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Mixer

/ FEBBRAIO 2017

IL PUNTO

del presidente FIPE Lino Enrico Stoppani

N

on vorrei portaremale ponendo una rifles-

sione sull’incessante sviluppo della rete

dei Pubblici Esercizi in Italia che,

nono-

stante le difficoltà e la crisi che condiziona

negativamente i consumi, continua a crescere, ad un

ritmo che sembra inarrestabile, riempiendo ogni an-

golo delle nostre città di bar e ristoranti di ogni tipo,

ponendo preoccupanti interrogativi sulla sostenibilità

e la tenuta di questa tendenza.

Sembra di vedere i corsi dei titoli borsistici nell’era

della new economy,

con quotazioni da capogiro,

multipli da record, oppure i valori immobiliari nel

periodo della bolla immobiliare, dove gli incrementi

– dei titoli o delle case – non avevano una spiega-

zione economica, se non nella speculazione, che ha

poi generato lo “sboom”, con le conseguenze (e le

vittime) che conosciamo.

Forse il collegamento è improprio, ma quanto sta

succedendo nel settore hamolte similitudini,

perché

ad una domanda certamente in crescita nel “fuorica-

sa”, corrisponde un’offerta che cresce a dismisura e

definire il nostro mercato saturo, lo dicono i numeri

degli esercizi di somministrazione in attività, oltre i

300mila, la scarsa marginalità delle gestioni, che ap-

piattisce, orientandola al rosso, l’ultima riga dei conti

economici, e anche l’anomalo e preoccupante tasso

di mortalità delle new entry nel settore, che a 5 anni

si attesta su un 48% (su 100 aperture, nei 5 anni 48

chiudono!) che deve far riflettere i nuovi investitori.

Tra questi, è sempre più forte una matrice estera,

che sembrerebbe anche azzardata,

visto che l’Italia

è ed è stata luogo di conquista in tanti settori, ma

non nella Ristorazione, dove pensavamo di avere un

benchmark di qualità inattaccabile, che ha consentito

il diffondersi della cucina italiana nel mondo, con le

imitazioni e i falsi che conosciamo, garantendoci un

avviamento di storia e di competenze che agiva da

confine allo straniero.

Non è più evidentemente così, visti gli ambiziosi pro-

getti di Starbucks in Italia,

o il successo, soprattutto tra

i giovani, di McDonald’s, oppure il dinamismo di marchi

come Kentucky FriedChicken e l’imminente lancio, par-

tendodaMilano,dei nuovi locali dellacatenagiapponese

Toridoll, con un concept innovativo basato non solo

sul classico sushi, ma anche sulle diverse tipologie di

Ramene altre ricettedellamigliore tradizioneorientale.

Oppure la stessa GDO che continua ad associare

all’attività di vendita,

nuovi spazi di somministrazio-

ne, contrastando il calo dei consumi moltiplicando le

insegne interne di ristorazione veloce, sfruttando i

momenti di attesa del consumatore, prima, durante

o dopo la spesa al supermercato.

È in corso evidentemente una trasformazione del

nostro mercato,

conseguenza della globalizzazione

e del cambiamento degli stili di vita delle persone,

destinato a ridisegnare nuove modalità di consumo,

dove tutto quanto è snack o pret-à-emporter (l’aspor-

to, ndr) guadagnerà sempre più spazio.

Riuscirà a stare sul mercato chi meglio si adatterà

alle aspettative di un consumatore cambiato,

anche

se la qualità, le competenze ed il servizio rimarranno

fattori di successo.

Ci saràsicuramenteselezionenell’offerta, cheriporterà

un nuovo equilibrio di mercato,

nel quale non necessa-

riamente i piccoli o gli autoctoni dovranno dar spazio.

La cucina racconta la storia, le tradizioni, la cultura

e i bisogni di un popolo,

che nei secoli ha saputo

solo arricchirsi dalle contaminazioni coloniali.

Siamo forse ai “corsi e ricorsi” del 21° secolo?

Un nuovo

colonialismo in cucina?