14 Agosto 2020
In Italia due aziende su tre sono familiari e per loro, a un orizzonte temporale più o meno vicino, si profila la necessità – o l’opportunità – di un cambio generazionale. Un tema vecchio come il mondo ma che ciclicamente va affrontato e pone spesso delle problematiche importanti. Anche perché oggi il mondo cambia velocemente, la necessità di rinnovarsi è urgente e spesso radicale e i grandi temi come la digitalizzazione e la sostenibilità non possono essere affrontati utilizzando schemi che hanno funzionato in passato. Ma la “vecchia guardia” è spesso restia a lasciare spazio ai giovani.
Secondo uno studio della Bocconi (che prende in considerazione imprese familiari con fatturato maggiore di 20 milioni di euro), a fine 2018 il 30% delle imprese famigliari era guidata da una persona con più di 70 anni. E il tasso di ricambio generazionale è del 2% l’anno: a questo ritmo, per completare un ricambio al vertice di tutte le imprese servirebbero 50 anni. Sarà per questo che solo il 13% delle aziende familiari arriva alla terza generazione?
[caption id="attachment_177317" align="alignright" width="181"] Fabio Quarato[/caption]
“Il tema del passaggio va pianificato ed è meglio farlo in tempi positivi per l’azienda, invece di aspettare che accada un evento tragico o che l’azienda entri in difficoltà, il che non fa che aumentare le complessità – spiega il professor Fabio Quarato, Managing Director della Cattedra AIDAF-EY di Strategia delle Aziende familiari in memoria di Alberto Falck, Università Bocconi –. Sappiamo che mediamente durante il passaggio un calo di performance dell’azienda esiste, ma può essere contrastato in due modi: ricorrendo a un consiglio di amministrazione aperto o a una fase di 'mentoring' o affiancamento di un paio d’anni da parte di una persona che ‘accompagni’ le due generazioni”.
Ma che caratteristiche deve avere questa persona? “Deve godere della fiducia di tutte le persone di famiglia e deve essere percepita come super partes. Può essere un consulente, ma a volte è consigliabile cooptare un amico o un imprenditore che sia già nel network della famiglia”.
In gioco ci sono due visioni diverse dell’azienda: “Ciò che andava bene vent’anni fa può non andare più bene oggi o addirittura tra vent’anni, e chi entra deve avere uno sguardo al futuro e portare un cambiamento che a volte contrasta con chi deve lasciare le redini, ed è anche giusto così”.
Quali sono le aree “calde”? “La digitalizzazione innanzi tutto; ormai è impensabile competere sui mercati senza. Ma è anche importante scegliere e valutare bene la persona da inserire: non sempre figli o nipoti sono le persone giuste. E occorre formazione e competenza: guai pensare che 'tanto poi si formerà sul campo'. Oggi il mondo corre a una velocità tale che chi entra in azienda dovrebbe non solo avere studiato, ma anche avere fatto un’esperienza di almeno due anni in altre aziende, meglio se all’estero, il che consente di acquisire autorevolezza anche presso collaboratori e dipendenti, togliendo almeno in parte quel senso del 'figlio/a di papà', imposto dall’alto”.
È insomma necessaria una grande obiettività e lungimiranza da parte dei titolari. E occorre sfatare un tabù della nostra società fondata sulla famiglia: “Se l’erede non vuole entrare in azienda o non è in grado di subentrare, meglio vendere. Oppure chiamare un manager esterno con la famiglia che resta proprietaria”.
Non mancano le remore verso le nuove generazioni che hanno studiato e tendono a loro volta a mettersi su un piedistallo. “Ma per affrontare le sfide del mercato globale – e l’audience per l’alimentare italiano è potenzialmente globale – e della concorrenza, in azienda occorrono cambiamenti sostanziali”, dice Luca Vivanti, professore a contratto del Politecnico di Milano e di Torino ed esperto di neuromarketing. Che sottolinea l’importanza del “fattore umano”, in cui spesso le generazioni precedenti erano maestre in modo intuitivo mentre oggi la customer experience, cruciale per distinguersi, può e deve avvalersi di tecniche e tecnologie avanzate. Ricordando che anche se una azienda distributiva potrebbe gestire tutto con l’e-commerce, in realtà questo non funziona. “Occorre dialogare e gestire il cliente nel pre e post vendita anche con l’uso della tecnologia e su tutti i canali, compresi i social e whatsapp, ad esempio, e in questo le nuove generazioni hanno molta più facilità”.
Per gestire il passaggio il consiglio dunque è di “non discuterne davanti al tavolo di cucina, ma pensare a un piano strategico e a un attore terzo che lo verifichi e che riesca a coniugare tradizione e innovazione”.
[caption id="attachment_177318" align="alignleft" width="283"] Luca Pellegrini[/caption]
Freddezza e razionalità sono le doti necessarie a chi lascia le redini dell’azienda anche secondo Luca Pellegrini, Preside della Facoltà di Comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità e docente di marketing dello Iulm. “Nelle piccole aziende raramente si ricorre a consulenti esterni, il fondatore è spesso un Baby Boomer (nato tra il 1945 e il 1964) che ha estrema difficoltà a lasciare la sua 'creatura', ovvero l’azienda, verso la quale ha un atteggiamento possessivo che rende molto difficile il trapasso”.
È una caratteristica comune a tutti i settori, ma man mano che l’azienda cresce aumenta la posta in gioco e i problemi aumentano esponenzialmente quando gli eredi sono più di uno: a questo punto si crea il caos, spesso. “In questi casi, e a maggior ragione, il cedente deve avere la freddezza di fare scelte anche dure. Senza dare per scontato che il management vada a qualcuno della famiglia se mancano le competenze, tecniche ma anche di leadership”.
Fondamentale è riuscire a staccarsi dall’azienda. E capire che il passaggio porta con sé un’importante opportunità di innovare, in certi casi anche tramite una revisione e riposizionamento completo dell’azienda. Che fare dunque? “Rendersi conto in tempo che il passaggio è un problema da risolvere, accettare che le risorse fisiche stanno diminuendo e magari anche che la propria visione del mondo non è più aggiornata ai mutamenti dell’oggi, e dare spazio a una diversa interpretazione dell’azienda rispetto a un mondo che è cambiato. Tutto ciò richiede coraggio e razionalità”. Ma a volte anche i sentimenti, se sono saldi e profondi, aiutano a risolvere varie situazioni, ammette Pellegrini.
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A cura di Matteo Cioffi
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