19 Agosto 2020
Siamo di fronte a un’altra questione che infervora e preoccupa una delle eccellenza made in Italy più amate: il Parmigiano Reggiano. Una storia antica per un prodotto sempre di moda, oggi sotto i riflettori del mercato e delle logiche internazionali, quella dei famigerati dazi imposti dagli Usa e dal presidente Trump, attivi da metà dell’ottobre scorso.
Perché mai “tassare” un formaggio così ricercato, amato e venduto, arrecando “danni” non solo all’economia italiana ma, a quanto pare, anche a quella americana? Andiamo per ordine. Secondo una veloce sintesi stimata da Coldiretti - partendo dalla oramai nota diatriba su Airbus-Boeing che costerà all’Europa 7,5 miliardi di euro – si parla di un 20% di calo dell’intera produzione dell’agroalimentare italiano (i dazi non sono applicati solo al Parmigiano Reggiano ma anche ad altri prodotti come Grana Padano, Asiago e Gorgonzola ma pure a salumi e mortadella, agrumi, succhi e liquori come il limoncello e gli amari).
Il danno che si ripercuoterà sull’export di tutti questi beni sarà di circa mezzo miliardo di euro, con un conseguente rincaro dei prezzi al consumo e una preoccupante riduzione degli acquisti da parte dei ristoranti e dei cittadini statunitensi. Il dazio per il Parmigiano Reggiano è passato – secondo i dati del Consorzio Parmigiano Reggiano – dai 2,15 dollari al kg a circa 6 dollari al kg. Il risultato? Beh, l’acquirente americano lo acquista sugli scaffali a un prezzo balzato dai precedenti 40 dollari al Kg ai circa 48-50 dollari al kg, con un’inevitabile frenata dei consumi.
“Oggi il Parmigiano Reggiano produce 3,7 milioni di forme all’anno: circa 150 mila tonnellate di prodotto. Attualmente gli Usa sono il secondo Paese per il mercato estero – inizia il presidente del Consorzio Nicola Bertinelli - con circa 10 mila tonnellate all’anno, in sintesi un 8% dell’intera produzione. Il Parmigiano arriva negli Usa prevalentemente in forme (circa l’85%), un dato importante perché viene ulteriormente lavorato dall’industria stelle e strisce, trasformandolo in grattugiato, bocconcini, porzionati… entra nelle varie aziende dando vita a un valore aggiunto per l’economia americana”.
Un volume d’affari importante e significativo che registra verso l’utente finale circa 400 milioni di dollari, con 200 milioni di dollari che restano nelle tasche degli operatori americani. “Prima del 18 ottobre i dazi sul Parmigiano erano del 15% in valore del prodotto – spiega il presidente - l’operazione effettuata ha registrato una crescita del +25%... quindi un netto 40% totale”.
Di sicuro, e questo è appurato da sempre, l’incremento dei prezzi riduce i consumi. Stabilire con precisione di quanto si possa abbassare non è facile ma, a favore dell’acquisto di alcuni prodotti, c’è un elemento importante da evidenziare: chi negli Usa acquista il Parmigiano Reggiano sa esattamente cos’è, riconoscendone la qualità, a differenza di chi compra il contraffatto Parmesan, purtroppo i 2/3 della popolazione.
“Ciò che invece calerà nell’immediato, sarà tutto il comparto della ristorazione – continua Bertinelli - Pensate ai tanti locali, ristoranti e trattorie negli Usa gestititi da italiani che ben conoscono il valore e la qualità del vero Parmigiano Reggiano rispetto alle contraffazioni. Sicuramente sarà un costo per loro che registrerà, a causa dei dazi, un balzo notevole, costringendoli a utilizzare altri formaggi”.
Guerre dei cieli tra Europa e America ma… cosa ha provocato davvero tutto ciò? Guardando la lista stilata dei prodotti europei dai quali si dovrebbero ricavare i ben noti 7,5 miliardi di dollari, si osserva che alcuni di questi alimenti non hanno nulla a che vedere con le questioni aerospaziali; in più l’approccio verso l’Europa non è stato assolutamente comunitario ma ha coinvolto i singoli Stati, nel caso specifico dell’Italia i formaggi Dop fatti con latte vaccino.
“Esiste una lettera scritta da parte dei produttori di formaggi americani – racconta il presidente – nella quale si chiede di applicare i dazi sui prodotti caseari italiani Dop perché l’Europa ha impedito la vendita dei formaggi stelle e strisce, proprio per difendere, attraverso la Denominazione d’Origine Protetta, le contraffazioni”.
Insomma, una questione che fa discutere e che ha aperto un dibattito delicato non solo sull’export del Parmigiano Reggiano ma pure sul canale Ho.Re.Ca. d’oltreoceano, che si vedrà costretto a “modificare” alcuni ingredienti indispensabili per preservare l’italianità della cucina. A tutto ciò si unisce un altro rischio, ossia la possibilità di un ulteriore incremento del ‘falso’ prodotto.
“Ci siamo già mossi per attuare una politica di sensibilizzazione in Italia e negli Stati Uniti per far capire che, alla fine, chi ci rimetterà in termini qualitativi sarà il consumatore finale americano, oltre a limitare la libertà d’acquisto”, precisa il presidente. L’Europa deve affrontare la questione nella sua globalità e non lasciando ogni Stato (Italia, Francia, Spagna o Germania) solo nella risoluzione del problema. È fondamentale che prenda una posizione precisa verso gli Usa, oltre a creare una riserva di emergenza per arginare le perdite di fatturato delle aziende.
“La Comunità Europea deve mettersi al fianco dei Consorzi di tutela delle Dop nelle varie diatribe e cause in giro per il mondo, soprattutto quando si parla di depositare un nome o un marchio che identifica un’eccellenza made in Italy – conclude Nicola Bertinelli - Un’indicazione geografica ha un valore, un termine generico che identifica una categoria di prodotto è un’altra cosa… sono percorsi lunghi e costosi difficilmente gestibili da un Consorzio di medie o piccole dimensioni”.
Ecco perché serve, oltre al supporto europeo, una comunicazione ancora più forte e mirata nei Paesi nei quali i prodotti italiani sono soggetti a dazi, proprio per spiegare e compensare le eventuali perdite di fatturato.
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A cura di Matteo Cioffi
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