pubblici esercizi

05 Marzo 2014

Tares o Tari? Per Bar e ristoranti il risultato non cambia

di Luciano Sbraga


Tares o Tari? Per Bar e ristoranti il risultato non cambia

Il meccanismo con cui si calcola la Tia prima, la Tares oggi e la Tari domani si fonda su coefficienti di produzione dei rifiuti assolutamente aleatori che generano forti sperequazioni tra utenze domestiche e non domestiche e, all’interno di queste ultime, tra attività che operano in territori e/o settori diversi.

Sono tanti gli elementi di ambiguità su cui poggia il sistema di ripartizione e calcolo della Tares ma in questa sede preferiamo concentrarci sull’aspetto relativo alle logiche presuntive di determinazione della produzione di rifiuti che si traducono in condizioni di costo estremamente diversificate sul territorio anche a parità di attività economica.

Queste logiche presuntive erano state immaginate dal D.P.R. 158/99 come soluzione transitoria per agevolare l’adozione della tariffa in una situazione che vedeva gli Enti locali impreparati al cambiamento e garantire il tempo necessario ad organizzare modalità di tariffazione basate su misurazioni effettive, cioè sulla quantità di rifiuti effettivamente prodotta.

A distanza di quindici anni, invece, gli enti locali continuano ad utilizzare questa strumentazione ricorrendo ai coefficienti di producibilità del rifiuto riportati nel DPR 158/99. Eppure esperienze di misurazione, pur nelle peculiarità del caso per caso, danno conto di una produzione di rifiuto superiore a quanto desumibile sulla base dei coefficienti presuntivi per le categorie a bassa e media produzione di rifiuto e/o una produzione di rifiuto inferiore a quanto indicato dai coefficienti per le categorie a elevata produzione di rifiuto.

LE CONSEGUENZE PER BAR E RISTORANTI

In definitiva la Tia/Tares/Tari come oggi viene applicata tradisce il principio su cui dovrebbe fondarsi. A fare le spese di un sistema così iniquo sono sicuramente bar e ristoranti in quanto considerate attività ad elevata producibilità di rifiuti. Basta dare un’occhiata alle delibere dei comuni per verificare che a queste imprese vengono generalmente applicati i coefficienti più alti sia per la copertura del costo fisso del servizio di raccolta e smaltimento che per quello variabile.

Un piccolo bar di 100 metri quadrati arriva a pagare in media ed al netto dell’IVA 1.250 euro ed un ristorante poco più ampio 2.800 euro. Perché, ed è questo un ulteriore paradosso del sistema, si continua a pagare sulla base della superficie partendo dal presupposto (errato) che quanto maggiore è la superficie tanto maggiore deve essere la produzione di rifiuti. Ma questa è logica da tassa non da tariffa. Nei quindici anni che passano tra l’emanazione del decreto che riporta i coefficienti (presuntivi) di producibilità dei rifiuti ed i giorni nostri molte cose sono cambiate anche nel mondo della ristorazione a cominciare dai modelli di consumo e di produzione per finire ai sistemi di gestione dei rifiuti. Per le amministrazione comunali non conta l’attività di differenziazione dei rifiuti (vetro, plastica, carta, ecc.) fatta dai pubblici esercizi, non contano i tanti fattori che concorrono a determinare una riduzione della produzione di rifiuti (destrutturazione dei pasti e dunque minori quantità consumate, uso dei prodotti di quarta e quinta gamma, riduzione degli sprechi), così come non conta la qualità dei rifiuti prodotta da un bar o un ristorante rispetto a quelli di un capannone industriale o di una banca. Perché anche i rifiuti si contraddistinguono per qualità.

LE INCONGRUENZE NEGATIVE

Ma soprattutto nell’attuale struttura del mercato si fa fatica a comprendere le ragioni per cui un ristorante tradizionale produca più rifiuti di un take away solo perché quest’ultimo è classificato come attività artigianale, anche a parità di superficie. Ma si sa che il modello di servizio delle attività artigianali non richiede, generalmente, la disponibilità di superfici importanti destinate al pubblico. E lo stesso vale per un bar rispetto ad un negozio al dettaglio di prodotti alimentari che fa la cosiddetta somministrazione non assistita.

Eppure i coefficienti su cui si basa il calcolo della parte variabile della tariffa sono compresi nella forchetta 4-8,91 kg./mq. anno per attività artigianali di beni specifici, 12,72-22,67 kg./mq. anno per negozi di generi alimentari, 22,55–64,77 kg./mq. anno per bar, caffè, pasticceria, 29,93–90,55 kg./mq. anno per ristoranti, trattorie, pub.

La misurazione sperimentale della produzione di rifiuti dimostra inequivocabilmente che i coefficienti applicati a bar e ristoranti sono fortemente sovrastimati. A Milano i valori sono stati di 18,46 kg./mq. anno per i bar e 30,55 kg./mq. anno per i ristoranti, a Mantova 13,12 e 16,85, a Livorno 11,13 e 36,14.

Sulla base di questi coefficienti, veritieri perché sperimentali, abbiamo effettuato una simulazione dalla quale emerge che il costo della Tia/Tares/Tari è più alto di almeno il 35% per i ristoranti e del 28% per i bar.

Il risultato è che bar e ristoranti pagano anche una quota di rifiuti che non producono e che, dunque, è attribuibile ad altri soggetti (imprese e famiglie) con un costo aggiuntivo che, a regime, può essere stimato in oltre 150 milioni di euro.

Tutti questi elementi confermano, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il superamento dei coefficienti presuntivi è un’urgenza non più rinviabile.

TAG: ECONOMIA,CAFFè DIEMME

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