caffè
13 Gennaio 2022La sensazione è che qualcosa in questi mesi stia cambiando. E la “mappa dello scontrino” che ogni anno Fipe dirama – e che di solito presenta ben poche sorprese (l’ultima, con dati Istat del dicembre 2020, andava dagli 80 centesimi di Catanzaro a 1,21 di Trento) – nel 2022 appena iniziato potrebbe venire rivoluzionata. Resta però il convitato di pietra, ovvero il consumatore. Il Corriere della Sera in un recente articolo parla già di Colazione da Tiffany e scontrini da gioielleria. Pochi centesimi in realtà, che però si scontrano con un muro di consuetudini a pagare poco, ormai anche meno del proverbiale quotidiano al quale per decenni l’espresso è stato agganciato. Con la buona notizia che se al quotidiano ormai rinunciano in molti, il caffè è un’abitudine a cui gli italiani non pensano di rinunciare.
A UN VALORE INTERNAZIONALMENTE RICONOSCIUTO DEVE CORRISPONDERE UN PREZZO ADEGUATO
Vi sono tutte le condizioni e le migliori ragioni per aumentare il prezzo della tazzina di caffè al bar, cosa che in realtà sta già accadendo. Il punto di partenza è un paradosso: siamo in area OCSE, il Paese in cui l’espresso al bar ha il prezzo più basso, pur potendo noi dichiarare con orgoglio che il “vero” espresso è quello italiano e venendo considerati all’estero un costante punto di riferimento. Poiché questo valore viene internazionalmente riconosciuto oltre che quotidianamente apprezzato dai consumatori italiani, è equo che vi corrisponda un prezzo adeguato.
Inoltre, sia le aziende di torrefazione che i bar italiani stanno registrando un incremento di costi che non ha paragoni in anni recenti. Per le aziende di torrefazione il costo del caffè coltivato di qualità, cioè la varietà Arabica, è cresciuto di circa il 50% dall’inizio dell’anno. E a ciò si aggiunge un incremento di costi non inferiore al 15% delle materie prime per il confezionamento, dei trasporti, della logistica e dell’energia. Per quanti sforzi il settore faccia per gestire la situazione, è inevitabile che alla fine il costo del caffè salga anche per il bar che lo acquista. Il bar fronteggia poi a sua volta l’impennata dei costi energetici, la difficoltà di trovare personale qualificato, il costo delle attrezzature che rischia di salire per le medesime ragioni. E tutto ciò nel momento in cui si sforza di uscire dallo scenario pandemico affrontato con immensi sacrifici e lunghi periodi di chiusura obbligata, con il consumo medio del caffè fuori casa che ancora non è risalito ai livelli del 2019, anche per l’affermarsi delle nuove modalità di lavoro “misto” a casa e fuori. Tutte queste ragioni non solo giustificano, ma rendono necessario, per la sostenibilità stessa del settore, il ritocco del prezzo della tazzina al banco. Sta già accadendo e credo che sarà un fenomeno generalizzato dall’inizio del 2022.
D’ACCORDO SULL’AUMENTO, SPECIE AL SUD
L’aumento del prezzo della tazzina di caffè al bar è un’ipotesi in discussione già da tempo per via dell’aumento generale dei costi, soprattutto al Sud dove il prezzo è fermo da tempo sugli 80/90 centesimi. Per giustificare tale aumento riteniamo che l’unica strada percorribile sia quella di una corretta comunicazione che sensibilizzi la collettività sul valore della qualità in tazza e dei costi che le stanno dietro. D’altra parte il cliente che va al bar, oggi più che mai, desidera gustare un buon caffè, per cui potrebbe anche essere disposto a spendere qualche centesimo in più per un prodotto di qualità e per chi applica le norme di sicurezza.
Dietro la tazzina vi è tutta una serie di costi del bar che certamente incidono sul prezzo, peraltro le restrizioni della pandemia hanno causato un aumento non solo del prezzo della materia prima, il caffè verde, che incide in minima percentuale, quanto di energia, affitto locali e tutto ciò che la gestione dell’emergenza ha reso necessario (sanificazione, pannelli protettivi per distanziamento, articoli per l’asporto, disinfettanti, ecc.). Tutto questo ha certamente ridotto il margine sulla tazzina. Per cui non ha senso demonizzare i rincari. Senza margini adeguati si blocca la crescita del settore, impedendo ai baristi di investire nelle loro attività attraverso la formazione e offrendo più servizi ai loro clienti.
IL PREZZO DELLA TAZZINA DEVE RIFLETTERE L’OFFERTA PRESENTATA AL CLIENTE
Il costo della tazzina al bar è fermo ormai da molti anni, sebbene in Italia il piacere di un espresso sia un vero e proprio rito irrinunciabile e amato dalla maggior parte dei connazionali, come pausa dagli impegni quotidiani e come punto di socialità. Il cliente diventa sempre più attento ed esigente, è alla ricerca di qualità, cultura del caffè e conoscenza. Oltre al semplice servizio è necessario fornirgli un’esperienza unica, che passa attraverso il racconto della filiera - dalla materia prima al prodotto finale - ma anche attraverso un’estrema specializzazione e differenziazione. La parola chiave è qualità, dalla selezione dei chicchi di caffè alla formazione del barista, ormai chiamato a essere un vero e proprio ambassador di questa eccellenza italiana.
Per questo motivo, il prezzo della tazzina deve riflettere esattamente l’offerta presentata al cliente: dietro alla tazzina c’è un mondo e quel mondo va raccontato e valorizzato. Se si vuole aumentare il prezzo, l’eccellenza dell’espresso e del processo che ci sta dietro va raccontata, percepita e accolta dal cliente. Il servizio deve essere impeccabile, la selezione dei fornitori accurata, la preparazione perfetta. Nulla deve essere lasciato al caso per dare un valore aggiunto a una semplice consumazione per tutti quotidiana. In questo contesto gioca un ruolo molto importante il torrefattore e la sua capacità di trasferire expertise e conoscenza a un pubblico sempre più curioso.
Quanto ai costi che stanno dietro la tazzina, riteniamo che il servizio e la qualità non debbano prescindere da variabili quali posizione, dimensione, affitto. Il torrefattore e barista dovrebbe avere l’obbligo di servire il caffè con il più alto standard qualitativo a prescindere da altri fattori esterni.
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A cura di Matteo Cioffi
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