birra
15 Febbraio 2024Il birrificio piemontese, pioniere della birra artigianale in Italia, lancia un equity crowdfunding per raccogliere cinque milioni di euro da investire nell’azienda e per finanziare il nuovo stabilimento produttivo acquisito recentemente in Lombardia. Obiettivo? Arrivare a centomila ettolitri di produzione annua entro il 2028
Nel mondo occidentale è molto diffusa, e usata con indiscriminata frequenza, la convinzione che nella lingua cinese la parola “wei-chi” abbia sia il significato di crisi sia quello di opportunità. È una convinzione errata, come del resto molte convinzioni che riguardano il “Paese di Mezzo” ma l’idea che nei tempi di crisi si possano trovare nuove opportunità è stato più volte dimostrato nella storia.
Non sappiamo se Teo Musso, artefice e deus ex machina del birrificio piemontese Baladin, uno dei padri della birra artigianale italiana, conosca il “falso” significato della parola wei-chi, di certo non l’ha usata nella conferenza stampa convocata “con sorpresa” a Milano ieri alla Cascina Nascosta, ma abbiamo più volte assistito alla sua capacità di cogliere opportunità e soprattutto di coltivare una visione strategica della birra artigianale come pochi altri, tra i pionieri e i successivi epigoni, hanno avuto.
Le prime birre in bottiglie “da champagne” per elevare al primo sguardo uno standard birrario tradizionalmente cheap, le relazioni con i ristoranti quando ancora chef e sommelier le birre le mettevano in frigo accanto ai succhi di frutta e alle bibite, e ancora i locali Baladin come ambasciate sul territorio del brand e canale di vendita privilegiato, la birra Nazionale tutta con materie prime, appunto, nazionali, lo slogan “la birra è terra”, i beer cocktail in lattina, il Beermouth e il gin Baladin.
Insomma, il birraio piemontese non è da prendere sottogamba quando fa qualche annuncio. Così non lo abbiamo fatto quando ha annunciato la sua prossima mossa sulla scacchiera del mercato birra italiano. Una mossa che guarda al futuro e una mossa che va in controtendenza rispetto al clima di incertezza che regna tra produttori grandi e piccoli dopo i dati non proprio rassicuranti (un 6% in meno sulle vendite rispetto all’anno precedente, annunciati lo scorso ottobre da Assobirra).
Forte di numeri positivi, snocciolati con precisione e sicurezza dal figlio Isaac, ormai entrato a pieno titolo in azienda, che vanno da un fatturato 2022 chiuso a 16,6 milioni di euro a un margine operativo lordo del 20%, da una presenza all’estero in 47 Paesi diversi per un export che pesa circa il 20% sul totale a una rete B2B di circa tremila rivenditori, Baladin ha lanciato un’operazione di equity crowdfunding, sulla piattaforma mamacrowd, con l’obiettivo di raccogliere cinque milioni di euro per raggiungere tre scopi strategici: sviluppare fatturato e valore del brand mantenendo l’indipendenza, oggi la società è al 70% controllata dalla famiglia Musso e la parte restante è equamente divisa tra Oscar Farinetti e il management, costruire un pozzo per attingere a una riserva idrica e creare un ciclo dell’acqua sostenibile, avviare l’Open Hub.
L’Open Hub non è altro che il birrificio con sede a Bernareggio, provincia di Monza e della Brianza, realizzato da Heineken Italia al tempo in cui la multinazionale olandese aveva acquisito il brianzolo Birrificio Hibu con il progetto di far decollare la sua capacità produttiva. Terminata la liason tra Heineken e Hibu, l’impianto produttivo era finito nel mirino di altre società ma a spuntarla è stato proprio Baladin. Impianto con potenzialità da circa ottantamila ettolitri, lo stabilimento piemontese di Baladin nel 2022 ne ha prodotti circa ventiseimila,
Bernareggio è una bella sfida perché, sembrerà scontato dirlo, oltre a produrla la birra si deve poi venderla. Consapevole di ciò Musso a Bernareggio ha elaborato il concetto di Open Hub ovvero ha coinvolto nell’operazione altri cinque birrifici artigianali come Birra Perugia, il birrificio marchigiano MC77, il laziale Ritual Lab, l’abruzzese Opperbacco e il ligure Altavia, con il proposito che ciascuno, nel nuovo impianto, produca una sua nuova birra, esclusivamente in fusto, da presentare all’attenzione dei distributori intorno al prossimo novembre (le prime cotte sono previste per dopo l’estate).
Mossa, ancora una volta, brillante perché da un lato evita a Baladin, che tuttavia non fa mistero di puntare per il 2028 a centomila ettolitri l’anno e cinquanta milioni di fatturato, di mettere in moto da solo una nave che, per viaggiare, deve produrre una quantità suppergiù adeguata alle sue potenzialità, risultato non raggiungibile in breve tempo, e dall’altro prepara un’offerta alla spina di birre artigianali firmate da alcuni dei nomi più amati dagli appassionati.
Qualità e volumi insomma, che di questi tempi appaiono termini da dover essere usati insieme se si vuole stare a galla. Così, se il crowdfunding è una chiamata alla partecipazione per tutti coloro che conoscono e apprezzano Baladin, nonché un quasi scontato “rimbalzo” sulla stampa per il brand e forse una prova generale in vista di una quotazione in Borsa nel listino PMI, l’Open Hub, a nostro modo di vedere, è la vera sfida. Sicuramente quella più interessante perché c’è ancora da capire che tipo di risposta arriverà dal mondo della distribuzione.
Conoscendo Teo da qualche anno e sapendo che quando annuncia pubblicamente un progetto in realtà lui sta già pensando al prossimo, è facile che il “terreno della distribuzione” sia già stato esplorato.
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