vada sprecato e la ristorazione può
sfruttare questo fenomeno anche
come strumento di comunicazione.
«Se un mio cliente esce in strada –
continua – non con un sacchettino
di plastica anonimo, ma con una
bella borsa con stampato il nome
del mio ristorante è come se di-
cesse: “Qui sono stato tanto bene
che voglio mangiare quello che mi
hanno preparato anche riscaldato”.
Ci vuole un processo di sensibiliz-
zazione da parte del ristoratore per
mettere a disposizione dei clienti
i contenitori idonei per portarlo
via. Oltretutto, se già al momento
dell’ordine si anticipasse al cliente
che avrà la possibilità, se lo deside-
GIU. LUG. 2017
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ra, di portare a casa ciò che resta nel
piatto, probabilmente ordinerebbe
in maniera differente. Una proce-
dura utile, che agevolerebbe questa
prassi, potrebbe essere quella di
tornare al piatto di portata, anziché
servire le pietanze già impiattate,
quando c’è la possibilità di farlo.
D’altro canto è così che si serve
a casa”.
Anche la strada della devoluzione
benefica non è difficile da praticare.
“A me capita spesso, soprattutto in
occasione di catering o banchetti
– racconta – quando quello che è
rimasto non fa neppure parte del-
la carta del ristorante e magari si
tratta già di un finger. Basta sem-
plicemente mettere in contenitore
adatto quello che è stato lasciato per
metterlo a disposizione di una delle
associazioni caritative che operano
sul territorio. Appena quello che
non è stato consumato torna al ri-
storante io contatto una di queste
onlus e so che entro mezz’ora qual-
cuno sarà un pochino più contento,
grazie al nostro cibo».
La legge Gadda ha agevolato una
pratica che già esisteva. «Ha fatto
chiarezza sulle responsabilità di ca-
rattere igienico-sanitario – spiega
Deidda – e permette di mettere in
detrazione il cibo donato. Una volta
tanto si è trattato di una legge di
buon senso».
IN CUCINA