28 Gennaio 2021
Una tipologia di successo che negli venti ultimi anni ha vissuto un successo costante, confermato da crescite anche a due cifre: quella degli spumanti italiani – metodo Martinotti e metodo classico – è una success story che sembrava non dovesse avere fine. E questo nelle sue varie declinazioni, presenti ormai praticamente in tutto lo Stivale, con 153 spumanti DOC, 18 spumanti DOCG e 17 spumanti IGT, cui si aggiungono 24 spumanti varietali autorizzati e diversi vini spumanti di qualità previsti dalla normativa. Anche la produzione nel 2019 è cresciuta, dell’8% sul 2018 (dati Ismea) raggiungendo i 5,7 milioni di ettolitri con oltre 760 milioni di bottiglie.
LE ZONE CLASSICHE
Come sempre le zone di produzione “classiche” hanno avuto la maggiore, con il Prosecco Doc che produce oltre la metà dei volumi totali e, insieme al Conegliano Valdobbiadene e al Colli Asolani, arriva al 69% della produzione spumantistica nazionale. Molto variegata la produzione in termini qualitativi, tanto che è stata creata una piramide che evidenzia le differenze tra le aree di produzione. Si sta anche lavorando molto nel differenziare la produzione, diminuire le rese e identificare sottozone e cru, oltre a quella “storico”, sottozona del Valdobbiadene, di Cartizze. Ci sta lavorando la Docg Asolo, delimitata in 19 comuni intorno ad Asolo, è a oggi l’unica denominazione Prosecco che può indicare la tipologia Extra Brut nelle bottiglie prodotte con la Docg. Un vantaggio in un momento che vede i consumi spostarsi verso produzioni più secche e meno dolci. Nel 2019 sono cresciuti gli spumanti prodotti con metodo classico, con il Franciacorta che ha sfiorato i 130mila ettolitri e il Trento con quasi 80mila ettolitri. Nel 2020 la Docg Franciacorta ha pagato un prezzo altissimo alla pandemia sia sotto il profilo umano, con il bresciano investito duramente dalla fase 1, sia sotto quello economico, come conseguenza della chiusura dell’HoReCa, canale principale di commercializzazione con percentuali in certi casi superiori al 70%. Tanto che un leader come Ca’ del Bosco ha lanciato sul suo sito l’iniziativa “Troviamoci” in cui dà spazio a ristoranti, enoteche, wine bar e gastronomie geolocalizzate, evidenziando le possibilità di delivery, take away e accoglienza. In ascesa nel 2019 anche la trentodoc, la “bollicina di montagna” che ha conquistato i mercati con i suoi profili eleganti e la decisa acidità. Tanto che nel 2019 ha segnato un +20% di fatturato e un leggero aumento dei prezzi. Per contro, l’Asti Spumante perde ha perso volumi e quote di mercato. Paga la sua immagine di spumante delle feste e la dolcezza, ma non è detto che quest’anno l’associazione con il panettone non possa dare soddisfazioni per creare un’aria di feste classica e famigliare. I produttori stanno comunque lavorando alla creazione di un Asti secco metodo classico. Sempre di più poi piacciono e si diversificano le tipologie minori, ossia i vini spumanti prodotti in denominazioni diverse da quelle principali o varietali.
UN ANNO DIVERSO DAGLI ALTRI
La battuta d’arresto arriva nel primo semestre del 2020 sia per cause geopolitiche quali la Brexit del grande importatore Regno Unito, ma soprattutto per le chiusure e le limitazioni imposte all’HoReCa. Il calo in Italia è stato dell’8%. Peggio hanno fatto però gli altri grandi esportatori, Spagna (-15%) e soprattutto Francia dove lo Champagne è crollato del 30% e gli altri vini spumanti dell’11%. È stata la Gdo a mitigare le perdite del comparto sul mercato Italia nei primi 9 mesi del 2020, segnando un picco dell’11% proprio nella spumantistica. Buone notizie arrivano però dai dati rilasciati per la vendemmia 2020, con una leggera flessione della quantità (la produzione complessiva di vino e mosto è di 46,6 milioni di ettolitri, -2% rispetto ai 47,5 milioni di ettolitri del 2019 secondo Assoenologi, Ismea e Unione Italiana Vini) ma con una qualità medio-alta.
SECCO E A TUTTO PASTO: CAMBIANO I CONSUMI
Da vino da dessert e ricorrenza, all’aperitivo, al tutto pasto. Possiamo, schematizzando, raccontare così il cambio di percezione delle bollicine per il consumatore italiano. Va detto che, rispetto agli altri vini, le bollicine hanno una percezione da parte del consumatore ancora legata alla convivialità, anche se il rito dell’aperitivo – spritz in testa – ha senz’altro contributo a destagionalizzare i consumi, spostandoli dalla ricorrenza al rito sociale. Il passo successivo è stato il ruolo della bollicina come vino da consumare a tutto pasto, specie al ristorante ma anche in pizzeria o nel catering. Sull’onda di una accresciuta consapevolezza da parte del consumatore finale, ma anche per questioni oggettive, ciò ha favorito gli spumanti più secchi e strutturati e di qualità superiore, adatti a reggere l’accostamento con portate diverse.
UNO SGUARDO AL FUTURO
Gli esperti concordano come il lockdown di marzo-aprile ha segnato la definitiva consacrazione del canale e-commerce, cui molti consumatori si sono rivolti per la prima volta: un canale al quale presumibilmente torneranno in caso di esperienza positiva. La grande incognita sono le prossime feste, un periodo in cui, ancora, le bollicine, specie del tipo dolce e classico, vanno per la maggiore. Ma portando lo sguardo ancora più in là la crisi economica che si profila porterà il rischio (per alcuni) o opportunità (per altri) di uno spostamento verso prodotti meno cari. Un avvertimento viene dall’andamento dello champagne, il più duramente colpito nella prima fase della pandemia. Nonostante ciò le bollicine ancora una volta se la dovrebbero cavare meglio degli altri vini: secondo la società di ricerche di mercato britannica Iwsr, se per arrivare ai livelli di vendite globali del 2019 bisognerà attendere il 2024, i vini spumanti rimbalzeranno più velocemente grazie al fatto che i consumatori sempre più tendono a consumarli tutto l’anno.
DA SPUMANTE A BOLLICINA
Non chiamateli spumanti… nonostante la denominazione ufficiale sia proprio quella di vino spumante (nelle classificazione Pas dosé, Extra Brut, Brut, Extra dry, Dry, Demi-Sec e Dolce in base al residuo zuccherino) oggi produttori ma anche sommelier e appassionati preferiscono utilizzare la denominazione di origine: Trentodoc, in gran spolvero, Prosecco, distinguendo tra di Conigliano e Valdobbiadene e d’Asolo, un’Asti pronto al rilancio e naturalmente il Franciacorta. Quando se ne parla genericamente si è invece imposto il termine “bollicina”. Strano a dirsi perché in fondo è un sostantivo anonimo, quasi infantile, che – ricordiamo la canzone di Vasco? - si può applicare tranquillamente anche alle bevande gassate. Eppure così è. In attesa della prossima evoluzione linguistica, segno forse anche questa della vitalità e vivacità di questa tipologia di vini.
PRIMI AL MONDO ANCHE NELL’EXPORT (MA SOLO IN VOLUMI)
Primi produttori mondiali, ma anche primi esportatori di spumanti: gli ultimi dati della vendemmia 2020 sembrerebbero confermare l’Italia nel suo ruolo di principale produttore mondiale di vino al mondo. Italia che, raddoppiando l’export in volume, in dieci anni è diventata anche il primo fornitore mondiale di spumanti, grazie al Prosecco e davanti alla Francia dello Champagne e alla Spagna del Cava. Tutti e tre i Paesi insieme rispondono per l’85% delle esportazioni e partecipano a un successo delle bollicine avvenuto su scala globale: in 10 anni gli spumanti hanno aumentato i volumi dell’export del 74% e i valori del 93%. Valore che premia nettamente lo Champagne, ponendo la Francia al comando della graduatoria mondiale per fatturato.
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