pubblici esercizi
28 Ottobre 2012L'arrivo dell’articolo 62 rischia di avere un effetto dirompente su un settore, quello dei consumi fuori casa, già pesantemente sotto pressione. Lo temono fortemente le imprese, i cui uffici crediti stanno cercando di capire l’impatto che la fissazione dei nuovi termini di pagamento può avere nelle relazioni commerciali con i pubblici esercizi.
Anche perché, crisi o cattive abitudini, i pagamenti di bar e ristoranti sono spesso variabili tra i 110 e i 150 giorni. Una situazione che mette in difficoltà molte imprese, soprattutto chi produce bevande alcoliche, che anticipa accise e Iva.
Le rilevazioni di Cribis D&B, che riguardano i ritardi nei pagamenti delle imprese nei diversi settori di attività, segnalano però un generale miglioramento nel rispetto dei termini stabiliti, in parte dovuto, sottolinea l’amministratore delegato Marco Preti «anche al fatto che il ritardo si è ‘istituzionalizzato’, cioè è stato incorporato nei termini di pagamento definiti contrattualmente tra le parti».
Va aggiunto che, in generale, le condizioni di pagamento sono sempre state utilizzate come leva commerciale competitiva da parte delle aziende, sia per aumentare il sell in, sia come condizione migliorativa per acquisire clienti. Oggi, complice la crisi, le cose si fanno più complicate, perché di colpo il settore si trova a restringere il gap finanziario portandolo a 30 o 60 giorni.
«Ho sempre sostenuto che fosso necessario intervenire sulla materia e che l’Italia, anche da questo punto di vista, fosse una mosca bianca,in confronto per esempio con gli Stati Uniti dove il rispetto dei termini di pagamento è fortemente controllato, soprattutto nel caso di bevande alcoliche - afferma Pietro Biscaldi, titolare dell’omonima azienda - e quindi sono d’accordo con il provvedimento in sé. Ma il momento scelto è sbagliato, perché rischia di schiacciare tutto il sistema, anche le imprese sane, che pagano con regolarità. E inoltre non sono stati ascoltati gli operatori. Sarebbe stato più utile e corretto prevedere un periodo di qualche anno durante il quale affrontare la questione per step successivi per arrivare ai fatidici 30-60 giorni in una situazione condivisa dagli attori della filiera». La valutazione di Biscaldi si inserisce poi in un panorama dove il sistema è poco efficiente, dove quasi un buon numero di imprenditori dei pubblici esercizi sono costretti a iniettare capitali freschi per mantenere l’attività, dove ci si può attendere una crisi strutturale del consumo fuori casa che può generare chiusure a catena di bar e ristoranti (negli ultimi 18 mesi si è registrato un saldo negativo di 13mila aziende è il dato di Fipe). Molti esercenti, poi, conoscono ancora poco o nulla dell’articolo 62 ed è difficile dire che cosa succederà. Il problema è che l’avvento delle nuove disposizioni cadono in un momento di mancanza di liquidità dei bar, che tendono a dilazionare i pagamenti, sottolinea un direttore comemrciale che preferisce non comparire.
Lo scenario possibile
Di certo c’è il fatto che dal 24 ottobre sono cambiate le relazioni commerciali tra aziende e clienti, anche se questo è, come spesso abbiamo verificato nel nostro Paese, tutto sulla carta. Infatti già si parla di meccanismi extra contrattuali che potranno svicolare da quanto previsto dal decreto, con i marchi forti che otterranno il rispetto dei termini e le aziende più piccole che soffriranno. Ma non sarà facile. Perché il decreto prevede ammende da 500 a 500 mila euro per chi non rispetta i termini contrattuali. Quale lo scenario possibile? Ci sarà chi continuerà a ritardare i pagamenti accanto a chi continuerà a pagare puntualmente. Qualcuno si sbilancia, prefigurando che non tutti rispetteranno i termini previsti. Rischiando non poco. Le aziende, peraltro, non potranno accettare ordini che eccedano i termini di 30 e 60 giorni.
Chi prova a vedere la situazione in positivo è il direttore commerciale di Pernod Ricard Antonio Duva, secondo il quale le nuove disposizioni «possono avere benefici anche nel mondo del fuori casa, garantendo maggiore regolamentazione riguardo alla gestione dei pagamenti e dei contratti e un più corretto rapporto commerciale basato sull’effettiva capacità di generare consumi piuttosto che sulla capacità finanziaria e di stoccaggio dei clienti. La legge richiede di rispettare i termini di pagamento e ai produttori e distributori di segnalare al cliente il fatto che rischia di incorrere in multe e ammende. Non è ancora chiara la portata e l’estensione dei controlli ma la legge descrive perfettamente quali sono i comportamenti illegali e quindi soggetti a sanzione».
Resta infatti il nodo dei controlli, ma sembra ancora poco risolta la modalità con cui verranno effettuati. «L’articolo 62 è uno dei provvedimenti più rigorosi, prescrittivi e cogenti che ci sia al mondo – puntualizza il presidente di Centromarca Luigi Bordoni – ma va anche detto che è nato con obiettivi di moralizzazione ed efficienza. Sui controlli mi sembra che ci siano stati interventi per ottenere una certa elasticità di comportamento, almeno nella fase di introduzione». Sugli esiti, non ci resta che attendere.
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