caffè
22 Febbraio 2020Un prodotto prezioso spesso è anche raro. E forse il caffè, proprio nel momento della sua massima diffusione globale, sta per diventarlo. Le minacce alla pianta di Coffea infatti sono varie e arrivano da più fronti. Innanzitutto i cambiamenti climatici. L’Arabica in particolare, la varietà più pregiata e complessa, è una pianta che nonostante cresca nella fascia tropicale non ama il caldo eccessivo: per questo cresce in altitudine, dai 1.000 metri in su, a temperature tra i 18 e i 21 gradi. Altitudini che a causa dell’aumento delle temperature devono aumentare, ma non ovunque è possibile spostarsi più in alto. A questo si aggiungono gli eventi climatici devastanti e sempre più frequenti e intensi che minacciano la produzione, ma anche la qualità dei raccolti. Soffrono meno tipologie più resistenti, come la Robusta, ma meno pregiate, anche se c’è già chi sta lavorando per migliorarne la qualità. I Paesi più a rischio sono quelli del Centro America, in particolare Nicaragua ed El Salvador ma anche il Brasile nelle zone più vicine all’Equatore, India e Vietnam, parti dell’Indonesia, dell’Africa del Sud e del Madagascar. La BBC tempo fa titolava spietatamente: “In futuro berremo un caffè sempre più cattivo a causa dei cambiamenti climatici?”
FUGA DAL CAFFÈ
La sopravvivenza del caffè non è però solo minacciata dall’ambiente. Esiste anche un importante fattore umano. Perché il caffè viene coltivato da 25 milioni di piccoli produttori in Paesi poveri della fascia tropicale soggetti anche a conflitti interni o esterni. E che faticano perché soffocati da prezzi all’origine bassissimi, oggi più che mai, caduto l’International Coffee Agreement che stabiliva un prezzo minimo di acquisto. Piccole realtà famigliari che sempre più spesso non sono in grado di coprire i costi di produzione e raccolta e ricavare un reddito dignitoso dal proprio raccolto. E dunque si rivolgono ad altre coltivazioni o abbandonano i campi e tentano la strada dell’emigrazione.
UN FUTURO DI CERTIFICAZIONI
Proprio per questo sta crescendo l’importanza delle certificazioni, che si prevede saranno in futuro sempre più diffuse e richieste. Dall’utente finale ma anche dagli altri livelli della filiera. Perché per avere una materia prima di qualità e sostenibile, dal punto di vista ambientale (verificando che non vengano operate deforestazioni per creare piantagioni su terreni peraltro non adatti) e sociale (assicurando un sostentamento ed educando a pratiche agricole corrette) bisogna pagarla il giusto. Le certificazioni varie. Il biologico in primis. Il Fairtrade che garantisce un prezzo stabile e un margine di guadagno aggiuntivo da investire in progetti di sviluppo a favore delle comunità. E poi Rainforest Alliance e Bird Friendly. Se vogliamo continuare a bere un buon caffè ma anche un caffè “buono” la strada tracciata è questa.
5 domande per voi
1. Cos’era l’International Coffee Agreement (ICA)?
2. Quanto sono aumentati i consumatori di caffè negli ultimi 50 anni?
3. Come è cambiato il prezzo di Arabica dal 2014 a oggi?
4. Cosa significa la certificazione Birds Friendly?
5. Qual è il Paese maggior produttore di caffè biologico (e fairtrade)?
Risposte:
1. Un accordo tra Paesi produttori e consumatori per mantenere la produzione e i prezzi alti e stabili, in vigore dal 1962 al 1989 – 2. Sono passati da 600mila a un miliardo e mezzo – 3. È passato da 2,4 a 1 dollaro a libbra (454 grammi) – 4. Creata dallo Smithsonian Migratory Bird Center, certifica il caffè “amico degli uccelli” perché cresciuto all’ombra degli alberi della foresta – 5. Il Perù, decimo produttore mondiale (dati ICO).
Anna Muzio ha scritto con Andrea Cuomo “Mondo Caffè. Storia, consumo ed evoluzione di un’invenzione meravigliosa” (ed. Cairo, I libri de Il Golosario). Gli autori hanno appena lanciato il loro magazine online, coffeando.it
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