bevande
02 Febbraio 2015Alle prese con una crisi che non accenna ad allentare la presa, gli italiani hanno diminuito le occasioni di consumo fuori casa. Si esce meno, insomma, ma quando lo si fa, non si è disposti ad accontentarsi. E’ questo il trend fatto registrare negli ultimi mesi dai consumi delle bevande alcoliche nella ristorazione commerciale. «Nel primo semestre del 2014 - afferma Matteo Figura, responsabile Foodservice NDP in Italia - a fronte di un minor numero di visite, i serving di alcolici sono complessivamente cresciuti, in controtendenza con quanto rilevato a livello generale nell’ooh, dove si è riscontrata una complessiva flessione del 2%». Ad emergere è insomma un risultato netto, che, a prima vista, potrebbe suggerire un’interpretazione semplicistica: se, infatti, diminuiscono le uscite e crescono i servizi, si potrebbe ipotizzare che, quando si concedono momenti di svago, i clienti si lascino conquistare dai piaceri di Bacco più di quanto avveniva in passato. In altre parole, si potrebbe pensare che, per contrastare un mood generale non certo positivo, si ricorra volentieri all’alcol. In realtà, la questione è più complessa.
A determinare il buon risultato incassato da questo settore sono soprattutto vino e birra, ovvero le voci che ne rappresentano la parte largamente preponderante: i primi incidono infatti per il 32,3%, mentre la seconda per ben il 46%. Le altre categorie invece - bollicine, spirits, superalcolici, cocktail e premixati - che insieme valgono il 21,3%, mostrano tutte segni negativi, in linea con il dato complessivo del fuoricasa. Quella rivelata dai dati è dunque una dinamica a doppio binario, indotta in primo luogo da un mutato approccio alle occasioni di frequentazione del canale out of home. «In un’ottica di maggiore razionalizzazione della spesa e di ricerca di esperienze nell’ambito del fuoricasa - spiega Figura -, il consumatore tende a privilegiare le tipologie di visite capaci di garantire un più elevato ritorno in termini di gratificazione. E queste ultime sono per lo più legate proprio al consumo di vino e birra». Accompagnare pranzi e cene con bevande in grado di valorizzare le portate, infatti, produce appagamento del palato e quindi anche soddisfazione dello spirito. Nessuna rinuncia, quindi, su questi due fronti. «Piuttosto - osserva il manager - si preferisce tagliare quelle che vengono considerate parti accessorie delle visite, come per esempio le portate finali del pasto. E da qui il calo registrato dalle bevande che tradizionalmente si accompagnano ai dolci o che di norma si gustano nel dopo cena».
I serving delle bevande alcoliche nella ristorazione commerciale per canale di consumo: 1° semestre 2014 (in %)
Dietro al successo di vino e birra vi è però anche altro. «Non si deve dimenticare - continua Figura - che si tratta di prodotti in grado di creare in sé occasioni ad alto tono esperienziale. E a ciò si aggiunga che tanto l’uno quanto l’altra rappresentano consumi socialmente ben accettati anche in un’epoca di francescanesimo come quella che viviamo. Oggi, infatti, prevale nei clienti un atteggiamento di morigeratezza che induce a eliminare il superfluo. E altrettanto vale anche per ciò che viene percepito come ludico e quindi non consono a un periodo di grandi difficoltà economiche. Quindi, ben si spiega l’aumento della richiesta di boccali e calici, considerati “lussi” non eccessivi, e la contestuale limitazione nel ricorso a bollicine, cocktail e whisky». Almeno per ora.
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