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I

l tema della concorrenza nel settore è sem-

pre di grande attualità, non solo per il

continuo espandersi dei fenomeni di abu-

sivismo e di concorrenza sleale provenienti

da falsi agriturismi, circoli privati o feste

varie, per i quali il settore segue fiducioso l’avan-

zamento della giusta Riforma sul Terzo Settore,

che li dovrebbe ridimensionare, ma anche per le

continue aperture normative offerte ad attività in

sofferenza commerciale, che ledono il principio

“stesso mercato, stesse regole”.

Mi riferisco alla possibilità di somministrare cibo e

bevande offerte ad Artigiani e Commercianti, che

Fipe contrasta, perché l’esercizio di questa attività

complementare viene esercitata con vincoli e oneri

meno stringenti rispetto a quelli previsti per i

Pubblici Esercizi. La disparità nasce dall’esclusi-

vità delle norme del T.U. di Pubblica Sicurezza o

nell’obbligo sulla disponibilità di servizi igienici

per il pubblico, oltre ad altre costose attenzioni.

Chi fa un mestiere, lo deve fare alle condizioni di

tutti e non subire, come capita ai Pubblici Eserci-

zi, obblighi aggiuntivi, che si traducono in costi

maggiori, che comportano handicap competitivi.

L’orientamento che vorrebbe consentire a tutti di

fare tutto, certamente favorirebbe il livello dei

prezzi praticati, tendenzialmente in ribasso, per il

diverso equilibrio delle dinamiche tra la domanda

e l’offerta, ma comporterebbe una dequalificazione

del mercato, un disorientamento nel consumatore,

un indebolimento della specificità e dei valori dei

mestieri, un disordinato sviluppo della città, il

formarsi di rischi sociali variegati.

Il commercio tradizionale non lo si aiuta facendo

diventare i negozi dei bazar, all’interno dei quali il

consumatore non è più in grado di orientarsi nelle

sue scelte e, quindi, si disaffeziona preferendo la

Grande Distribuzione, dove l’offerta è ordinata,

divisa per tipologie e reparti.

Il cibo sta diventando una commodity, da acqui-

stare (e consumare) dovunque e al minor prezzo,

tralasciando qualsiasi investimento sulla tipicità,

sulla specificità, sulla qualità, sulla professionalità,

sugli assortimenti, che invece dovrebbero essere

gli elementi premianti dell’offerta.

Vanno recuperati e identificati i valori dei mestieri,

integrando lemerceologie con criteri di coerenza di

prodotto, di competenza nel business, di riscontro

alle esigenze della clientela, di posizionamento

dell’impresa, anche nel rapporto qualità/prezzo.

Non basta aggiungere, soprattutto se disordina-

tamente; bisogna conoscere cosa si vende (o si

somministra), come e dove lo si fa, cosa rende!

Infine, interviene anche una valutazione sul ruolo

della Ristorazione. Se è un valore, per il suo ruolo

nella promozione turistica dell’Italia, per la sua

capacità di valorizzare i prodotti della nostra filiera

agro-alimentare, per il suo allargato ruolo sociale,

per i numeri che esprime in termini di fatturati e

occupati, non va indebolita con scelte incoerenti

rispetto alle utilità che esprime.

La Ristorazione non è solo quella espressa dai

nostri celebrati chef, indifferente (di norma) alle

tensioni concorrenziali, ma è soprattutto quel-

la rappresentata dai tanti Ristoratori che fanno

sempre più fatica, ma, nonostante tutto, persisto-

no nel sostenere qualità, servizio e prezzi giusti,

danneggiati da concorrenza improvvisata, che

stravolge abitudini e tradizioni, che confonde tra

prodotto fresco, congelato, semilavorato, precotto

o rinvenuto, che forza sul prezzo, che diseduca sul

buono, che non investe sulla qualità, trascinando

l’offerta verso una deriva che non offre prospettive

al (distratto) consumatore, ma neppure al mante-

nimento del nostro Rating alimentare, destinato

al downgrade!

Ristorazione e Rating Alimentare

Il punto

del presidente FIPE

Lino Enrico Stoppani

4

Mixer

GIUGNO 2015

Cordialmente.