caffè
29 Gennaio 2020Lo dicono spesso gli esperti di caffè: il potenziale della migliore materia prima, il chicco nella sua drupa con il suo carico prezioso di aromi, zuccheri e caffeina, durante le varie fasi di lavorazione può essere rovinato. Ma quali sono queste fasi che il chicco deve passare per arrivare, appunto, in tazzina al bar? È forse il caso di fare un ripasso. Il caffè infatti a differenza di altri prodotti della terra non può essere consumato appena raccolto, ma per sprigionare i suoi aromi deve essere sottoposto a una serie di passaggi. Partiamo dalla raccolta. Può essere manuale, detta picking, e lo è sempre per i caffè pregiati. Il motivo è semplice: la pianta di Coffea è un laboratorio continuo in cui convivono fiori e frutti in varie fasi di maturazione. La raccolta meccanica usa dei magli per far cadere i frutti maturi ma tende a sprecare il prodotto. Ed è possibile solo nelle piantagioni di pianura (di solito della varietà Robusta), non certo negli impervi terrazzamenti in altitudine (dove cresce la più pregiata Arabica). Altro metodo è lo stripping: sempre manuale, prevede di strappare le ciliegie ramo per ramo, con una sorta di rastrello chiamato derricadeira. A questo punto il caffè deve essere estratto dal suo frutto ed essiccato prima di essere messo in sacchi ed esportato. Tre le modalità possibili, che dipendono dalla zona di produzione. La lavorazione a secco produce un caffè detto naturale, è il metodo più semplice e antico, molto usato dove il clima è secco e caldo. I frutti sono messi ad essiccare al sole interi e la polpa è poi rimossa meccanicamente. La lavorazione a umido produce il cosiddetto caffè lavato. Intensifica le note aromatiche, ma comporta più passaggi ed è più costosa. I frutti sono immersi in acqua, privati della polpa e in seguito essiccati al sole o in essiccatoi. La lavorazione semi-lavata è un mix tra i due metodi precedenti e consente di equilibrare corpo e acidità. È anche detta Honey o Pulped Natural. A seconda della quantità di polpa lasciata durante l’essiccatura e del colore ottenuto si distingue in Yellow, Red, Black e White Honey. A questo punto, in sacchi tradizionalmente da 60 chili, il caffè arriva in Italia e tutto diventa più famigliare. Ecco allora la tostatura, senza la quale gli aromi non “escono”. Nei Paesi dell’Europa del nord è chiara, da noi scura. La scura esalta le note amare, la chiara l’acidità “buona”. Della macinatura tutto dovrebbe sapere il buon barista, a partire dal fatto che ogni mattina, a seconda delle condizioni atmosferiche, oltre che naturalmente del tipo di caffè, andrebbe ritarata. E attenzione alla pulizia. Un’attenzione che va dedicata anche all’estrazione dell’espresso (il caffè invecchia, e non andrebbe consumato oltre tre mesi dalla tostatura e pochi minuti dopo la macinatura): guai a lasciare residui dell’estrazione precedente. A questo punto il caffè è arrivato in tazzina, pronto ad accogliere il cliente distratto dopo un lungo viaggio che, se si ha un po’ di tempo, gli si può raccontare. Per rendere questo prezioso “oro nero” un po’ meno scontato.
5 domande per voi
1. Cosa significa picking in inglese?
2. Dove e quando è nata la lavorazione semi-lavata?
3. Qual è il metodo più utilizzato per gli Specialty?
4. Wet hulled e monsonizzazione, a cosa si riferiscono?
5. New England e Spagnola sono ai due estremi della scala di tostature: quale è la più chiara e quale la più scura?
Risposte:
1. Raccolta ma anche scelta, selezione – 2. In Costa Rica negli anni ’90 – 3. Il metodo lavato – 4. Sono due metodi di essiccazione che prevedono il primo la rimozione del pergamino a metà fase (il caffè che ne risulta è blu-verdastro ed è tipico di Sumatra), il secondo l’esposizione dei chicchi privati del pergamino ai venti salamastri della costa, in India – 5. La New England è tra le più chiare (dopo la “Chiara” e la “Cannella”), la spagnola è la più scura (oltre i 250 °C).
Anna Muzio, collaboratrice di Mixer, è autrice insieme ad Andrea Cuomo di Mondo Caffè. Storia, consumo ed evoluzione di un’invenzione meravigliosa (ed. Cairo, I libri de Il Golosario)
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A cura di Matteo Cioffi
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