bevande
10 Novembre 2015Pigliate la Puglia e osservatela con occhio attento. Sarà facile notare che non le manca nulla. Eccellente fin quasi all’eccesso dal punto di vista naturalistico per quella, scusate il gioco di parole, naturalità, che si mostra disinvolta persino in riferimento all’agricoltura. Non a caso la regione è stata considerata come il granaio d’Italia -ancora potrebbe vantarne il titolo- senza dimenticare che qui crescono, con una facilità che ha quasi della spontaneità, verdure dai colori accecanti e dai sapori intensi. Il merito va ripartito tra clima, generosamente assolato, e terra rossa. In realtà il ‘pavimento regionale’ è costituito da un elevato numero di variabili geologiche, che comprendono: argilla, tufo, calcare e marna. Infine gli alberi. Se dall’ulivo si ricavano alcune tra le cultivar più gustose e in alcuni casi più salutari (la Coratina è una tra le varietà più ricche in assoluto di polifenoli) dalla vite si ottengono uve dai sapori tipici e generosi. L’alberello da queste parti non è mai un diminutivo, ma un sistema di allevamento della vite portato in dote dai greci, che qui più che altrove, decisero di importare cultura e, appunto, coltura. Il risultato è che ancora oggi molte varietà, in particolar modo a bacca rossa, vengono ancora allevate secondo questa tecnica che favorisce il più possibile l’irraggiamento solare dei frutti. Questa rigogliosità dell’ecosistema pugliese ha tuttavia finito in alcuni casi per compromettere, o per meglio dire rallentare, gli aspetti qualitativi della produzione regionale. Come? I rossi venivano mandati persino al nord, ad irrobustire mosti ben più blasonati, mentre i bianchi costituivano la base per realizzare il Vermouth. Oggi finalmente è la qualità, per altro a base di autoctoni, a comandare, grazie a varietà come: Bombino, Verdeca, Bianco d’Alessano, Fiano bianco, Fiano Minutolo, solo per citarne alcune.
GLI AUTOCTONI BIANCHI
Il panorama delle uve ‘pallide’ pugliesi non si potrebbe dire comunque completo senza la riscoperta del Vermentino, solo in apparenza fuori dalle classiche rotte del vitigno visto che se ne hanno testimonianze della presenza in regione sin dal 1700, e l’immancabile Chardonnay. La difficoltà di coloro che decidano di avvicinarsi alla produzione bianchista regionale, è tuttavia quella di cadere vittima della confusione. Per fare chiarezza, cercando di tirare le fila di stili, territori e inflessioni varietali, è nata la manifestazione Takeitaly, voluta da Vinoway (www.vinoway. com). Durante le due tappe, Bari e Trani, l’associazione capeggiata da Davide Gangi ha deciso di tracciare, attraverso assaggi e confronti, un’istantanea del panorama degli autoctoni regionali grazie a numerosi banchi d’assaggio e ad una degustazione di ben 19 campioni in rappresentanza di altrettanti modi d’intendere il bianco pugliese.
[caption id="attachment_21784" align="alignright" width="223"] Luca Gardini[/caption]
Se il Fiano Minutolo ha messo in risalto la propria natura aromatica, piuttosto coerente in tutti i campioni presenti, la Verdeca è parsa più ‘caotica’. Vitigno acido, dal modesto ventaglio aromatico, la Verdeca è stata spesso utilizzata in assemblaggio, magari con il Bianco d’Alessano, anche se, in solitario, (Felline, Feudi di Guagnano, Miali, per citare alcune tra le aziende presenti al tasting), potrà rappresentare, se concepita con un forte legame territoriale, un bianco dalle spiccate doti di abbinabilità, in particolar modo con la cucina itticamente crudista della regione. Il Bombino è già, soprattutto in versione spumante, una valida alternativa al momento dell’aperitivo, mentre il Fiano, quello bianco questa volta, pare la sfida più prossima con cui si dovrà misurare la viticoltura della regione.
Romagnolo verace, Luca Gardini inizia giovanissimo la sua carriera, divenendo Sommelier Professionista nel 2003 a soli 22 anni, per poi essere incoronato, già l’anno successivo, miglior Sommelier d’Italia e -nel 2010- Miglior Sommelier del mondo.
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A cura di Matteo Cioffi
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