birra
29 Gennaio 2025La birra artigianale italiana è in crisi? Così sembrerebbe. Alcuni birrifici hanno chiuso i battenti, altri vendono l’impianto e provano ad andare avanti contando sui numerosi “contoterzisti”, altri ancora si ridimensionano per numero di birre e loro diffusione. Non approfondiamo qui il tema, anche se ci piacerebbe eccome tornarci su, ma l’introduzione ci serve per dire che, forse, la birra artigianale italiana ha visto tempi migliori.
Tuttavia sarebbe un errore, come si suol dire, fare di tutta l’erba un fascio. Era un errore quando sembrava che l’onda della birra artigianale dovesse continuare a crescere all’infinito, è un errore oggi che il “meteo” rivela un moto ondoso decisamente più tranquillo. Il fatto è che la birra artigianale non è mai stata un monolite, ma un’attività imprenditoriale con diverse interpretazioni, modi di vivere e di lavorare, e strategie differenti. E sul fatto che la birra artigianale sia ancora viva e vegeta ne è riprova concreta il “viaggio” tra malti e luppoli di Fabio Ditto, napoletano doc che nella birra ci è praticamente nato dentro.
«Da ragazzino andavo spesso in Baviera - ci ha raccontato nella giornata passata insieme tra il suo nuovo locale, Officine Kbirr a San Giorgio a Cremano, e la moderna sede di produzione a Giugliano in Campania - per via di uno zio che aveva sposato una ragazza locale e non ci misi molto a innamorarmi delle birre che si bevevano lassù. Dopo la scuola avevo preso la mia decisione e la comunicai a mio padre: mi sarei messo a importare quelle birre che mi piacevano tanto».
LA BIRRA MADE IN NAPOLI
L’amore adolescenziale è diventata presto una professione perché Ditto ha certamente tanta passione ma anche visione e capacità lavorative non indifferenti; così nel tempo cresce acquisendo una conoscenza approfondita del mercato, ed evidentemente anche della clientela, che gli tornerà presto utile anche perché ha gli occhi sempre bene aperti sul fermento che attraversa il comparto della birra a partire dalla metà degli Anni Duemila. Sono infatti questi gli anni nei quali la birra artigianale esce definitivamente dalle conventicole dei nerd e dei beer geek e comincia ad affascinare un pubblico più ampio. Che poi è quello che Ditto vuole intercettare.
Nel 2016 allora nasce il marchio Kbirr, da pronunciarsi con l’accento napoletano che lo fa suonare come “Che birra!”, nel 2020 è il turno dell’impianto di produzione tarato per arrivare a produrre tra i cinque e i seimila ettolitri l’anno (nel 2023 sono stati comunque 3600). La prima linea di birre è già una dichiarazione d’intenti: #CuorediNapoli, Natavota, Cap ‘e fierro, Jattura non sono nomi scelti a caso, Ditto con le sue birre vuole parlare ai napoletani dando loro birre buone, di facile approccio, nel senso comprensibili da tutti i palati, e prodotte localmente. Elemento aggiuntivo, e da non sottovalutare, il suo rapporto quasi simbiotico, certamente di natura personale ma anche di modo di stare sul mercato, con tanti artisti locali che raccontano Napoli come le sue birre.
Birre che non vogliono mai provocare palato e papille gustative, semmai blandirle, non puntano alle schede di degustazione dei fanatici di Ratebeer, peraltro in via di chiusura battenti definitiva, ma fanno compagnia a tavola. In pizzeria come al ristorante. Perché sarà lapalissiano dirlo, ma in Italia si beve quasi sempre stando a tavola e molto meno al banco. Dopo l’affermazione del marchio sul territorio, il passo successivo Ditto lo mette a punto inseguendo le comunità di napoletani che lavorano all’estero, gestendo locali e attività ristorative forti dei prodotti gastronomici iconici della tradizione napoletana. «Oggi come oggi il 45% circa delle nostre birre prende la strada dei mercati esteri - ci spiega Ditto - siamo identificati per ciò che siamo ovvero per un prodotto made in Napoli esattamente come la pizza e la mozzarella. Il nostro claim è chiaro: ‘200% Napoletano’ e questo ci ha fatto accogliere bene dai nostri concittadini sparsi un po’ dappertutto».
ARRIVA LA SECONDA LINEA DI BIRRE
Questo sulla qualità delle birre. Come detto, niente iperboli, birre da bere. Emblematica è ad esempio la CuorediNapoli, un’American Pale Ale con il freno tirato sui luppoli che si fanno sentire ma non travolgono mettendo a segno una bevibilità fatta di lunghi sorsi e desiderio di “secondo giro”. Qualche giorno fa Ditto ha fatto debuttare la sua seconda linea di birre, non a caso al CAM ovvero al Casoria Contemporary Art Museum, dal look più internazionale. Nelle sale espositive, tra opere d’arte concettuale di artisti internazionali, debutto dunque per cinque birre meno legate al simbolismo partenopeo ma, come le prime, di solida costruzione e di grande facilità d’approccio.
Sugli scudi decisamente la Helles, una chiara da 5,2% vol, perfettamente bilanciata tra malti e luppoli, invitante, gratificante, da bere senza pensieri. A seguire una Strong Lager da 7,5% vol, una tradizionale Blanche con frumento, coriandolo e buccia d’arancio come vuole la tradizione fiamminga da 5,6% vol, una Red Strong da 7% vol dalle note calde di biscotto e di toffee e infine una India Pale Ale da 5,6% vol aggraziata nei suoi profumi agrumati e soprattutto “leggera” nel retrogusto.
Birre che, appunto, lasciano il sicuro ancoraggio napoletano per navigare in mare aperto, forti semplicemente della garanzia Kbirr e dimostrazione concreta di come Ditto abbia saputo costruire su basi solide un progetto nato nel pieno della maturità del fenomeno birra artigianale e non nella fase, come forse sarebbe stato più facile, più fortemente ascendente. Ergo dimostrazione ancora più concreta che, se si ha una visione e soprattutto se si sa parlare al grande pubblico, rispettandolo, la birra artigianale è ancora viva e vegeta.
«Credo che la ‘sbornia’ da birra artigianale sia ormai alle spalle - confessa a tavola davanti a dei piatti da fine dining (avevo giurato che non avrei mai usato questa definizione, ma in questo caso mi concedo una giustificata eccezione) nella sua Officine Kbirr - ma sono anche convinto che la gente apprezzi ancora quel quid in più che la birra artigianale sa offrire pur in birre che, in qualche modo, sono riconducibili alle birre che conosce nella Gdo». Riconducibili, ovvero riconoscibili, ma con quel valore aggiunto che il metodo di produzione artigianale (ingredienti selezionati, nessuna pastorizzazione) garantisce. Bingo, verrebbe da dire. Anzi, tombola! Che, guarda caso, è stata inventata non per nulla proprio a Napoli.
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