bevande
27 Agosto 2013Secondo AssoBirra nel 2012 mercato stabile ed occupazione in aumento. Nei primi 6 mesi del 2013 vendite in flessione in Italia (-3%), ma tra gennaio ed aprile l'export torna a crescere (+2,7%).
In una situazione economica complessa – nei dati anticipati da AssoBirra al termine dell’Assemblea annuale che ha confermato alla Presidenza Alberto Frausin e che ha visto la nomina alla Vicepresidenza di Piero Perron e Tommaso Norsa - il 2012 si contraddistingue per un mercato stabile, con una produzione che torna a salire (+0,5%) insieme all’occupazione (+4,4% rispetto al 2011) a conferma di un settore vivo, fatto di imprese pronte ad investire e di nuove realtà imprenditoriali che stanno nascendo. Confermati gli investimenti in responsabilità sociale. Preoccupa il calo di vendite in Italia dei primi 6 mesi del 2013, mentre per le aziende associate l’export che torna a crescere resta un fiore all’occhiello.
A un 2012 nel segno della stabilità ha fatto seguito un inizio di 2013 a due velocità: da un lato le aziende associate registrano una flessione delle vendite in Italia tra gennaio e giugno pari a -3%. Dall’altro lato i dati dei primi 4 mesi del 2013 relativi alle aziende associate parlano di un export che torna a crescere (+2,7%), senza però compensare il calo del mercato interno.
In questo contesto i produttori di birra guardano con attenzione alla stagione estiva, che si conferma tradizionalmente la più strategica. Quest’anno il freddo e il maltempo di fine primavera e dell’avvio estivo hanno frenato i consumi di giugno a -8,25%. E, come sottolinea Alberto Frausin, Presidente di AssoBirra, neanche il caldo afoso e un troppo alto tasso di umidità delle ultime settimane favoriranno il consumo della bevanda al luppolo: “Contrariamente a quello che si potrebbe immaginare, un’estate caldissima e afosa, segnata da picchi di temperature superiori ai 35 gradi, non è l’ideale per i consumi di birra. Se il caldo e l’umidità si fanno eccessivi, infatti, la bevanda regina diventa l’ acqua minerale. I consumi di birra sono favoriti da un clima secco, con temperature comprese tra i 22 e i 30 gradi e una situazione di costante tempo bello e fresco”.
Così AssoBirra nel presentare il suo Annual Report, al termine dell’assemblea che ha visto la riconferma di Alberto Frausin alla presidenza dell’Associazione e la nomina alla vicepresidenza di Piero Perron e Tommaso Norsa: “I dati parlano di un 2012 sostanzialmente stabile, con esportazioni in leggera flessione che hanno visto i flussi spostarsi in piccola parte dall’Europa all’America, spiega Frausin. In un periodo di mercato come quello attuale, dove i consumi alimentari sono scesi del -3% è un risultato importante, valorizzato ulteriormente da una occupazione in salita e da una rinnovata imprenditorialità anche giovanile. Ma sappiamo che questo equilibrio è molto sottile e la flessione delle vendite emersa nel primo semestre 2013, nonostante il ritorno alla crescita dell’export, lo testimonia. Inoltre, oggi tra IVA e accise siamo uno dei Paesi con la tassazione più alta in Europa e questo è un elemento che rischia di incidere sulla competitività del prodotto”.
Il settore birrario, nonostante le difficoltà continua a tenere, confermandosi un’eccellenza del nostro Paese e parte integrante di quel Made in Italy agroalimentare che rappresenta un punto di forza dell’economia nazionale. Nel 2012 i 16 stabilimenti (14 industriali e 2 malterie) e gli oltre 500 microbirrifici distribuiti sul territorio nazionale (che confermano il positivo e rinnovato spirito imprenditoriale del Paese) hanno prodotto complessivamente 13 milioni e 482 mila ettolitri (+0,5%), mentre il consumo pro-capite segna 29,5 litri, in calo rispetto al 2011 del -1% e lontano dai livelli pre-crisi. Nota positiva la crescita dei livelli occupazionali del +4,4%.
Da segnalare, infine, che dopo anni di crescita a doppia cifra, le esportazioni si stabilizzano, restando leggermente al disotto dei 2 milioni di ettolitri (1.990.000 hl), cifra superata per la prima volta nel 2011. “Questi risultati – prosegue Frausin – testimoniano la vitalità del settore e, se si considera il contesto nazionale e internazionale poco favorevole in cui sono stati ottenuti, penso che possano e debbano renderci ancora più orgogliosi per quanto fatto”.
Produzione a +0,5% , ma l’Italia resta decima in Europa. Bene la produzione di malto (+3,1%)
Nel 2012 sono stati prodotti 13,4 milioni di ettolitri di birra (+0,5%). È il secondo miglior risultato di sempre, dopo il picco del 2003. Di questi, circa il 15% è stato esportato, mentre il resto ha soddisfatto il 65,1% della domanda interna di birra. In pratica, 2 bicchieri di birra su 3 del totale consumato in Italia sono stati prodotti nel nostro Paese.
Buoni anche i risultati della produzione di malto, risalita a 649.140 quintali (+3,1% rispetto ai 629.681 del 2011), come sempre interamente assorbiti dall’industria italiana.
Il settore birrario europeo ha mostrato un andamento più “lento” di quello italiano: la produzione UE-27 più Svizzera e Norvegia segna -0,4% sul 2011. L’Italia si conferma il decimo produttore europeo, in una classifica guidata dalla Germania, seguita da Gran Bretagna e Polonia. Ma precediamo paesi di consolidata tradizione birraria come Austria, Danimarca e Irlanda.
Export stabile nel 2012 dopo la crescita a due cifre. Importazioni in calo (-3,9%)
L’export 2012 conferma un andamento stabile rispetto al 2011. Oggi le vendite fuori dai confini nazionali si fermano a 1 milione e 990 mila, appena sotto l’asticella del 2011. “L’export rappresenta e ha rappresentato un fiore all’occhiello del nostro settore – dichiara Frausin. Tra il 2006 e il 2011 le esportazioni erano cresciute del +160%, nel 2012 registriamo un sostanziale pareggio rispetto all’anno precedente e questo rappresenta un motivo di orgoglio per un prodotto che, laddove possibile, viene realizzato con materie prime nazionali”. Positivi comunque i primi dati parziali (quelli relativi alle aziende associate ad AssoBirra) che parlano di esportazioni in crescita del +2,7% nei primi 4 mesi del 2013. Un dato assolutamente positivo se si pensa che, in un contesto europeo di contrazione generalizzata dei consumi, l’aumento delle esportazioni comporta un aumento della quota di mercato della birra italiana in Europa.
Calano del -3,9% le importazioni, che si fermano a 6 milioni e 144 mila ettolitri
L’Italia resta comunque il mercato con i maggiori volumi di import di birra, complice anche una competizione fiscale sleale da parte di vari paesi europei, fondata su norme nazionali poco rigorose sulla denominazione del prodotto (gradi plato) che permettono di commercializzare a prezzi molto competitivi (e con una tassazione più bassa) birre di minor qualità, che rischiano di mettere fuori mercato gli operatori italiani.
La somma degli andamenti dell’export e dell’import ha fatto sì che nell’ultimo anno si sia attenuato (-3,5%) il tradizionale saldo commerciale negativo del mercato birrario italiano, sceso dai -4.305.000 ettolitri del 2011 ai -4.154.000 ettolitri del 2012.
Occupazione +4,4%, anche grazie al boom dei microbirrifici
Dati incoraggianti sul fronte dell’occupazione: grazie anche al fiorire dei microbirrifici, ormai presenti in tutte le provincie italiane (se ne stimano complessivamente oltre 500), il livello occupazionale diretto ha visto una ulteriore crescita di circa il +4,4%, per un totale di 4.700 occupati diretti complessivamente nel settore. Se teniamo conto anche dell’indotto allargato si arrivano a contare complessivamente 144.000 addetti (dati Ernst & Young). “La crescita del livello occupazionale – prosegue Frausin – è qualcosa che dimostra che il settore è vivo e in continuo fermento. Negli ultimi anni le nostre aziende presenti sul territorio hanno saputo mantenere posti di lavoro, andando addirittura a crescere grazie anche alla nascita di nuovi piccoli birrifici, parliamo di realtà imprenditoriali spesso nate su iniziative di giovani e anche questo è un bel segnale per il Paese. Inoltre quella della birra, per la natura stessa del prodotto, è un’industria non delocalizzabile che proprio per questo va valorizzata al massimo e sostenuta”.
Scende il consumo procapite che arriva a 29,5 litri, ancora distante dai livelli pre-crisi
I 17 milioni e 636 mila ettolitri di birra commercializzati in Italia nel 2012 (comprensivo delle quantità importate) in calo del -0,4%, che equivalgono a un consumo pro capite di 29,5 litri, pari a -1% rispetto al 2011. E il calo delle vendite in Italia nei primi 6 mesi del 2013 (-3%), fa temere in una tendenza destinata ancora a scendere.
Nel 2012 il consumo medio pro capite di birra UE (più Svizzera e Norvegia) è sceso a 71,5 litri (-4,2%), con decrementi più o meno accentuati in tutti i maggiori Paesi consumatori (Repubblica Ceca 144, Austria 107,8, Germania 105, Irlanda 85,6, Lussemburgo 85, Belgio 74, Gran Bretagna 68,5). L’Italia, pur mantenendo l’ultimo posto nella classifica dei consumi, ha ridotto comunque per il quarto anno consecutivo il proprio gap rispetto alla media UE. Anche se - va sempre ricordato - rimane dalle 3 alle 5 volte inferiore a quello dei Paesi in testa alla graduatoria, e al di sotto di Paesi a noi vicini, quali Spagna, Portogallo, Grecia e Francia.
I consumi “fuori casa” ai minimi degli ultimi 9 anni
Fa riflettere il calo delle vendite “fuori casa”: l’on trade nel 2012 si ferma al 41% del venduto, ossia ai minimi storici dal 2005 a oggi (nel 2011 era al 41,8%). Di contro, sale (59%) la percentuale di birra consumata in casa, un fenomeno legato alla diminuzione del potere d’acquisto che riduce i consumi “fuori casa” a favore di quelli domestici.
Se si analizzano i dati di vendita le tipologie di birra più vendute sono in leggero calo: le Main Stream scendono a 46,9% del mercato (-1,1%) e le Premium si fermano a 30,3% (-7%). Di contro aumentano le Specialità (+4,6%) che arrivano al 13,4% del totale venduto. Sale di quasi il 50% il consumo di birre Private Label (6,4%), mentre restano in sostanziale equilibrio le birre Economy (2,2%) e Analcoliche (0,6%).
Accise e Iva gravano sul prodotto il 30% in più rispetto al passato
Nonostante occupazione in crescita e una situazione di mercato sostanzialmente stagnante, sono accise e aumento dell’Iva due dei punti critici con cui il settore birrario deve confrontarsi. “Solo negli ultimi 7 anni, c’è stato un aumento della pressione fiscale sulla birra di circa il 30% – commenta Frausin. Nel 2006 il prezzo medio di fabbrica di un 1 litro di birra chiara era pari a 1,10 euro, oggi il costo è salito a 1,40 euro. Tenuto conto della nuova IVA al 21% e delle accise che già gravano sulla birra, l’Italia si attesta tra i Paesi produttori con la pressione fiscale più alta in Europa”.
Oggi, quando si compra una bottiglia di birra da 66 cl, al prezzo medio di 1 euro, 40 centesimi sono di tasse, insomma più di 1 sorso di birra su 3 va a finire al fisco.
Se il Regno Unito registra una pressione estremamente elevata all’Italia non va meglio. Il nostro Paese somma all’IVA al 21% accise pari a 28,2 euro, ponendoci in linea con Olanda e Francia. In Europa restano molti i Paesi con parametri inferiori ai nostri, come nel caso della Germania, della Spagna, del Belgio, dell’Austria e della Polonia. Una situazione diversa rispetto a quella che si trovano ad affrontare altre bevande alcoliche come ad esempio il vino, che in Italia non è soggetto ad accise. In quei Paesi dove il vino non è tassato la birra si trova a dover sostenere una tassazione di gran lunga inferiore rispetto a quella italiana (vedi Portogallo, Romania, Ungheria, Spagna, Germania, Austria, Repubblica Ceca, Cipro, Malta, Bulgaria, Slovacchia, Svizzera).
La birra italiana, oltre ad essere prodotta, laddove possibile, con materie prime nazionali (sono oltre 629mila le tonnellate di malto prodotte nel 2011) e senza alcun sostegno finanziario da parte dello Stato, contribuisce già oggi in termini di entrate per lo stesso Stato con una somma complessiva superiore ai 4 miliardi di euro annui (tra Iva, accise, tasse, contributi sociali di aziende/lavoratori e tasse pagate dagli altri settori coinvolti a vario titolo). Il solo ritorno derivante delle accise nel 2012 corrisponde a 484 milioni di euro (in crescita del +4,3% rispetto ai 464 milioni di euro del 2011).
Infine, il comparto della birra incide sugli altri settori per un cifra stimata da Ernst & Young nel 2010 in 1,137 miliardi di euro destinata all’approvvigionamento di beni e servizi. Di questi, ben 936 milioni di euro vengono investiti dal settore birrario in Italia. I settori che in Italia beneficiano più di tutti dalla produzione della birra sono quelli dell’agricoltura (per un totale di 82 milioni di euro), l’industria del packaging (396 milioni di euro) e i servizi (153 milioni).
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