
La sinergia tra chef e barman non è solo funzionale a evitare gli sprechi. “Sia chiaro, è un’ottima strategia usare bucce o parti ammaccate di frutta e verdura in cucina o al bancone per realizzare decorazioni, decotti, acque aromatizzate et similia”. Ma le opportunità che derivano dal dialogo tra cucina e bar non si limitano al virtuoso risparmio e riduzione degli scarti. “Scegliere insieme le materie prime rappresenta un’occasione per confrontarsi su ispirazioni e obiettivi. Inoltre, lo scambio di opinioni e conoscenze tra chef e barman arricchisce e contribuisce a stimolare la creatività”, puntualizza Gaetano Pardo, barman del Senses di Palazzo Montemartini di Roma.
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A cura di Matteo Cioffi
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